Pagine

mercoledì 2 luglio 2014

P. BALESTRIERE SU "IL FIUME" DI N. PARDSINI


Pasquale Balestriere collaboratore di Lèucade


Commento di Pasquale Balestriere 
collaboratore di Lèucade

Potrei anche sbagliare, ma a me pare che quella dell'acqua sia una metafora di una vita, anzi dell'esistenza umana in generale o, ancora più, della vita di tutte le cose che si trovano sulla terra. In ogni caso, dopo un ammicco che richiama all'esperienza soggettiva del poeta ("i miei canneti"), si stabilisce un processo di umanizzazione del liquido corrente -e complessivamente del fiume ( il Serchio, credo)- sostenuto da un "tu" dialogico che scandisce le varie fasi della corsa della vita, fino all'estremo approdo al mare, tutto o niente, immensità che accoglie o che disperde e annulla, a seconda dei punti di vista. Ed è anche curioso come la rima insista fino al v. 14 -il numero esatto dei versi di un sonetto- e come in un sonetto sia disposta (alternata nelle quartine, replicata nelle terzine); e ancora come essa ritorni poi sporadica, mentre il ruolo di richiamo fonico sia svolto da asso-consonanze, allitterazioni, paronomasie. Sembra quasi che un tale cambiamento alluda a una corsa finale dell’acqua (e della vita, val la pena di ricordarlo) senza più regole che non siano quelle delle sponde e degli argini; e metricamente dell’endecasillabo. Una poesia dall’intenso e filosofico sapore evocativo. Complimenti 

                                   Pasquale Balestriere
03/07/2014 


Il fiume










Acqua, che riflettesti i miei canneti
con le quaglie sui cimoli, e le torri
di grigie chiese e i tremuli felceti
delle sponde, lo sai tu dove corri?
Ti perderai tra poco nel clangore
dell’irruente mare, ed il tuo salce                  
ti guarderà sparire. Già il rumore            .
dell’ampio piano in file d’alba calce
ora vicine ed ora più lontane,
come vie di paese, si confonde
all’aria dei pinastri. Non t’inganni
il profumo allettante; presto vane
saranno quelle immagini di sponde
in spazi senza fine. Ed i tuoi panni       
scoloriranno in cuore al tanto vasto
vorticare del nulla, finché a volte,
ormai sepolta  preda alle ritorte      
ed iteranti corse, sarai volta
alla riva che più non ti appartiene.
Avresti mai pensato, al rampollare
bisbigliante dei gorghi tra le fresche
chiazze sorgive di finire amara-
mente dentro voragini sì avare?











5 commenti:

  1. Potrei anche sbagliare, ma a me pare che quella dell'acqua sia una metafora di una vita, anzi dell'esistenza umana in generale o, ancora più, della vita di tutte le cose che si trovano sulla terra. In ogni caso, dopo un ammicco che richiama all'esperienza soggettiva del poeta ("i miei canneti"), si stabilisce un processo di umanizzazione del liquido corrente -e complessivamente del fiume ( il Serchio, credo)- sostenuto da un "tu" dialogico che scandisce le varie fasi della corsa della vita, fino all'estremo approdo al mare, tutto o niente, immensità che accoglie o che disperde e annulla, a seconda dei punti di vista. Ed è anche curioso come la rima insista fino al v. 14 -il numero esatto dei versi di un sonetto- e come in un sonetto sia disposta (alternata nelle quartine, replicata nelle terzine); e ancora come essa ritorni poi sporadica, mentre il ruolo di richiamo fonico sia svolto da asso-consonanze, allitterazioni, paronomasie. Sembra quasi che un tale cambiamento alluda a una corsa finale dell’acqua (e della vita, val la pena di ricordarlo) senza più regole che non siano quelle delle sponde e degli argini; e metricamente dell’endecasillabo. Una poesia dall’intenso e filosofico sapore evocativo. Complimenti all’amico Nazario.
    Pasquale Balestriere

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Commento che contraddistingue la sagacia interpretativa del critico autentico che, oltre ad avvalersi di conoscenze tecniche di perspicua valenza prosodica, riesce a penetrare nei più reconditi azzardi allusivi. E non dico niente di nuovo: è sufficiente leggere il nome dell'esegeta, e tutto si chiarisce.
      Grazie carissimo Pasquale
      Nazario

      Elimina
  2. Le nostre dita nel fiume sono bagnate da acqua sempre nuova, e l'acqua
    che passa e scorre non finisce né si ferma, ma si unisce ad altra acqua
    in una grande pozza dove il sale la trasforma. Io non conosco l'acqua
    che verrà e non inseguo l'acqua che passò, sfioro solo quella che passa
    qui ed ora tra le mie dita, perché qualunque cosa io faccia per me sarà
    sempre e solo un qui ed ora.
    Grazie Nazario per questa fonte di dialogo interiore.

    Claudio Fiorentini

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Claudio: interpretazione che dà luogo a molte ulteriori e profonde riflessioni filosofico-esistenziali. C'è tanto del tuo pensiero che ho ri-trovato in altri tuoi intensi scritti.
      Nazario

      Elimina
  3. Siccome la poesia ha ricevuto diversi commenti, sono tenuto a puntualizzare, per onor di verità, che Pasquale Balestriere è stato il primo, col suo acume critico, a rilevare nello scorrere del fiume la metafora della vita: dalla sorgente, al suo fluire, al suo perdersi in un mare che può essere oggetto di plurime connotazioni ( Potrei anche sbagliare, ma a me pare che quella dell'acqua sia una metafora di una vita, anzi dell'esistenza umana in generale o, ancora più, della vita di tutte le cose che si trovano sulla terra. In ogni caso, dopo un ammicco che richiama all'esperienza soggettiva del poeta ("i miei canneti"), si stabilisce un processo di umanizzazione del liquido corrente -e complessivamente del fiume ( il Serchio, credo)- sostenuto da un "tu" dialogico che scandisce le varie fasi della corsa della vita, fino all'estremo approdo al mare, tutto o niente, immensità che accoglie o che disperde e annulla, a seconda dei punti di vista...). Questo afferma il critico. Una explication la sua di grande vis contenutistico-formale che dà efficaci chiarimenti, anche, sul rapporto fra sonetto e prosieguo del componimento (... Sembra quasi che un tale cambiamento alluda a una corsa finale dell’acqua (e della vita, val la pena di ricordarlo) senza più regole che non siano quelle delle sponde e degli argini; e metricamente dell’endecasillabo. Una poesia dall’intenso e filosofico sapore evocativo... [Pasquale Balestriere]).

    Nazario

    RispondiElimina