Franco Campegiani collaboratore di Lèucade |
"L'operaio dei sogni", di Pio Ciuffarella
Nell'ambito
delle iniziative dell'Isola del Cinema, è stato selezionato e proiettato l'11
settembre, nella Sala Cinelab Groupama, presso l'Isola Tiberina in Roma,
"L'operaio dei sogni", un film di Pio Ciuffarella con musiche di
Paolo Damiani, Danilo Rea e Martum-X, che vuole essere un omaggio a Pier Paolo
Pasolini. Superlativa la prova degli
interpreti, tra i quali va innanzitutto notato lo scrittore Andrea Mariotti
nelle vesti di se stesso: un poeta dei nostri tempi, la cui mente evoca il
fantasma pasoliniano, fino a rigenerarlo nella figura del brillante Paolo Di
Santo, giovane attore dotato di una somiglianza sconcertante con il noto
scrittore. Al lavoro ha inoltre preso parte, con un ruolo fondamentale, il
poeta e pittore Silvio Parrello, personaggio storico del mondo pasoliniano,
detto "Er Pecetto" ne "I ragazzi di vita" dell'illustre
regista e scrittore. A costoro va aggiunta la prestazione davvero notevole di
due ragazzi, con il ruolo di studenti nel filmato (Salvatore e Nerina), che
rispondono ai nomi di Manuel Santilli e
Francesca Silvestri.
Lungamente
applaudito dal pubblico, "L'operaio dei sogni" non ha le valenze di
un documentario, ma di un racconto immaginario ed onirico teso ad esaltare la
potenza imprescindibile del sogno negli orizzonti del reale. Fin dal titolo esso evidenzia infatti il legame tra
sogno e lavoro, tra mito e realtà, dimensioni apparentemente inconciliabili, ma
profondamente intrecciate tra di loro. Non si deve dimenticare che la passione
sociale e civile dei poeti (se veramente tali) è poetica e non politica. Il
fuoco della poesia può entrare nella politica, come in qualsiasi altro ambito
della vita, con la forza della mitopoiesi e non dei programmi di partito. Il
poeta è e resta pertanto un lavoratore del sogno e del mito. Egli parla di
archetipi, e checché se ne pensi sono sempre loro, gli archetipi, a muovere il
mondo e la vita. Trovo sorprendente la convergenza di un tale messaggio con quanto da me stesso sostenuto in
questo Blog, anche (e non solo) a proposito della poetica pasoliniana.
Il
film si conclude con la rievocazione delle suggestive scene del Battesimo
pasoliniano, girate negli stessi luoghi in cui Pier Paolo girò le sue per il "Vangelo
secondo Matteo" e utilizzando lo stesso registro musicale: “Sometimes i
feel like a motherless child”, uno spitirual
interpretato da Odetta Holmes. Ciò la dice lunga sull'amore per il
"sacro" che accomuna il nostro regista con il suo nume tutelare. Nella piazzetta di Chia, il borgo della
Tuscia Viterbese dove Pasolini girò quelle famose scene, possiamo imbatterci oggi
in un busto bronzeo del notissimo intellettuale, accanto al quale è stata
incisa una sua straordinaria poesia ("Ciants di un muàrt"), tradotta
in italiano dal friulano e tratta dalla raccolta "La nuova gioventù".
Ho già pubblicato quella poesia in questo blog, ma lo rifaccio perché è
particolarmente struggente e significativa:
Contadini di Chia!
Centinaia di anni o un momento fa,
io ero in voi. /
Ma oggi che la terra
è abbandonata dal tempo,
voi non siete in me.
Qualcuno
sente un calore nel suo corpo
una forza nel ginocchio…
Chi è?
I giovani sono lontani
e voi non parlate… Quelli che vanno a
Viterbo
o negli Appennini dov’è sempre Estate,
i vecchi, mi assomigliano:
ma quelli che voltano le spalle,
Dio,
e vanno verso un altro luogo…Dio,
lasciano la casa agli uccelli,
lasciano il campo ai vermi,
lasciano seccare la vasca del letame,
lasciano i tetti
alla tempesta,
lasciano l’acciottolato all’erba,
e vanno via
e là dov’erano
non resta neanche il loro silenzio…
Un vincolo
viscerale legava Pasolini alla cultura contadina, ma non si pensi ad un amore nostalgico
o passatista, perché quel richiamo ha valenze archetipiche. La cultura contadina non è una memoria
storica, ma un archetipo: quell'archetipo che lega l'umanità alla natura, e che
non appartiene al passato, ma all'uomo di sempre. Un sentimento di appartenenza
al creato che, a prescindere dai modelli di civiltà, dovrebbe essere sempre
vivo tra gli umani. Che senso può avere una cultura che si ribella alla madre
l'ha partorita e che, nonostante tutto, continua a tenerla in vita? Quanto può
durare una cultura che, non da oggi, ma da secoli, viene tagliando il cordone
ombelicale che la lega alla natura, e dunque alla vita, offendendo quel
sentimento di appartenenza al creato che era profondamente radicato nei
contadini di un tempo?
Quella di
Pasolini era, per questo, una visione sacrale dell'esistenza. Una visione che
oserei definire misterica, capace di rivolgersi con rabbia contro il dispotismo
e la spocchia di un'umanità sempre più aggressiva e irrispettosa, innanzitutto
di se stessa e poi di tutto il vivente. La civiltà contadina! Era ben
consapevole, Pier Paolo, che non esiste - perché non può esistere - altro tipo
di civiltà per gli umani, nati sulla terra e dalla terra. Per cui la fine di
quella civiltà non può che corrispondere alla fine della civiltà stessa in
assoluto. Ma c'è un'altra poesia, recitata per il folto pubblico da Silvio
Parrello al termine della proiezione, che non può non venire citata. La lirica
è tratta da "Poesia in forma di rosa" ed è stata recentemente ricordata
da Luca Giordano su questo blog letterario:
Io sono una
forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.
Pasolini - è
evidente - parla di "radici", ovvero di qualcosa di vivo, visto che peculiarità
delle radici è di rinnovarsi in continuazione. Altro che passatismo! La sua è
una ribellione nei confronti di una Modernità che si è posta fuori dal Passato
e dal Futuro nello stesso tempo. Fuori dunque dalle Radici, fuori da quel
Progetto che fa di Adamo il custode dell'Eden, anziché il despota come è in
realtà diventato. Non si può capire la battaglia pasoliniana contro
l'omologazione e l'imborghesimento, contro il materialismo ed il consumismo
della cultura contemporanea, se non si tiene a mente questa valenza spirituale
(il che non significa religiosa) della sua poetica, questo suo terrestrismo,
questo desiderio teso a rinnovare con modalità adatte ai nostri tempi il patto
di alleanza dell'uomo con l'uomo e con l'universo intero. Se l'homo sapiens sapiens non mostra di
essere realmente tale, ravvedendosi e risvegliandosi, finché può farlo, da tale
borioso e distruttivo torpore, è giunto davvero al capolinea e siamo alla fine.
Ma non si tratta di tornare nostalgicamente al passato, come una subdola
propaganda tenta di insinuare, bensì di rinnovare con modalità inedite, adatte
ai tempi nuovi e futuri, il patto di alleanza dell'uomo con l'universo intero.
La cultura contadina non è mai stata immobilista, come si vuole far credere, ma
si è trasformata mille volte nel corso della sua storia millenaria, mantenendo
inalterati i suoi principi di fondo.
Per concludere, non credo di esagerare affermando che "L'operaio
dei sogni" di Pio Ciuffarella, avvalendosi della professionalità di un cast
di collaboratori davvero straordinario, riesce a porre in evidenza tale
matrice spirituale, offrendo un'interpretazione coraggiosa ed inedita della weltanschauung
pasoliniana, capace di ricondurre la passione civile ed etica del grande scrittore
entro i confini di una dimensione sacrale della vita.
Franco Campegiani
Ampio ed interessante questo saggio di Franco Carpegiani su "L'operaio dei sogni". Peccato non poter vedere il film che -si intuisce dal saggio stesso- oltre ad essere un omaggio a Pasolini, dev'essere anche un'opera di grande efficacia artistica del narrare le memorie. Come interessante ed accettabile è il concetto che Carpegiani esprime sulla "passione sociale e civile dei poeti" che è "poetica e non politica". Soprattutto se il poeta (e l'intellettuale) è semplicemente un artista prestato alla politica. E tale era Pasolini per la labilità e la provvisorietà del suo prestarsi alla politica: un artista che non aveva lacci imprigionanti, ma la passione di chi viveva sulla sua pelle i mutamenti sociali e politici, senza mai lasciarsi andare sulle onde (e sulle ombre) del conformismo sociale e politico. Bello anche riproporre la lettura delle poesie struggenti di Pier Paolo. I più sinceri complimenti a Franco Carpegiani.
RispondiEliminaUmberto Cerio
Nel ringraziare caldamente l'amico Franco per il poderoso intervento che la sera dell'11 settembre, all'Isola del Cinema, ho avuto l'onore di ascoltare dal vivo, mi rivolgo anche a Umberto, che ha colto la pienezza del messaggio del regista del film Pio Ciuffarella e lo invito a vedere il film su youtube. E' presente alla voce "L'operaio dei sogni".
RispondiEliminaVi abbraccio tutti e vi garantisco che è motivo di grande orgoglio poter dire: io c'ero! Maria Rizzi
"UNA STORIA SBAGLIATA - IMPRESSIONI SUL FILM DI ABEL FERRARA "PASOLINI"
RispondiEliminaIl film di Abel Ferrara su Pasolini non poteva rendergli servizio peggiore dando del grande scrittore friulano un’immagine non solo distorta ma addirittura peggiorativa mirata ad evidenziare l’aspetto non dell’uomo ma solo del pervertito come si evince dalle numerose scene di sesso che decontestualizzate e usate come mezzo per scandalizzare finiscono per cadere nel grottesco. Del Pasolini uomo e pensatore nessuna traccia se non una debole percezione delle sue ultime ore, dalla famosa intervista realizzata in occasione della presentazione in Francia dell'ultimo film "Salò o le 120 giornate” all’incontro e cena con Pino Pelosi, prima dell’ultimo viaggio verso l’idroscalo di Ostia dove verrà massacrato, anche secondo Ferrara, per una squallida questione di sesso, limitandosi ad esporre quell’unica verità, arcinota, alla quale nessuno crede più ma che per il regista resta quella ufficiale. Nel film le visioni oniriche viaggiano in parallelo ai fatti raccontati e sono ispirate a Petrolio, libro che Pasolini era intento a scrivere e Porno-teo-kolossal, viaggio alla ricerca di un Paradiso che non esiste e che Ferrara ricostruisce a modo suo, ispirandosi alla bozza di un film che Pasolini aveva in testa di fare.
Manca lo spessore psicologico del grande scrittore, l’ansia, l’acutezza mentale, la gentilezza dei modi e il suo mondo affettivo, a partire dal rapporto con la madre, qui soltanto sfiorato, attraverso stereotipi verbali e gestuali che non toccano l’anima come ben sanno i tanti estimatori e studiosi del poeta e non basta il vezzeggiativo Pieruti pronunciato più volte dalla madre Susanna a racchiudere quel patrimonio di amore, complicità e intesa che c’era fra i due.
Defoe, a mio avviso, a parte una certa rassomiglianza e una discreta recitazione, è risultato, completamente estraneo al personaggio e al contesto, troppo americano, alle prese con un colosso dalle mille sfaccettature che non è stato in grado di restituire.
Troppo tiepidi anche gli altri personaggi, la cugina Graziella Chiarcossi, Nico Naldini, Furio Colombo, l’intervistatore. A parte Adriana Asti, la madre, e la Medeiros, Laura Betti, la galleria di personaggi si è mossa secondo un copione prestabilito, attraverso dialoghi preconfezionati privi di una qualsiasi autenticità.
Un film che non può convincere né i “ben informati” e appassionati di Pasolini per i limiti palesi e le “omissioni”, né i poco e scarsamente informati e soprattutto i giovani che non l’hanno conosciuto verso i quali era doveroso dare l’immagine della grandezza della sua opera complessiva e non soltanto il risvolto più sordido del suo privato, peraltro da lui sempre vissuto nella più grande discrezione.
Ecco perché per me si è trattato di “Una storia sbagliata” come recita il testo cantato da Fabrizio De Andrè ispirato alla sua morte violenta" Loretta Fusco
E, alla luce di questo commento tratto dal sito di Pier Paolo Pasolini, forse il lungometraggio del nostro Pio Ciuffarella rende maggiore giustizia all'indimenticabile cineasta, scrittore e Poeta!
Maria Rizzi