Massimiliano Maccaroni nelle sue
liriche di denuncia e di provocazione si dimostra un poeta ricco di voci
misteriose che chiede al lettore di decifrare. Un uomo vero, che adotta
commistioni di alto lirismo e di gergo quotidiano per esprimersi su tematiche
attuali e dolorose con toni scarnificati e con la volontà netta di rompere gli
stampi.
"Per emergenza di vita
Emergenza di notte
Di scarpe da ginnastica"
Il refrain iniziale ai suoi
componimenti. Emergenze... relative ai drammi quotidiani, alle nostre barriere,
alle paure inviolate, alle solitudini. I versi sembrano proposte di varietà. Di
elementi che l'Autore convoglia con forza elementare e violenta.
Non ama la tecnica del mosaico, la
pazienza del montaggio, seguendo esempi come quello di Ezra Pound.
"Mi capita prima di dormire.
Vado al gabinetto.
Lascio scritta una notte
Per emergenza di vita"
Eppure la forza del suo comporre è
devastante. La nascita delle poesie si configura come permanente ricerca, come
un picchiare, uno scavare nella sorda pietrificazione del linguaggio. Un
programma lontano da qualsiasi trucco, da ogni schematismo, teso a una
interessante avanguardia. La disintegrazione d'ogni forma classica è
fortificata da una capacità espressiva, che elimina asprezze di ritmo e di sintassi.
La tendenza del nostro Massimiliano
Maccaroni sembra quella di insistere nell'essere incessante, onnicomprensivo,
con una messa a fuoco dei concetti mai precipitata o difettosa. Nonostante la
radicale operazione di repulisti i quadri che egli affresca risultano
inventivamente e verbalmente omogenei, con
vigorosa compenetrazione di immagini e di ritmo.
Si tratta senz'altro di una scelta
artistica che segna una svolta in direzione della realtà sociale - e non per
questo meno intimistica - , e di un linguaggio appassionato, quotidiano,
bruciante di carità e furore. E' soprattutto rilevante l'invito a posar lo
sguardo sulle cose e sui gesti che caratterizzano
i nostri giorni, strumenti buoni e meno
buoni delle nostre vite. Il materialismo dell'Autore, peraltro, ha spesso
qualcosa di mistico. Palesa un'esperienza delle esperienze quotidiane, che è di
natura estatica e visionaria, pari a quella che il mistico ha della più
inaccessibile realtà spirituale. Perché, a rigore, anche il troppo usuale
sarebbe ignorato e ineffabile, al pari dello straordinario, se non ci fosse la
rivelazione del Poeta.
Sogni
di emergenza
[grato a Hun jord]
Mi capita a volte
prima di dormire.
Vado al gabinetto
e lascio aperta la notte.
Con la speranza
che allaghi.
Per ingoiare il primo mattino
mentre sto affogando.
Per
emergenza di vita.
Emergenza
di notte.
Di
scarpe da ginnastica.
Ho dimenticato il cuore in frigo da tre
giorni.
L’idea era di conservare.
Quel po’ d’amore
che mi ha cucinato una donna ieri sera.
Per mangiarlo domenica a pranzo
invece del solito hamburger surgelato.
Sognati quei sogni così.
Diciamo spinti.
E infinitamente amari nelle conseguenze.
Che fanno godere per forza.
Sognata l’unica maniera di morire bene.
Per
emergenza di vita.
Emergenza
di notte.
Di
scarpe da ginnastica.
Proclama la luce.
Chiudo il rubinetto.
Scendo le scale.
Dimenticando il caffè sopra i fornelli.
Bestemmiare Dio per così poco.
Che basterebbero gambe.
Sorridere.
Scendere di nuovo.
Sorridere.
Certe volte \ Sometimes.
Vorrei essere [il tetraplegico].
Per
emergenza di vita.
Emergenza
di notte.
Di
scarpe da ginnastica.
Che il tetraplegico fosse me.
Per ignorare le scale.
Un marciapiede basso.
Quei tre metri che servono per lavarsi la
faccia.
Finire [in coma].
Per
emergenza di vita.
Emergenza
di notte.
Di
scarpe da ginnastica.
Che uno in coma fosse me.
Per bere un succo di frutta.
Grattarsi il naso.
Parlare di calcio.
E sbucciare una mela.
Essere il [malato terminale].
Per
emergenza di vita.
Emergenza
di notte.
Di
scarpe da ginnastica.
Che il malato terminale fosse me.
Per prenotare una vacanza.
Non avere fretta.
Ti vengo a trovare tra un anno.
Promesso.
E crescere un figlio.
Mi capita prima di dormire.
Vado al gabinetto.
Lascio scritta una notte.
Per emergenza di vita.
Riconoscenza.
Idea di conservare.
Sogni di emergenza.
Per
emergenza di vita
Emergenza
di notte
Di
scarpe da ginnastica.
Ripeto.
Cartoon
Le
nuvole.
Lo
spazio.
Dio.
Non
so.
Il
gatto giù dalle scale.
L’anello
di quella catena.
Frega
proprio niente.
I calzini
bucati, le finestre chiuse.
Un
padre fallito
è un
cartone.
Con su
scritto vedrai.
Si ama
un padre cartone vedrai.
Passa
leggero dalle mani alla terra.
Ci
puoi lasciare sopra le impronte vedrai.
E non
pentirti di essere scoperto.
L’eroe
di un solo mondo.
Vedrai.
L’unico
mondo che esiste.
Il
mondo sbagliato di fare le cose.
Le
sbronze le botte a tua madre i debiti in giro.
Qualche
amante che gli apre la porta.
La
poltrona imbottita.
Se avessi il controllo di quelle mani
smaltate.
Se potessi ordinare a quella bocca
marmitta
di aprirsi e chiudersi a comando.
Ci farei l’amore fino a morire.
Se fosse una bambola gonfiabile.
Con
gli amici del bar mentre ti tiene per mano.
E
mastichi una gomma.
I
giocattoli.
Alle checche schifose.
Al
massimo li ha portati via il Baubau
perché
c’era bisogno di stringere la cinghia.
Te li
tira addosso al massimo
li
rompe
e
sorride.
Al
massimo.
Niente
pianti signorino.
Un
uomo, cristo, non piange.
Le
lacrime da parte per le feste.
Il
cuscino diventa un mattone.
Con
lui.
Dentro
casa.
Ci sta
dormire sui mattoni.
Al
posto dei sogni costruire una torre.
La
torre sta in piedi a occhi spalancati.
Nel
pieno del vento.
Nel
buco del silenzio.
Al
banco della sala scommesse.
Da
laureato
un
giorno
potrai
fottere il prossimo.
La bassa
società.
La
media società.
L’alta
società.
Le
nuvole.
Lo
spazio.
Dio.
Non
so.
Adesso
gioca col pallone
e non
rompere i coglioni.
Un
padre fallito così parla.
Vedrai.
Con la
bottiglia in mano e la sigaretta in bocca.
La
barba lunga
la
camicia sporca.
Si
ricorda di te quando muore.
Nei
giorni che piove.
Vedrai.
E’ un
cartone tuo padre.
Puoi
scriverci sopra.
E’
buono per imballare i bicchieri.
Quando
traslochi.
In
mezzo alla strada.
Per
vivere.
Sopravvivere.
Cedere
il posto a uno spastico sul tram.
Vento da Nost.
Non
sono.
Non
ho.
Ripetizione
e alternanza nel quotidiano amen
e
piena di grazia.
Un
machete e una bussola nella giungla.
Nella
Giungla, un occhio.
Il
modo di sentire ne è influenzato
la
tendenza all’empirismo è quasi una necessità.
Corazza,
sguardo, estrazione del veduto.
Una
scatola di tonno gettata nella merda e una fetta di pane ammuffito sono la
speranza del senza tetto.
Un
coltello da tavola con il manico rosso che non si usa più.
Può
essere uno strumento di sopravvivenza nella città - giungla.
Può
essere uno sfregio nelle stazioni-giungla.
Può
essere una vittima abbandonata nel fosso-giungla.
E’ la
lama multiuso dell’anima quando vuole difendersi;
mangiare
svitare
serrare.
E non
ha mani da usare.
L’urgenza
del prurito ha reso l’ uomo architetto dei muscoli.
Sul
bicipite ha issato il tempio di Ares.
Sul
pettorale ha eretto la cattedrale di Siviglia.
Sui
dorsali ha costruito il muro del pianto.
Ha
scoperto che il coltello rosso lascia striature violacee sulla schiena;
come
le unghie delle occasionali.
Che il
colore della pelle cambia se si spinge.
Che
c’è qualcosa che non torna.
Nelle
parole-Giungla dei bar e delle accademie.
Sturridge è nero
ma quando fa goal
a
Liverpool,
si
alzano in piedi e gridano di gioia.
Non
sono neri ma è come se lo fossero.
Non
sono negri ma hanno i denti bianchi.
La
maglia dei reds è un globalizzatore.
Gengis Khan era
un globalizzatore.
Non
sono.
Non
ho.
Alle
fermate del tram
in
giacche e cravatte.
Intorno
alle gonne, nelle scarpe.
La
vita è anoressica.
Mentre
l’abbondanza dei prodotti
fa
obesi gli scaffali del supermercato.
Manca
di eventi emotivamente appaganti
oltre
al solito viavai di stressecose.
Un
leone che visita uno zoo
tira
noccioline a un turista chiuso in gabbia.
Ha
pietà di lui.
Ha
pietà di se.
L’inversione
del ruolo
ha
l’inaspettata drammaticità
d’una
giustizia sommaria:
(il
turista è animale, il turista è condannato a essere animale)
mentre
venti di mutamento soffiano da Nost
direzione
di provenienza imprecisata.
Poesia-giungla.
Piante
pioniere e fitto intreccio di liane.
E ogni
padre sta li
che
invecchia e fa finta di capire.
E il
cuore è lì
complicato
ritaglio di cronache.
Anche
l’amore è giungla.
Klambratun
Questa
eternità
così
piccola da trovare spazio
così
grande da non trovare spazio.
Questa
eternità
quando
al mattino ti guardo.
Così
buca che basta un passo per finirci dentro.
E non
uscirne più.
Il destiny del dreamer
imbrigliato
in dolci corde
come
un Prevert in fila alle poste.
Sperando
che finisca e non finisca
la
carta per le lettere
l’inchiostro
la
malattia d’amour
un
altro posacenere
di
cenere e sorrisi.
L’eternità.
Che mi
chiedi di smettere.
Che
non riesco a smettere.
Il
gatto che dorme.
Nostro
figlio che piange.
L’eternità.
Una
piccola cosa.
Piccola.
In una
buca.
Tante
cose inventate.
Come...;
Klambratun.
Cadenti
Un
grande cataclisma.
Il
cielo.
Le
stelle s’ammazzano per un posto in prima fila.
Brille
ed eleganti.
Ai
portentosi occhi delle liceali
portate
culo a spasso dalle cabriolet dei porci.
Ai
buchi neri dei vecchi
zeppi
di ricordi e di stampelle.
Reggi
l’anima, reggi gli ossi.
La via
lattea è corretta col rum
quando
si spera che ne cada una.
Ogni
agosto la stessa fregatura.
Dei
dieci desideri scarpa di cristallo
l’unico
possibile: l’amore.
Chiamarlo
amore: ma forse tutto quello che si muove.
Qualche
calcio di luce
mentre
dormi sulla sdraio.
Zanzare
in frac affamate davanti al botteghino del teatro.
Cocktail
di caviglie Martini rosso sangue.
Noi
senza attributi.
Attaccati
alla spina del cosmo.
A
rubare corrente.
Da
fili di sogni.
Un
giorno più vicini alle nuvole.
Cadenti.
Caduti.
Bambole d’amore
Che forse non siamo carne?
Io.
Te.
- Come gli altri -
O polvere di spazio.
Caduta da Marte.
Gioca con due bambole.
Sul pontile del lago (Kleifarvatn).
Il saldatore lo immagina una femmina.
Lo urla al villaggio.
Di urla.
Strappate da me.
E bambole.
Nell’acqua senza testa
affogate nel retro d’una Cadillac.
Con un padre che guida impestato.
l’odio nella scarpa.
Diventa uomo.
Figlio mio.
Godi come un maschio.
Quindi a volare su un prato.
Le maglie rosse
con il colletto bianco.
Le Tattiche sulla lavagna.
Un bordocampo fiero per i gol.
Davanti a tutti.
Bacia il suo compagno sulla bocca.
Che forse non siamo stesso amore?
Io.
Te.
- Mi portano via i pregiudizi -
Non il vento.
Così scrive.
- Le nostre Bambole ti lascio -
Tuo.
Per Sempre.
Così scrive.
“Ieri a
Testaccio s’è ammazzato un frocio”.
Dice il giornalaio.
Faffalle Affabeti
Derive
del mare in agosto.
Noci
di cocco a tonfo e gusci a terra
gli
sguardi tra i banani alle turiste svestite dei costumi
i
balli di strada e le preghiere dal cielo al contrario che al cielo.
Gli
autodidatti se ne fregano delle regole del villaggio vacanze.
Hanno
imparato a viaggiare da soli.
Sovvertire.
Ombrelloni
e bagnini.
Autodidatti
dell’acqua.
Le
branchie spontanee sul collo
fottendo
ossigeno a Route 66 e Harley Davidson
alle
bocche sui muri
ai
rami di alberelli.
Nelle
aiuole nelle aule.
Lungo
i cortei.
Sanno
come fare innamorare una donna.
Goderla
e picchiarla.
Scoparla
ogni tanto per azzerare la ruggine.
Verniciarla
di nuovo per metterla all’asta.
Autodidatti
d’amore.
Sbagliano
a scrivere amore nelle lettere alle fidanzate
a
colpe di madri e di maestre
a
colpi di lingue sui denti.
Confusi
sul senso di amare.
Se
accontentarsi.
Scommettere.
Ricapitolare
la vita, prendere un taxi, sparire a Cuba.
Sbagliano
a parlare;
Faffalle affabeti
complicanze
da partenze lineari
che
sembrano infilare sogni alle collane
e
finiscono in fogne
in
grolle
dentro
sterrati
alzando
polvere di ruote
dietro
il culo di un’ombra
una
qualsiasi
basta
che sia ombra.
Ma
sanno contare le stelle
succhiare
caramelle
perdere
occasioni.
Ritrovarle.
Correre
al mille.
Frenare
di botto.
Col
tempo dettaglio e un ventaglio per il caldo.
Volanti
scintille
da
carboni paleolitici a corde di chitarre.
Fino a
steccare le note.
Alterare
i suoni dei flauti.
Stroppiare
le lettere ai nomi.
Faffalle.
E Affabeti.
Insegneranno
a campare questi errori di pronuncia.
Sicura
come il pane la logopedista.
A
amare l’imperfetto.
Non
correggerlo.
Un
linguaggio è un linguaggio.
Le
grida di contatto dei pinguini all’acquario di Genova.
Sono
un linguaggio.
Le
pistole nelle fondine.
Le
cravatte di seta.
I
disegni dei bambini.
La
coda.
Che scodinzola.
Gli
autodidatti del fuoco sopra la graticola.
Bruciano
da soli in camere d’albergo.
Vanno
in overdose nelle stazioni.
Fanno
rapine alle poste.
Scontano
anni di galera.
Quando
è troppo tardi.
Chiedono
scusa.
Faffalle.
Affabeti.
Matita
rossa sul compito in classe.
Zero
in condotta.
Autodidatti.
Ma
vivi.
Oltremodo.
Sbadati.
Oltremodo.
Rimandati
a settembre.
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