Franco
Vetrano: Con il cuore negli occhi. Dibuonoedizioni
Villa d’Agri (Pz). 2012.
Pg. 48
Un’opera
di grande respiro sentimentale, dove i versi, di euritmica sonorità,
abbracciano, con concretezza visiva, i forti e dolci input emotivi.
Un’eguaglianza non comune fra gli intenti analitico-descrittivi e i palpiti
diastolici del cuore, che, dispiegata su una stesura semplice, subito arriva
con la sua immediatezza fonico-lessicale. Una semplicità, però, con accezione
positiva, in quanto il canto non ricorre ad armamentari retorici o a
complessità espressive per comunicare Il
velo della pioggia/ sulla notte che
dorme, o Il tempo che scorre sui pensieri, o Quel caldo raggio di sole, o Il
soffio della Libertà... Insomma tutte quelle sensazioni che la natura con i
suoi maiuscoli quadri ispira al poeta. Una natura di largo respiro in un
contatto di simbiotica fusione, dacché è essa che prende per mano l’Autore,
recandolo in quei minuti spazi che si fanno concretizzazioni del suo sentire. Sì,
ci sono eleganti costruzioni metaforiche, o densi fonosimbolismi di sinestesie
o metonimie, ma creati con tatto e gentilezza, senza appesantire; finalizzati a
dare forza e rilievo ai significanti metrici. Con il cuore negli occhi. Questo il titolo della plaquette che si sviluppa su uno spartito
polisemico, e proteiforme, dove la parola, sgorgata da un cuore a fior di pelle,
narra una storia in cui il sentimento la fa da padrone. E sembra proprio che siano
i subbugli interiori a dominare sui calcoli razionali. D’altronde la ragione
frena, limita, richiama all’ordine; la passione è libero sfogo, è libertà piena
dello spirito, è volo, azzardo, esondazione, naufragio del nostro essere nel
mare azzurro dell’infinito. Ed è in questo mare che il poeta si annulla, in
questa immensità di colori iridei che assume il mondo attorno. Uno slancio dai
minimalismi del quotidiano verso gli orizzonti del cielo tramite le orme del
poeta:
Le orme del mio cammino
all’orizzonte si perdono.
Invano le seguo, ansimando,
tentando di trovare me stesso.
Qui mi siedo, e senza più
forza
attendo solo il mio ritorno (Orme).
Una
ricerca affannata e difficile da parte dell’autore dell’altra parte di sé. E
d’altronde si conoscono le improbabilità di sciogliere una verità di estrema
complessità psicologica. E l’uomo cerca, cerca continuamente uno sprazzo
d’azzurro che lo avvicini il più possibile all’inarrivabile; sa e conosce le
ristrettezze del nostro essere umani; quella contrapposizione pascaliana fra la fragilità della nostra vicissitudine
terrena e lo slancio dell’anima oltre i limiti del quando e del dove nutrito dal
cuore: "146.
Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce: lo si osserva in mille
cose. Io sostengo che il cuore ama naturalmente l'Essere universale, e
naturalmente se medesimo, secondo che si volge verso di lui o verso di sé; e
che s'indurisce contro l'uno o contro l'altro per propria elezione. Voi avete
respinto l'uno e conservato l'altro: amate forse voi stessi per ragione?" (Pascal,
Pensieri. 1967. TO. Einaudi).
Sta qui il
sentimento dei sentimenti, in questa visione del grande filosofo des Pensées,
in un subbuglio di vertigini emotive che il Nostro cerca di dare alla luce dopo
macerazioni intime:
Quel caldo raggio di sole
che gioca con la pioggia
negli occhi tuoi incantati
riflette un arco d’amore (Arco
d’amore).
Istantanee di
perspicua sapidità che si risolvono in lampi di luce.
Un amore non
sole erotico, ma totale, plurimo, di una plurivocità tale da divenire nostro
con tutta la sua effusione:
Urlò feroce in te
il dolore del distacco quando partii.
Urla ora in me quel dolore
nel chiedermi dove sei, madre (Urla in
me).
Una
sinestesia semantico-allusiva di grande resa poetica.
E
siamo come fiumi in piena che volgono le loro acque nel mistero di uno
sconfinato mare. Una visione eraclitea del tempo. Tutto scorre velocemente e “Non
è possibile scendere due volte nella stessa acqua del fiume” (Eraclito fr. B 8).
Il presente è irraggiungibile, e ci dà l’idea
inquietante della fragilità del nostro esserci. Ed è facile dichiararci
sconfitti in un mondo di illusioni e delusioni; in un mondo che tradisce le
nostre aspettative:
Quelli come me, fiume in piena
che tutto travolge e a mare trascina.
Quelli come me, persi nel vento,
senza un Dio che mai li perdonerà.
Quelli come me, rami spezzati
dell’albero dell’amara sconfitta (Rami
spezzati).
Un dilemma esistenziale che coinvolge il
percorso dell’opera, conferendole compattezza ed organicità, quello della
coscienza del tempo che fugge; quello della sottrazione dei grandi amori, delle
memorie che tornano vive a gridare la loro esistenza, o quello di un bene bello
e fresco che l’Autore propone quasi con silenziosa dolcezza:
Ti voglio bene,
un bene bello e fresco,
come bucato profumato
che al sole si lascia asciugare (Ti voglio
bene),
dove
prevalgono immagini di sole e profumi di spigo in questi gentili azzardi
erotici. Dove la pace si spegne in turbini intangibili:
Sei leonessa
con occhi di cerbiatta.
Sei ladra di pace,
turbine intangibile
(Leonessa).
Insomma
un’opera polivalente, plurale, in cui si toccano tutti i tasti della vicenda
umana. Tutte le contrapposizioni dell’esistere che sono il sale e il pepe della
buona poesia. E anche se il poeta è alla continua ricerca di una verità la cui
soluzione è improbabile per la connaturata miopia umana (Nel buio inciampo/ fra
i miei perché/ nel sole brucio senza risposte), pur tuttavia, quello che
prevale alla fine della lettura è una visione estremamente positiva della vita.
Di questa sacra e unica avventura che vale la pena vivere con intensità, dato
che è il tempo prestato dalla morte. Di una avventura che rifulge ora in un
dolce sorriso, ora in una nave, che, pur fragile, spinge verso il sogno di un
Amore nella stiva, ora in un abbraccio ad ascoltare la sinfonia del silenzio.
Ma
è nella poesia Suonano di silenzio che
si attua quel magico gioco di simbiotica fusione fra sinfonia e parola. Dove il
poeta riesce a raggiungere quell’esplosione lirica di rara Bellezza. E’ lì che
suonano di silenzio i vicoli del suo paese; ed è lì che danzano nel vento i
ricordi, mentre la bora fischia fra le case una triste nenia. Una fusione
generosa di cuore ed anima, di vertigini paniche e intuizioni verbali, un tuffo
in un mondo di solitudine che accoglie una voce per offrirla al canto:
Danzano nel vento i ricordi, e
mi sferzano.
La vita altrove è fuggita, e
con lei si son persi
i voli delle rondini e il
vociare dei bambini.
La bora fischia fra le case
una triste nenia,
come madre che culla una
bambola di pezza.
Nazario Pardini
POESIE SCELTE DALLA SILLOGE INEDITA:
Grande gioia nel trovare l'amico Franco tra i poeti del blog del grande Nazario! Conosco molto bene il suo libro e mi onora spendere ancora due parole sul suo lirismo. La ‘saudade’, sentimento inflazionato, che corrisponde a uno stato di malinconica nostalgia, nel caso del nostro Autore è lo stato d’animo per eccellenza e viene ampiamente giustificato dalla storia di vita di Franco, dai suoi anni di emigrante in Venezuela, dalla gioia del ritorno, inficiata dalla presa di coscienza di una terra bella
RispondiEliminae difficile. Una terra nella quale gli amori, gli amici, le case, i ricordi, i luoghi sono di pura, incandescente pienezza, ma la vita è aspra, priva di risorse. Malinconica nostalgia nei toni del nostro Autore e voli pindarici verso un cielo, che è riparo dai dolori ed è amico delle storie antiche e nuove. Franco, infatti, novello Piccolo Principe, è aviatore e levandosi in volo, respira l’atmosfera rarefatta di un tempo senza tempo.Quanto amore nella Silloge “Con il cuore negli occhi”! Amore filiale, amore per la propria donna, per gli amici, per la natura. Su spartiti lievi come spuma di mare le note dell’Autore di Spinoso, si fondono con pennellate degne dei pittori espressionisti e nascono tele di rara magia...
I più vivi complimenti all'artista e all'uomo. Maria Rizzi
La mia gioia è quella "di essere qui!". Grazie!
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