Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucade |
San Francesco, una figura cara a tutti
noi, forse l’unico Santo di cui tutti conoscono la storia. La mia profonda
laicità non mi permette di dissertare sul tema della fede, però posso parlare
dell’uomo e delle sue scelte, della grande forza d’animo di un giovane che si è
letteralmente spogliato di tutto per vivere in miseria ai margini della
società. Un uomo moderno, coraggioso, rivoluzionario, uno dei più grandi uomini
di tutti i tempi. Eppure la sua rivoluzione l’ha fatta appena ventenne, cos’era
prima? Forse un ragazzino viziato che se la spassava con gli amici in osteria e
guardava le ragazze del paese con occhio languido, sicuramente un uomo
privilegiato, amato, rispettato… ma un giorno, chissà quanti tormenti hanno
preceduto “quel” giorno, ha detto basta e ha cominciato a vivere di carità,
mangiando quello che capitava, anche rovistando nella spazzatura per trovare
qualche avanzo da ripulire per mangiare o per dare a chi di fame ne aveva più
di lui.
Ma di tutte le immagini che ci vengono
proposte, spesso ricorre quella del Frate servo di Dio che parla con il lupo
mentre qualche uccello gli svolazza intorno. A parte i simboli chiari che
riportano ad un’ascesi dove potremmo interpretare questo lupo come la bestia
che è in noi domata dalla santità, c’è anche l’aspetto più reale, quello di un
uomo che non aveva più casa, viveva un po’ nei boschi e un po’ in qualche
ricovero di fortuna, come poteva non avere contatti con tutti gli animali? E
anche il lupo, perché no. Ma gli parlava come dicono certi testi infantili?
Ebbene, io, che non sono credente, dico: sì, gli parlava. Come gli parlava? A
me piace immaginare Francesco che si trova in un bosco e osserva l’animale che
gli si avvicina, che si muove piano, forse ha sentito odore di carne, gli
avanzi del misero pasto di Francesco, avanzi di avanzi, ossa da leccare… e
forse Francesco resta immobile, il lupo si avvicina, non ha paura di un uomo
che si muove così bene, e Francesco è curioso, rispetta l’animale, sa che il
linguaggio degli animali non è il nostro… un giorno, due, tre, quattro giorni
di seguito, poi il lupo si avvicina senza più timore, lecca l’osso, lo mette in
bocca e scappa via. I due sono diventati amici solo perché Francesco non ha
parlato al lupo come si parla agli uomini, ma perché ha capito che ciò che
rende feroce la bestia sono solo la paura o la fame, non certo la cattiveria,
quindi la bestia non è altro che un essere che lotta per la propria
sopravvivenza. Vivendo nei boschi anche Francesco ha convissuto con paura e
fame scoprendo quanto di più bestiale ci anima, dentro, e ha domato queste due
sensazioni chiamandole sorelle perché grazie a loro ha capito il lupo…
Ma Francesco non era così con tutti gli
animali, quando una zanzara lo infastidiva sicuramente la scacciava, o la
schiacciava contro un sasso, quando una vipera lo minacciava si difendeva con
un bastone, quando una lumaca gli saliva sulla gamba provava un certo
fastidio... ma capiva che le altre forme di vita sono altre forme di vita,
creature anche loro che servono per adempiere i meravigliosi disegni
dell’universo e che senza di loro l'equilibrio del cosmo sarebbe alterato.
Francesco era un uomo, come me, come te,
come tanti… ma aveva rinunciato alla comodità e all’agio per vivere emarginato,
del resto anche Cristo predicava fuori le mura e viveva al margine della
società.
Credo che se ci fosse oggi un novello
Francesco, di difficoltà ne avrebbe molte di più di quante non ne abbia avute
l'umile Santo: non c’è un bosco dove vivere, non si può bussare alle porte
delle case per chiedere una ciotola di zuppa, per parlare con gli animali ci si
deve accontentare di ratti, gabbiani e cornacchie, per riposare al riparo
occorre trovare una stazione, un vecchio vagone, una roulotte, oppure si deve
occupare qualche casa abbandonata (ce ne sono così tante), e prima o poi stai
sicuro che qualche eroico poliziotto in tenuta antisommossa lo pesterebbe ben
bene e lo porterebbe al fresco fregandosene altamente, non dico della santità
che non si vede subito, ma dell'umanità, che comunque conta meno dei capricci
di chi preferisce che il proprio immobile (abbandonato) sia abitato da ratti
che da persone.
Con questo, oggi, voglio salutare una
delle figure più importanti della nostra storia, San Francesco d’Assisi, l’uomo
che è riuscito ad entrare nel nostro quotidiano e che merita che gli si dia un
po' più di ascolto quando dice "desidero poco, e quel poco che desidero lo
desidero poco".
Claudio Fiorentini
Ringrazio vivissimamente Claudio Fiorentini di avermi dato l’occasione di ripensare a una figura così grande e autentica della nostra storia anche letteraria.
RispondiEliminaL’agiografia dei Fioretti ha fatto certo perdere di vista la forza rivoluzionaria del Grande. Lo ha intuito bene il pittore Caravaggio che ce lo rappresenta in meditazione facendo perno sulla sua interiorità tragica. Ed è interessante quello che scrive Paolo Volponi.(1924-1994), che vi riporto:
“Io, davanti a casa mia ho l’Appennino, limpido, bello, è il rovescio di quello che aveva lui da Assisi e allora il mio pensiero va costante là, a San Francesco e al suo mondo. Amo anche la sua terra, la sua campagna, i suoi Fioretti, i suoi luoghi, la sua lezione. Che è quella di un grande rivoluzionario in nome della bellezza della Terra e della onestà degli esseri su di essa vivi e pensanti.
Oggi secondo me la sua lezione dovrebbe servire anche a trovare un senso all’Economia dell’Universo, un rapporto con la natura, con l’ambiente; non tanto per problemi ecologici, quanto per problemi di filosofia, di esistenza, di presenza umana, di espressione per gli uomini, di possibilità per tutti di intervenire, di lavorare, di rifare il disegno dello sviluppo e di partecipare attivamente tutti, nelle diverse posizioni, alle scelte.
San francesco è un po’ l’idea della felicità e della verità nel nuovo, della rivoluzione, del presente possibile. Una rivoluzione fatta cambiando il modo di agire. D’altra parte, se l’umanità non cambia è destinata a perire presto, a bruciare insieme al suo universo, miseramente. Il mondo ci è sempre più sottratto ed è sempre più lanciato verso un destino di rovina e di inerzia, dove non si ritrova nessun senso.”
M.Grazia Ferraris
Splendidi il post dell'Amico Claudio e quello di Maria Grazia Ferraris, che non ho la fortuna di conoscere. Mettere il luce la figura di San Francesco dà luce agli scopi che ci prefiggiamo se pensiamo a perseguire un tentativo di Umanesimo. «Desidero poco e quel poco che desidero lo desidero poco» diceva San Francesco. Concetto chiaro ed essenziale che oggi suona come una salutare provocazione, in una società e cultura nelle quali imperano l’ipertrofia del desiderio e la mancanza di ogni limite nel consumare le cose e nell’usare le persone. Il gesto di Francesco non significa solo la rinuncia a ogni possesso e a ogni potere; non si tratta solo di una scelta di sobrietà, pur così importante e necessaria soprattutto in un tempo di crisi: il gesto di Francesco rivela una logica che appare sovversiva rispetto agli arrivismi e alle avidità che governano il mondo. Non è l’audience o il gradimento che contano, né il successo o il denaro, ma la nuda verità di ciò che siamo davanti a Dio e gli altri. Ed è proprio questa libertà dell’essenziale che lo avvicina a tutti, e induce ciascuno a interrogarsi. Nella pubblicistica e nell’immaginario collettivo San Francesco è descritto come un giovane ribelle, un pacifista hippy, un no global, un ecologista radicale, mentre la storia ci descrive una persona umile, ubbidiente, innamorata di Cristo, animato da un incendiario fervore missionario, un radicale sostenitore dell’Eucaristia. Papa Benedetto XVI il 31 agosto 2006, parlando ai sacerdoti della Diocesi di Albano, ha detto che San Francesco «non era solo un ambientalista o un pacifista. Era soprattutto un uomo convertito». Rifuggendo da facili slogan, per Francesco d’Assisi – come lui stesso scrive nel suo Testamento – centrale è la misericordia intesa come partecipazione dell’amore misericordioso di Dio. Ogni amore al povero, nasceva in Francesco dall’amore alla povertà crocifissa del Figlio di Dio. E l’esempio francescano che sottolineava la compassione verso la sofferenza di Cristo ha imposto una nuova raffigurazione del Crocifisso: non più il Cristo triumphans, cioè trionfante (con gli occhi aperti e in una ieratica assenza di dolore), ma il Cristo patiens, cioè sofferente, col capo reclinato in una smorfia di dolore e il corpo devastato, morente. Il cosiddetto Maestro bizantino del Crocifisso di Pisa fu forse il primo artista ad introdurre in Italia questa rappresentazione, che venne poi sviluppata, su commissione dei frati francescani stessi, da Giunta Pisano, da Cimabue, da Giotto e i suoi seguaci.San Francesco ha vissuto per dare a tutti un posto nel banchetto comune dell’umanità, perché non tutti hanno un posto al sole sulla terra, i poveri per esempio non ce l’hanno, dal momento che non abitano la terra, ma il sottosuolo, i bassifondi dell’umanità, e così non possono mai sedersi a tavola con gli altri. La profezia di Francesco oggi è il nome della comune fraternità umana, della convivenza gratuita e festosa di tutti gli esseri umani, non solo di pochi puri o eletti; in cui tutti sono servi di tutti, e la vita di ciascuno è dono prezioso da amare, senza pretendere di possederlo.
RispondiEliminaGrazie infinite per tali spunti di riflessione!
Maria Rizzi