Un poema di proteiforme valenza, dove,
con toni epico-lirici, il poeta concretizza in strofe di polisemica struttura dalla rima variabile (baciata, alternata...) la sua spinta emotiva. Le strofe, composte
di versi di perfetta misura endecasillaba o settenaria, oltre a evidenziare una profonda conoscenza della metrica, riescono, anche, a tradurre la sensibilità
e la vis creativa dell'Autore in storie avvincenti di nordica memoria letteraria. Si chiude il
canto con tre versi polimetri: uno formato da quattro trisillabi in successione, il
penultimo da un quinario, e l’ultimo da un settenario.
Già avevo scritto: “… Un melologo di intensità
emotivo-misterica; un canto di memoria storica, che tanto sa di vita e di
thanatos; di guerra e di ombre su acque sorgive; un canto di cose lontane, e a
noi vicine, dove la vita e la morte si confondono tra le brume di un lago…”.
Nazario Pardini
Si tratta della rielaborazione in versi di un antico mito Irlandese, di cui diffusamente s'occupò Yeats a suo tempo ed anche James Mac Pherson e conseguentemente il Cesarotti in Italia. Il Mito del Mastino di Cullan...
Qui è la parte
iniziale, in cui l'eroe si reca sull'isola di Skya ad apprendere le arti
marziali dalla dea guerriera Scathàch.
XIX - L'isola di Skya
L'acqua si muove di sotto la nave
mentre leggera s'invola alla sponda,
dove vi è nulla di lieve e soave:
l'erto castello che è cinto dall'onda,
che, della dea, è la fissa dimora.
Qui il mio legno si mette alla fonda:
scende l'eroe e va dalla signora,
Scathàch che vive su quei duri scogli,
l'arte di guerra, insegnandovi ancora.
“Qui è bene che dell'orgoglio ti spogli.”
Dico al Mastino, ma lui se la ride,
scende dal legno, ruggendo alle sfide.
Viene di corsa, saltando le rocce,
come il salmone fa sulle cascate:
viene Setànta sul ponte che oscilla,
lo salta di slancio e sembra volare.
lo guarda, la dea, torva e sprezzante,
la lancia afferra e poi corre distante.
Viene Scathàch, come nembo di fiamma:
saltar del cervo, il suo passo veloce,
intanto che il cuore d'ira s'infiamma,
si fa il suo sguardo crudele e feroce.
Si erge dall'ombra ed impugna la lancia,
e s'apre l'aria e saetta Gae Bolga:
sotto quel colpo, l'eroe si sbilancia.
Cade il Mastino, ma presto risorge,
si alza da terra, qual sole che sorge.
XX - La sfida alla dea
E viene Scathàch, saltando sui fossi,
dove, dei morti, biancheggiano l'ossi,
viene furente di rabbia divina,
lei, nata donna, ora dea che rovina.
Nessuno salva dalla sua furia:
piegò quei pochi con la lussuria;
maestra di guerra, delle armi è sovrana,
nessuno che osi chiamarla puttana.
Cadono le teste, sotto la spada
della guerriera che sbarra la strada
all'erta rocca, che è cinta dall'onda
dove il guerriero, s'accosta alla sponda.
Grida la dea con rabbia potente,
si perde l'eco al sibilar del vento:
di questo, l'eroe, sorride contento.
La mano mette alla spada lucente
e poi la guarda, anche lui sorridente.
Si frange il mare, tuonar da spavento,
sulle aspre rocce, dove io meno sento.
Urla il guerriero, la sfida furente,
regge lo sguardo della dea veniente:
suona l'acciaio, con forte clangore,
e lei sorride, vedendo il valore.
La colpisce il Mastino,
ed è proprio il dolore
che la conduce ben presto all'amore;
alza la spada e s'avanza prudente,
nella sera incipiente,
disarma l'eroe con forza suprema,
vola la lama,
ma lui no, che non trema!
L'acqua si muove di sotto la nave
mentre leggera s'invola alla sponda,
dove vi è nulla di lieve e soave:
l'erto castello che è cinto dall'onda,
che, della dea, è la fissa dimora.
Qui il mio legno si mette alla fonda:
scende l'eroe e va dalla signora,
Scathàch che vive su quei duri scogli,
l'arte di guerra, insegnandovi ancora.
“Qui è bene che dell'orgoglio ti spogli.”
Dico al Mastino, ma lui se la ride,
scende dal legno, ruggendo alle sfide.
Viene di corsa, saltando le rocce,
come il salmone fa sulle cascate:
viene Setànta sul ponte che oscilla,
lo salta di slancio e sembra volare.
lo guarda, la dea, torva e sprezzante,
la lancia afferra e poi corre distante.
Viene Scathàch, come nembo di fiamma:
saltar del cervo, il suo passo veloce,
intanto che il cuore d'ira s'infiamma,
si fa il suo sguardo crudele e feroce.
Si erge dall'ombra ed impugna la lancia,
e s'apre l'aria e saetta Gae Bolga:
sotto quel colpo, l'eroe si sbilancia.
Cade il Mastino, ma presto risorge,
si alza da terra, qual sole che sorge.
XX - La sfida alla dea
E viene Scathàch, saltando sui fossi,
dove, dei morti, biancheggiano l'ossi,
viene furente di rabbia divina,
lei, nata donna, ora dea che rovina.
Nessuno salva dalla sua furia:
piegò quei pochi con la lussuria;
maestra di guerra, delle armi è sovrana,
nessuno che osi chiamarla puttana.
Cadono le teste, sotto la spada
della guerriera che sbarra la strada
all'erta rocca, che è cinta dall'onda
dove il guerriero, s'accosta alla sponda.
Grida la dea con rabbia potente,
si perde l'eco al sibilar del vento:
di questo, l'eroe, sorride contento.
La mano mette alla spada lucente
e poi la guarda, anche lui sorridente.
Si frange il mare, tuonar da spavento,
sulle aspre rocce, dove io meno sento.
Urla il guerriero, la sfida furente,
regge lo sguardo della dea veniente:
suona l'acciaio, con forte clangore,
e lei sorride, vedendo il valore.
La colpisce il Mastino,
ed è proprio il dolore
che la conduce ben presto all'amore;
alza la spada e s'avanza prudente,
nella sera incipiente,
disarma l'eroe con forza suprema,
vola la lama,
ma lui no, che non trema!
grazie ancora una volta per il suo commento e la sua stima, professor Pardini
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