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giovedì 9 ottobre 2014

N. PARDINI: LETTURA DI "TEMPO VUOTO" DI SONIA GIOVANNETTI



Sonia Giovannetti: Tempo vuoto
Edizioni Tracce. Pescara. 2013. Pg. 72

È il tempo della poesia un tempo reinventato

Amo l’aria tersa
che si respira vicino alle cime
innevate
o calve che siano.

Mi appassiona l’aria trasparente
di quelle altezze.
Posso guardare l’insieme
delle piccole cose finite
e
l’infinito dello spazio.

Un’arrampicata verso lo spazio etereo, vicino alle cime innevate o calve dalle quali l’occhio e l’anima della poetessa possano aprirsi ad orizzonti vasti e luminosi per ovviare alle aggressioni del tempo e del luogo. D'altronde la poetessa afferma: “… È il tempo della poesia un tempo reinventato di cui il poeta ha bisogno per costruire paesaggi, dimensioni, luci, significati che egli mette insieme in un nuovo orizzonte di senso. In quello che, finalmente - direbbe Proust - è un tempo ritrovato, e perciò amico”. Una spinta verso la libertà, un’apertura verso l’infinito per sottrarsi alle ristrettezze a cui è vincolato il nostro essere terreni. Sta qui l’elevazione spirituale, quasi ascetica di Sonia, in questo afflato di echi e sussurri oltre la grezza materia:

Finestra aperta
su un universo da assaporare,
da ascoltare nei suoi echi e sussurri,
nei suoi richiami che superano la grezza materia
elevando lo spirito,
a che non resti a terra per sempre (Tra queste alture),

pur partendo sempre da una realtà, da una verità, che, contemplate dall’alto, ci offrono una visione ariostea del mondo, rimpicciolita, ma non tanto da non offendere, con le brutture sociali e con le aporie disumane, la  sensibilità della Nostra:

Non sparare, non sparare alla vita.
[…]
Intreccia le mani in un girotondo
attorno al fuoco della pace.
Fai ardere la passione di ogni puntino di luce
che attende dietro la porta del futuro.
[…]
Ascoltami uomo (Un’unica città).

 Ma in Sonia prevale su tutto la voglia di ricerca, l’urgenza di scoprire la parte di sé a lei sconosciuta. E si sa che l’animo umano tende al di là del circuito stretto in cui il nostro vivere è circoscritto. Da qui l’azzardo oltre il limen, oltre la siepe che traccia la chiusura del nostro esserci. Un volo verso l’infinito dello spazio, verso quella pluralità che ci completi, verso quella totalità da cui veniamo e verso cui aspiriamo. Una completezza di difficile portata e assai improbabile da raggiungere, dato che siamo destinati, noi mortali, ad una miopia congenita, per cui il nostro sguardo non può superare orizzonti prestabiliti. Forse è la  poesia il tramite secondo il quale l’Autrice può ambire a vincere la caducità del tempo e rendere il presente perpetuamente afferrabile in uno abbrivo verso ambiti sublimati, al di fuori e al di sopra dell’hinc e del nunc; dell’ “aria vacua e sospesa/ di chi non ama/ chiusa da catene/ ignara della vita.”, per perdersi nell’“aria trasparente/ di quelle altezze”. Un messaggio fortemente umano quello che esce da questa silloge, un messaggio che arriva a noi tutti per la sua forza esistenziale. C’è l’amore, c’è la coscienza della precarietà della vita, quella di una Bellezza verso cui la Nostra aspira con tutta la sua energia creativa; c’è “l’amore per quel tempo vuoto/ pieno di un nulla affollato di cose,/ di quelle che ho perdute/ e che non mi perdonano/ di quelle che non ho ancora avuto/ e che non posso perdonare”; c’è il memoriale con tutta la sua forza rievocativa; c’è la solitudine, quella di un mondo che non si ritrova; c’è la fuga e l’ansia del ritorno (sarebbe bello riavvolgere il nastro./ Ritornare al prima); c’è il viaggio di ogni giorno, in cui “Tu viaggi con me/…/ Corri sui miei pensieri,/…/ Porti il mio cuore nell’aria./ Cellula dissolta nello spazio/ Che perde luogo e tempo.”; c’è il sogno; e c’è la Poesia, sì, quella maiuscola, quella a cui la scrittrice offre tutta se stessa, perché sa che è l’unica cosa a non tradirla, ed è a lei che affida il suo messaggio vicissitudinale; lo fa colle onde del mare convinta che in ogni momento ed in ogni luogo possa riemergere per favorire la  Bellezza del mondo, “Per non morire/ nel frastuono./ Per vivere d’amore.”. Un messaggio di sapore foscoliano, che tende a vincere il caduco con l’energia polisemica dell’arte. Un messaggio che si renda eterno come eterno vuole che sia il suo canto:

Quando spingo l’altalena
che mi fa arrivare più vicina alla luna
so che la poesia è libero volo.
Ha le ali grandi          
e forti.
E’ salvezza (Il mio volo).

Un libero volo che si traduce in aspirazione alla totalità e che si fa alimento dello scandalo delle contraddizioni; dell’ossimorica e perpetua diatriba fra ciò che non è più e quello che è stato. Fra il contingente temporale e l’avventura verso la luna, fra il buio e il ritorno ad antiche primavere “quando tutto sembrava eterno/ e ogni sorriso cullava il cuore./ Quando lo scatto del vivere/ aveva ancora lo scintillio del domani.”. Ed è qui la vita, in questa simbiotica fusione fra il bello e il brutto, fra il male e il bene, fra la realtà e il ricordo: un memoriale che riporta foto tanto soffici da edenico riposo, da nirvana che spesso è il risultato di una realtà riveduta e trasformata. Lievitata dentro noi dopo una lunga macerazione. Dopo un esistere che potrebbe pur sempre approdare ad un’Itaca lontana e vicina; determinata ed indeterminata; brumosa o lucente;  ma che la poetessa porta in seno, perché aspirazione al completamento, a quella fusione empatica di cui il mare rappresenta il simbolo più visivo; una pace mai raggiungibile non tanto per questioni  geografiche quanto per inquietudini interiori; per quelle conflittualità che alimentano la sua storia:

Io lo so
cosa vuol dire avere un’Itaca.

E’ una pace che non riesco mai a trovare.

La cerco, eppure
resto sempre sul bordo del mare.

Metà del mio spirito
si inclina sulle onde per partire.
Metà si ritrae per restare.

In mezzo il mio io
che non sa scegliere.

Itaca,
mio sogno certo (Itaca).

Un sogno che tutti abbiamo nascosto nello scrigno più segreto della nostra anima; il sogno della vita, che, in definitiva, rappresenta la vita stessa fatta di fughe e ritorni; o meglio tentativi verso mète liberatorie spesso annullati dalle profondità delle nostre radici.     
Una poesia totale quella della Nostra, che tocca, con la sua polisemica significanza, tutti i tasti dell’umano vivere. E lo fa con una voce chiara e genuina senza tanti ricorsi a costrutti retorici, a allusioni simbolico-iperboliche, o a figure stilistiche di complicata lettura. Tutto scorre con gentilezza e armonia, con forza attrattiva e generosità esplorativa. Un linguismo naturale che, con alternanze di misure brevi (monosillabe, trisillabe, quadrisillabe) a versi di più ampia stesura, forma uno spartito da melodia lirica. Uno spartito che col suo variare cerca di farsi tatuaggio, amico schietto e fedele di una tale potenzialità interiore da lasciare di stucco. Ed è questo abbraccio che convince.  Questo avvinghiarsi del verbo ai subbugli creativi. Alle vertigini emotivo-sensoriali di cui la Nostra è capace. Subbugli e vertigini che nascono da un sapore di esistere consegnato a una parola portata lontano dal vento:          

Se veramente fosse possibile
raggiungerei l’ascolto
m’impegnerei a lanciare la parola.
E farla portare dal vento.
Lontano.

Farla scendere ad ogni stazione.
Appoggiarla e vestirla di senso.
Ma certi viaggi sono lunghi (Canto di vita).

Sì, la parola. E sembra che la poetessa sappia che la parola è uno strumento umano, tanto umano da non  poter seguire pienamente i voli spaziali dello spirito. L’una è una creazione terrena, l’altro è qualcosa di superlativo, e inarrivabile, tutto vòlto a raggiungere gli slarghi azzurri del Cielo. Da ciò la ricerca lessico-fonica della Nostra. Una ricerca attenta e instancabile per forgiare innesti e sintagmi adatti a concretizzare l’ondulazione di un sentire cullato da un canto che dia senso a una storia:

Basterebbe una melodia
ad accompagnare il mio sogno.
Un suono che non mi facesse
sentire la solitudine del mondo.
Solo con il canto
potrei dare un senso al mio volo (Senza ali),

magari in un luogo incantato:

C’è un luogo incantato
dove ci incontriamo.
Ho metà del corpo da portare.
E tu,
l’altra parte che manca.
[…]
Solo lì
siamo quell’insieme
che diventa uno.
Senza ruote che ci trasportino.
Senza l’affanno di non sapere
il perché (Noi insieme, come tutti),

magari nelle ampie distese dei campi accompagnate da note di una canzone ballata col suo lui:

Ti ho cercato
nelle ampie distese dei campi,
[…]
Ti ho aspettato.
[…]
Ti ho trovato.
[…]
E’ andare avanti, avanti, avanti.
E’ sapere quanta speranza resta
ora che vedo in un raggio di sole,
ora che il tempo ha il tuo nome
e le note di una canzone che ballo con te (Musica del cuore),

o magari nella grande avventura dell’esistenza:

E la luce si accende,
in questa grande avventura
che è la vita a cui vado incontro (Tra queste alture).

Ma è il mare che in definitiva visualizza la grande espansione della spiritualità di queste poesie. Quel mare che da sempre ha significato l’aspirazione all’infinito dell’animo umano. Ed è proprio qui il nocciolo tematico di Sonia Giovannetti: in questa aspirazione che coinvolge il tempo, l’amore, il canto, la solitudine, la memoria, la quiete:

Nel mondo
ci vorrebbe quel fiume
che conduce al mare (Attesa di un fiume).

Mentre scorre il sole sulla terra
alla notte quieta torno,
ritrovando il mare.
Seppur da sola vago (La mia pace),

che coinvolge la vita:

Amerò, semplicemente.

Sceglierò la vita,
ricordandoti (Un ricordo).


Nazario Pardini 

1 commento:

  1. Gentilissimo Professore, come sempre lei mi lascia senza fiato e mi commuove. La sua attenzione per la mia poesia mi onora e gratifica. Il saggio che offre ai miei occhi e a tutto il mio sentire è davvero "un'arrampicata verso lo spazio... vicino alle cime..." e vedo gli "orizzonti vasti e luminosi" delle sue parole.
    Nel ringraziarla infinitamente per i suoi preziosi e lusinghieri pensieri, mi permetto di dire che lei ha perfettamente ragione nel ritenere che in me "prevale su tutto la voglia di ricerca, l'urgenza di scoprire". E davanti alle sue riflessioni alimento questo bisogno. Scopro, imparo.
    Sonia Giovannetti

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