La
poesia si apparta, abita sentieri umbratili, si nasconde negli anfratti del
quotidiano e si svela. È squarcio che si apre in recondita terra e in segreto
cielo, e mai si arrende alla luce. Un incipit che fa del canto una diagnosi
personalissima e al contempo oggettiva. In fin dei conti cosa è mai questa
misteriosa correlazione fra anima e verbo. Questa simbiotica fusione fra input
emotivo-esistenziali e fonosimbolismi se non che ricerca di noi attraverso abbrivi, folgorazioni, e intrecci
fono-prosodici che si fanno poièin: comportamenti, pensieri, irrequietezze,
fughe oniriche che tanto sanno di aspirazioni mancate o di alcove di edenico
riposo. Ed è da là che parte la poesia, dalle minime cose, da una realtà che
cerca di nascondere ai nostri occhi le sue insidie; da quella che dà l’idea e
il sapore della Bellezza; dalle sue contaminazioni paniche per concedersi a chi
sa cogliere lo sguardo di una rosa d’autunno, un palpito del cuore nella tetra
materialità del mondo; è da là che parte per slanciarsi verso l’alto, verso la
luce dell’universo, le brume del
quotidiano in un azzardo che ci porti oltre quella siepe che delimita i nostri
spazi. Dacché è umano volerci svincolare dalle sottrazioni della terrenità per
godere di azzurri che ci illuminino; di una luce ambita, ma di cui, al fin fine,
non arriveremo mai a gioire del tutto, considerando
gli apodi sguardi del nostro essere terreni; la conflittualità della nostra
diatriba pascaliana. E il tutto in un melologo
fra mistero, passione,
sensibilità, sogno, e sinfonie etimo-allusive che accompagna “il pallido volto della luna di malinconia pervaso, e
chiama a sé chi si china sull’umile fiore/ di campo e imbocca la via
secondaria,/ imperfetta, non forgiata dal desiderio,/ma dalle ali spiegate del
tempo”. Poesie queste, di Anna Santarelli, ampie, distese, zeppe di humanitas e
vis creativa, i cui versi, con generosità euritmica, sono speculari alle
cospirazioni emotive che li generano. Una narrazione di perspicua sapidità
esplorativa; di estrema vicinanza al nostro sentire per l’ardore allusivo delle
metafore che ampliano con visività i significanti del dettato poetico; dove il
prolungarsi di enjambements in una ricerca dell’esistere e del patrimonio mnemonico-ontologico si traduce in
un barlume nella cecità del tempo. Dacché “I poeti lo sanno e per questo consacrano ogni passo,/ ogni gesto, anche
nella cecità del tempo/ riconoscono un barlume, e già lungo/ i viali della
notte sentono in cuore/ germogli d’albe nuove”. Una epifanica ri-nascita che fa
del buio un chiarore d’albe nuove; che fa della parola “un ponte
invisibile,/impastato di mistero, che unisce le rive/d’uno stesso fiume”; che
fa della parola quel significato di saudade creativa in cui la Poetessa si
ritrova specchiandosi nella voce degli altri; riconoscendovi un palpito di luce, un incontro
di sguardi; quella verità che, mista di dolore e di speranza, affiora tra i
versi di un poeta. Ed è ad essa che, alfine, si affida; alla parola, che:
… sa
prendermi per mano,condurmi
per
contrade vicine e lontane,
oltre
questa luce che si sfalda nel manto
del
crepuscolo e il sole che ritorna
alle
braccia clementi del mare.
Nazario Pardini
S’apparta la poesia
S’apparta la
poesia, abita sentieri
umbratili, negli
anfratti del quotidiano
si nasconde e si
svela.
E’ squarcio che s’apre su recondita terra
e in segreto cielo,
mai s’arrende alla luce.
Si concede talora
al viandante che attraversa
ogni attimo, nella
pienezza della sera
muore e rinasce
all’alba del nuovo giorno.
A chi sa cogliere
lo sguardo d’una rosa
d’autunno e un
frammento del vero,
un palpito del
cuore, nella tetra materialità
del mondo.
S’adagia la poesia
in un’anima assetata
d’amore e sa
essere grembo di parole
che stempera il
dolore e altri sentieri
schiude, altre
impressioni.
Accompagna chi
conosce la fatica
del cammino e
ancor più della luce
sfolgorante di
mezzogiorno apprezza
il timido raggio
di sole che piano
si fa strada nella
nebbia, il pallido volto
della luna di
malinconia pervaso.
A sé chiama chi si
china sull’umile fiore
di campo e imbocca
la via secondaria,
imperfetta, non
forgiata dal desiderio,
ma dalle ali
spiegate del tempo.
I poeti lo sanno
Una stella non è
solo un astro, ma fascio
di luce a
rischiarare il buio del cuore,
destino forgiato
nella creta del mondo,
e la notte mai
offusca i passi del tutto,
ma diviene vivida
sorgente di sogni.
Un papavero non è
solo l’umile rosa
dei campi che
presto si spoglia, ma
onda di fuoco in un mare di grano,
gioia inconsueta
sul ciglio della strada.
I poeti lo sanno,
tra le righe del mondo
amano leggere,
alla fonte del divenire
si bagnano, gemme
di grazia colgono
nel macero delle
passioni e delle attese.
Nei dirupi dell’anima
s’inoltrano
con tutto il
coraggio possibile
a raccogliere
frammenti di vita
a ricomporre una
storia tra le mani.
I poeti lo sanno,
consacrano ogni passo,
ogni gesto, anche
nella cecità del tempo
riconoscono un
barlume, e già lungo
i viali della notte
sentono in cuore
germogli d’albe
nuove.
E’ allora che mi
specchio nella parola d’altri
Scaturisce la
parola da un grembo
d’ombre e di
silenzi, poi sboccia alla luce
e alla libertà del
mondo si consegna.
Incontra lo
sguardo distratto dei più,
l’indifferenza che
si tinge d’inquietudine,
il solipsismo di
oggi.
Ma accade, talora,
che un ponte invisibile,
impastato di
mistero, unisca le rive
d’uno stesso
fiume.
Accade quando mi
spoglio d’ogni orpello,
d’ogni costruzione
del pensiero,
pretese e miraggi
di false simmetrie
abbandono, e
l’anima dispongo ad altro canto.
Ad altro ascolto.
E’ allora che mi
specchio nella parola d’altri
vi riconosco
un’orma, un palpito di luce
che si fa incontro
di sguardi, a sfiorare
sillabe di quella
verità che dimora
nelle pieghe del
mondo e mista di dolore
e di speranza
affiora tra i versi d’un poeta.
Da inconsunte
radici rinasce la parola
in mille risonanze
s’espande
-
echi di memoria, suggestioni del domani -
in veste di
mistero m’avvolge.
E sa prendermi per
mano, condurmi
per contrade
vicine e lontane,
oltre questa luce
che si sfalda nel manto
del crepuscolo e
il sole che ritorna
alle braccia
clementi del mare.
Anna Santarelli
Grazie al Prof. Pardini per l'analisi profonda e articolata dei miei testi. Grazie per aver messo in rilievo l'arcano intreccio di esistenza e poesia, di anima e parola, per aver evocato quella ricerca personale che per me si configura come domanda di senso. Grazie per aver ricordato che la poesia nasce nel quotidiano e da qui si proietta verso altri cieli.
RispondiEliminaAnna Santarelli