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martedì 4 novembre 2014

UMBERTO CERIO SU: "LA DECADENZA DELLA MODERNITA'", DI F. CAMPEGIANI


Umberto Cerio collaboratore di Lèucade

DA: "FRANCO CAMPEGIANI: "LA DECADENZA DELLA MODERNITA'"...": 

Molto interessanti e stimolanti le argomentazioni proposte, di virtuosa chiarezza - di Franco Campegiani - nel suo sviluppo consequenziale e soprattutto nel dialogo aperto e nel confronto con le note (altrettanto ragionate e coinvolgenti di Pasquale Balestriere.Un dibattito costruito sul consenso reciproco e su un filo dialettico-culturale di grande profondità e pregnanza, che spazia nei tempi dilatati del presente e del passato,fino alla condizione esistenziale "dell'uomo nella sua fusione col mondo", dove al "mito della fusione...non si può opporre il mito della distinzione ...dei secoli passati". "Oggi occorrono miti nuovi", continua Campegiani. Certo, il problema (e direi le sue soluzioni) oggi non è quello di aggrapparsi al mito e vivacchiare così nel e del passato, ma è quello di una nuova mitografia. Ma, incalza Balestriere, L'uomo che io dico cerca di riagganciarsi alle origini, diventa esploratore di se stesso, è sempre sulle tracce di verità e giustizia, libertà e bellezza". Mitografia e -aggiungerei- attualizzazione del mito, Mito come avventura dell'anima, come passione sempre spendibile e sperimentabile. Attualizzazione del mito, perché oggi la bellezza ma anche i drammi e le tragedie ineluttabili che segnano la nostra contemporaneità, sono, sebbene cambiati l'ambiente e la cultura dei popoli, non molto diversi dal passato. Se una donna, oggi, uccide i suoi figli perché il suo sposo l' ha abbandonala distruggendo i suoi sogni e le sue speranze, se un'infermiera che non viene riassunta al lavoro si lascia morire facendosi togliere un poco di sangue ogni giorno, un poco per volta, per porre sotto accusa "il potere" disumano e indifferente, incapace di soluzioni: ebbene queste due donne che cosa hanno di tanto diverso da Medea e da Antigone, l'una ripudiata dal marito l'altra suicida contro una legge "umana" ingiusta e blasfema? Noi oggi siamo anche la coscienza del nostro passato. E chi non ha un passato non ha neppure un futuro. Non possiamo non tenerne conto.

Umberto Cerio 

3 commenti:

  1. Sono d'accordo con te, Umberto, quando sostieni che i fatti "che segnano la nostra contemporaneità, sono, sebbene cambiati l'ambiente e la cultura dei popoli, non molto diversi dal passato". Proprio per questo, a mio avviso, non dobbiamo pensare più di tanto al passato. Più ci pensiamo e più lo allontaniamo, perché lo storicizziamo, lo collochiamo in un tempo e in un luogo, invece di lasciarlo fluire dentro di noi. Il passato è vita che ci vive dentro, come il seme è nel frutto, come il padre è nel figlio, silenziosamente, senza bisogno di chiacchierare. E' questa l'"humanitas" che si tramanda da sempre, e che se appartiene al "sempre", non è identificabile con un tempo ed un luogo precisi. I miti ci sono da sempre e sono da sempre gli stessi, ma ogni generazione ed ogni persona sono chiamate a riscoprirli autonomamente, percorrendo vie singolari. In ciò sta la creatività dei miti. Sono eterni perché stanno nella vita, vivono in me, qui ora, come vivono nel sangue e nelle cellule di qualsiasi altro essere umano, a prescindere dal luogo e dal tempo in cui esso vive. Ciò non significa che i miti agiscano meccanicamente, tanto meno nei periodi di flessione culturale, come quelli in cui viviamo.
    Franco Campegiani

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  2. E' vero, Franco, il passato è il nostro patrimonio spirituale, il nostro seme e le nostre radici, il frutto dell'embrione-pensiero, come il mito è dentro di noi e fuori di noi, come il pane, il lievito vivificatore dell'essenza della nostra spiritualità. E non per questo bisogna sentirlo meno vivo. Io non sostengo che noi dobbiamo vivere nel passato o nel mito, rinunziando alla nostra creatività, al nostro presente ed al nostro futuro.Parlo di un mito attualizzato, vissuto oggi, perché non noi viviamo nel mito, ma è il mito che vive in noi. In ciò concordo con Robbe Grillet e noi dobbiamo essere capaci di ritrovarlo nella vita dell'umanità, nella storia dell'uomo in quanto tale,nel progredire della civiltà, nel trovare nuovi punti di riferimento, nuove avventure dell'anima. E dopo la fine della "Modernità"siamo alla ricerca di nuovi riferimenti, di nuovi fermenti culturali, anche per superare questo pensiero negativo dell'età che stiamo attraversando. Ma non è in nostro potere modificare tout court la realtà che ci ha imposto la mistificazione di di chi detiene il potere (ormai da secoli), senza la presa di coscienza della maggioranza. Bada bene, non è una nuova utopia che cambierà le cose, anche se la forza dell'utopia è immensa e può essere dirompente. Mi fermo qui perché non è questo il luogo di un dibattito che andrebbe al di là dei limiti di questa discussione, anche se il seme c'è quasi tutto.
    Umberto Cerio

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  3. Le utopie pensano a cambiare il mondo. I miti sanno che il migliore dei mondi possibili è quello che abbiamo avuto in dono. Con questa osservazione, se non ci sono altri interventi, concludo lo stimolante dibattito, ringraziando Umberto Cerio e tutti coloro che sono intervenuti. Non trascurando, è ovvio, l'animatore infaticabile del presente, preziosissimo spazio culturale, il Prof. Nazario Pardini.
    Franco Campegiani

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