Ubaldo De Robertis, L’epigono di Magellano, Catania, Edizioni Akkuaria, 2012, pp. 190
Ubaldo de Robertis, già noto al pubblico per
i diversi racconti e libri di poesia pubblicati, ci offre ora, con L’epigono di Magellano, un’opera
narrativa di grosso respiro. Si tratta di un romanzo di formazione, che
rappresenta il passaggio del protagonista Michele da uno stato di incertezza,
sfiducia, disistima di se stesso («fisico modesto… scrittore senza avvenire…
mediocre scienziato e scrittore», si definisce a p. 20 e p. 45), da uno stato
di confusione-disordine sentimentale (diverse esperienze con ragazze, ma nessun
legame vero e nessuna scelta) a uno stato di chiarificazione e maturazione, col
ritrovamento di se stesso, di alcuni valori fondanti e di una propria strada,
grazie anche alla compagnia e all’esempio del suo gatto Magellano.
Il
testo, in cui l’io narrante narra due vicende parallele interscambiabili,
quella del protagonista e quella del gatto, è nutrito di cultura. Diverse
citazioni colte lo evidenziano, ma culturale (e quindi costruito dalla mente e
dalla fantasia creatrice dell’Autore) è tutto l’impianto. C’è la dimensione umanistica di questa cultura, dovuta agli studi liceali, all’amore
per i classici latini e greci e per la letteratura, la narrativa, la poesia: il
protagonista ha scritto anche un romanzo, che poi brucerà. C’è la dimensione scientifica: Michele è un ricercatore universitario in Fisica che
spesso affronta tematiche scientifiche, tecniche, filosofiche. Predominante è
la dimensione scientifica, ma è giusto così perché contribuisce a creare il milieu più consono alle problematiche
toccate e al modo di pensare e di agire proprio di un fisico. Per questo le discussioni (anche quelle in cui si parla
della funzione della letteratura, del bravo scrittore, di certi critici, pp.
45, 129, 140, 142, 150s.,49, 111), lungi dall’essere noiose, risultano
interessanti e coinvolgenti, anche perché sono misurate, contenute, espresse
con estrema chiarezza e vivificate dall’immedesimazione appassionata dello
scrittore.
Per dare un’idea della quantità di
riferimenti dotti, ecco un elenco di nomi: Victor Danemore (personaggio ucciso
nel film Foreign Intrigue), Jacques
de La Palice, Guillaume Apollinaire, Michail Bulgakov e il romanzo Il Maestro e Margherita (ricordato più
volte assieme a Margherita, al gatto Behemot e al diavolo Woland), Joann Sfar,
il Faust di Goethe, Giacomo Leopardi
e I Paralipomeni della Batracomiomachia,
il filosofo austriaco Rudolf Steiner, Molière e la commedia Tartuffe, John Steinbeck e il romanzo Uomini e topi, Carl Gustav Jung, Grazia
Bordoni (docente di scuola media e studiosa di astrologia), il fisico e
matematico austriaco Erwin Schrödinger, lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano
e il romanzo storico Memoria del fuoco,
Carlo Emilio Gadda e La cognizione del
dolore, Isaac Newton, Charles Robert Darwin, l’attore e regista americano
Johnny Depp, il cantante norvegese Varg Vikernes, Eugenio Montale, Anna
Achmatova…
I riferimenti culturali sono sempre inseriti
nel contesto creativo, fondendosi con le vicende del romanzo e perdendo la loro
natura erudita. Qualche esempio servirà a spiegare questo concetto. A p. 39 si
ricorda la gatta Muezza, cui Maometto era molto affezionato, tanto da farsi
recidere una manica della veste (dove l’animale si era addormentato), per non
turbarne il sonno. Al romanziere de Robertis basta un solo verbo (accoccolarsi) per riempire la scenetta
di tutto il suo affetto per la gattina del profeta, per Magellano e per tutti i
gatti del mondo: «… una gatta pigra che amava accoccolarsi nella manica della
sua veste». A p. 18 viene ripresa una dichiarazione del poeta Apollinaire,
secondo il quale, per avere una vita comoda, gli erano sufficienti una donna
ragionevole, un gatto e dei veri amici. Prendendo lo spunto da questa
affermazione, de Robertis fa un confronto tra il poeta francese e il suo
Michele, mescolando le due situazioni e rivestendole con un sottile filo di
ironia, che è una caratteristica fondamentale e diffusa della sua scrittura e che,
a mio parere, è il vero elemento autobiografico del romanzo. Ecco il pezzo: «…
Io di amici ne avevo solo uno [Marco Pardini]; il migliore gatto in
circolazione rispondeva al nome di Magellano, ma della femmina ragionevole
nessuna traccia. Anzi, Camilla pareva animata da una gelida ostilità».
L’epigono
di Magellano ha una struttura lineare. A parte qualche flashback, possiamo
dire che fabula e intreccio qui coincidano, in quanto la narrazione in genere segue
l’ordine cronologico-causale degli avvenimenti. I personaggi sono presentati con pochi e illuminanti tratti, in parte all’inizio e in parte nel
corso della vicenda. In genere si dà spazio più alla descrizione della
fisionomia psicologica dei personaggi che alla descrizione dell’aspetto fisico.
I dati fisici sono più presenti nei ritratti femminili. I pochi flashback arricchiscono il quadro e
scolpiscono meglio personaggi e stati d’animo
Quanto al tipo di prosa, siamo di fronte a
una prosa generalmente referenziale. Come è noto, una lingua si dice
referenziale quando denota, indica chiaramente, esplicitamente e in modo
oggettivo
una
realtà o un contesto situazionale, senza voler aggiungere o sottintendere
alcuna connotazione, alcun significato simbolico recondito. La poesia è il
campo privilegiato della connotazione. Tuttavia, questo linguaggio, sia pure
referenziale, ha in sé (non so se in modo cosciente o inconsapevole da parte
dell’Autore) una forza espressiva tale da sprigionare e sollecitare emozioni,
sensazioni, sentimenti.
La
lingua usata è un italiano medio-colto, preciso, attuale, lineare, asciutto,
sintetico. La sintassi predilige forme paratattiche, più snelle e rapide, oltre
che più efficaci. Naturalmente, nelle
discussioni
scientifiche o tecniche il linguaggio si fa più sostenuto e il periodare si
snoda lungo strutture ipotattiche, più complesse.
Come
ho già lasciato intendere, questo romanzo non è un prodotto semplicistico
(simile a tanti altri in circolazione oggi), ma ha una matrice colta. Lo
scrittore Ubaldo de Robertis mostra di possedere una grande padronanza della
tecnica compositiva, ma questa tecnica e questa cultura sono nascoste
sapientemente, tanto da sembrare inesistenti. E l’arte, la vera e grande arte
sta proprio là dove la tecnica c’è ma non si vede e, quindi, non soffoca il
sentimento.
Assodato che il romanzo va letto per capirlo
veramente e gustarlo e che qualsiasi recensione è sempre una lettura parziale e
incompleta, concludo con la citazione di un passo (p. 57 s.), in cui una serie
di piccoli e semplici accorgimenti tecnici (intenzionali o non intenzionali)
trasmettono con la più grande naturalezza di questo mondo una serie di
informazioni, allusioni, sentimenti. Michele adolescente va col padre per la
prima volta a raccogliere funghi sui monti vicini alla loro città (mai nominata
nel testo, ma identificabile con Pisa). Il ragazzo, immerso nella natura,
scopre a poco a poco un mondo nuovo, straordinario, che gli accende gli occhi,
la mente, i sensi. La narrazione incomincia con un verbo in terza persona plurale
(«Iniziano le perlustrazioni») e subito passa alla seconda persona singolare
(«e cominci a scoprire i mondi vicini e quelli un poco più lontani, mai visti
prima»), un tu che l’io narrante in
realtà rivolge a se stesso stupito. Lo stupore aumenta man mano che Michele
osserva gli elementi circostanti, che vanno dal più grande al più piccolo
(«Anche le colline più prossime alla città, le guardi con insolita attenzione,
e più d’appresso il sottobosco, le piante, i cespugli, e per ogni fungo…»),
fino a fermarsi, una volta trovato il fungo, sulle sue singole parti, il cui
elenco è tutto pieno di meraviglie e non conserva più niente della sua origine
tecnico-scientifica («e per ogni fungo: il cappello, l’anello, il gambo, le
lamelle, le spore»). Il pezzo si chiude con la descrizione del luogo che si sta
calpestando, insistendo a lungo sulla consonante sibilante s, che esprime efficacemente i suoni, il brusio, lo scalpiccio
prodotti dal camminare nel silenzio palpitante della natura («Il fruscio sotto
gli scarponi, sfuggito al silenzio del bosco, il passo accorto del genitore
lungo i sentieri sterrati che serpeggiano sotto castagni secolari, dentro lo
scricchiolio delle foglie calpestate, e l’aria fresca che sa di muschio. È
quanto di meglio si possa immaginare!»).
Michele Battaglino
Biografia
di Michele BATTAGLINO
Michele
Battaglino, nato a Genzano di Lucania (PZ) il 22-3-1944, si è formato
culturalmente a Potenza, Bari e Pisa, dove si è laureato in lettere classiche.
Per venti anni docente di italiano e latino nel liceo scientifico del suo
paese, è stato, poi, preside di liceo classico a Susa, Volterra e Pisa (in cui
risiede da diversi anni). Dal 1991 al 1997, come membro del Consiglio Direttivo
dell’IRRSAE della Basilicata e responsabile del servizio “Metodi e tecniche della ricerca sperimentale” nella scuola
superiore, ha partecipato in qualità di relatore a vari convegni nazionali e ha
tenuto in Basilicata corsi di aggiornamento per docenti, soprattutto sulle
metodologie dell’insegnamento del latino, compresa la cosiddetta didattica breve. Dal 1996 al 2001, ha
diretto corsi di formazione per docenti immessi in ruolo e ha presieduto
commissioni di concorsi a cattedre.
Ha pubblicato quattro raccolte di poesie (Sotto il cielo di tutti, Milano,
Editrice Italia Letteraria, 1980; Miopia,
Venosa, Edizioni Osanna, 1987; Radici e
ali, Lecce, Manni, 2006; Variazioni
lucane, Pisa, ETS, 2008), un romanzo (La
scomparsa della luna, Lecce, Manni, 2010), racconti (apparsi su riviste),
saggi di storiografia lucana (come Aquilina
di Monteserico, Venosa, Osanna edizioni, 2008; Ipotesi sulle origini di Genzano, Venosa, Osanna edizioni, 2010; Filippo de Marinis e la repubblica
napoletana del 1799, in Uomini e
comunità dell’Alto Bradano, Bari, Puglia grafica sud, 1985) e saggi di
critica letteraria (fra i quali, La
dimensione elegiaco-epigrammatica della poesia sinisgalliana, in Atti del simposio di studi su Leonardo
Sinisgalli, Matera, Liantonio, 1987; La
“spiritualità” di Orazio: ideale etico ed estetico nelle “Odi”, in Conoscere Orazio, Potenza, Associazione Humanitas, 1991; I luoghi dell’infanzia nella poesia oraziana, «ESSEFFE. Sistema
formativo», Bollettino dell’IRRSAE della Basilicata, giugno 1995, n. 1).
Ha tradotto anche molti testi poetici di
autori greci, latini, spagnoli, portoghesi, francesi e tedeschi (per ora in
gran parte inediti).
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