Maria Grazia Ferraris collaboratrice di Lèucade |
Carso di NAZARIO PARDINI.
Leggo
sul numero 14, dicembre 2014 di Euterpe- RUBRICA DI POESIA, Tema: “Diritti
mancati di questa società”, due poesie
di Nazario Pardini: La fuga e Carso.
Immagine di una foiba |
Sono
due poesie che pongono l’accento e l’attenzione sui problemi sociali e storici
del terribile secolo che si è appena chiuso, preziose e non frequenti nella produzione poetica di
Pardini, che esprime il meglio di sé nella misura e rievocazione classica del
mito e nei temi legati all’intimità della sua storia umana e dei paesaggi toscani
che frequenta abitualmente. Due belle poesie. Ho particolarmente apprezzato Carso. Eccola:
Carso
Sopra
i suoli innevati dei declivi
del
Carso, ci apparve poi una donna
novantenne,
coi fiori nelle mani
tremolanti
e insicure. Tra la neve
(rossa
neve di morte fu il suo dire
del
quale noi restammo assai perplessi
e
certamente avvinti) rovistava
per
dissodare un varco. Poi si aprì
ai
nostri occhi una voragine di un
cunicolo
di monte. Sono tipiche,
in
quei pianori carsici, le foibe
Pochi
i raggi di sole incastonati
in
quei tepali brevi di stagione
tra la
neve macchiata dal livore
delle
rocce supreme. Con la voce,
rotta
dall’emozione, volse l’occhio
al
nascosto strapiombo: “Inverne fosse
che
contenete i resti di mio figlio
in
fondo al ventre buio, ricevete
questi
colori memori di luce.
Fate
che questi sprazzi di giardino
che
vide i nudi piedi barcollanti
di lui
che fu bambino, gli ricoprano
i
resti mescolati assieme a tanti
di cui
conosco i nomi. Il solo cippo,
al
quale posso dire una preghiera,
è
questa nuda pietra, silenziosa
compagna
di due legni messi in croce
che
solo io conobbi e solo io
ne
eressi l’esistenza. Troppe voci
non si
udirono più, troppo potere
si
scordò di quel sangue”. La mia anima
si
rivolse alla donna che in silenzio
chiedeva
solamente
rispetto
del dolore. Ripeteva
le
solite parole un po' sconnesse
tra di
sé. “Coi camion, mi dicevano,
li
portano al lavoro.
Camion
zeppi di giovani e di vecchi.
Ma
tornavano vuoti.
E
vuoti ritornavano dai lividi
sentieri.
Mi dicevano che i camion
li
avrebbero portati sul lavoro
in
cima al monte. E muti ritornavano,
ritornarono
vuoti verso il piano".
Una
poesia racconto, struggente ed emozionante. Un modo incisivo –da poeta- per
raccontare la storia inquietante del nostro disumano, terribile secolo passato.
Il
Carso nudo, innevato, solitario, una vecchia donna, novantenne, tremante, dalle
parole stravolte, smangiate, porta i suoi fiori. Cerca, rovista, si muove nel
labirinto carsico del paesaggio spoglio, nudo, vuoto, così simile al suo cuore,
nella voragine…: ecco la foiba livida, macchiata, arida , strapiombante.
Si
alza una preghiera mormorata, un monologo allucinato, perché vi nasca un
giardino colorato, consolante intorno alla croce desolata. Ripete la
vecchia con voce sconnessa la sua storia,
il suo dolore:
Coi camion, mi dicevano,
li portano al lavoro.
Camion zeppi di giovani e di vecchi.
Ma tornavano vuoti.
Muti e vuoti ritornavano.
Quale
colore ha il dolore? quale voce ha lo strazio? Di quante sintesi dolorose di
pianto e di urla è fatto il silenzio? In quali memorie si annulla il tempo?
La
parola della poesia, una parola smangiata, che sorge dal nulla e dal vuoto, è
quella che rispecchia la vita, che non è mai un mosaico rassicurante fatto
tutto di tessere piene.
Il
ritmo misurato dell’endecasillabo, verso di assoluto nitore pardiniano, dà
forma al racconto con un ritmo
circolare perfetto, con la parola dimessa, quotidiana, così adatta al
tema, e che accompagna la volontà narrativa,
ti prende il cuore, la forza dell’evocazione suggerisce e commenta il
dolore con sobrietà mirabile, misura classica, in un saldo equilibrio creativo fra il dire e il
sentire, paesaggio e stagione
Pochi i raggi di sole incastonati
in quei tepali brevi di stagione
tra la neve macchiata dal livore..
Solo l’anima
di un poeta può partecipare dolente e misericordioso, commosso, ad avvenimenti così tragici che accompagnano
la storia umana, che presto verrà
dimenticata, distratta la storia, incapace di verità il potere, irrispettosa la
Storia, incalzata da nuovo sangue, nuovi lutti, nuovi dolori.
Il
“nulla” che compare nella poesia non è nichilismo, suscitato dal dolore
dall’assenza di norme morali, convenzioni sociali…. Il “nulla”, il “vuoto” è
quello di quei camion al ritorno…
drammatico. L’esperienza della
sua realtà ha in sé un’oscura illuminazione grazie alla quale l’uomo prende
coscienza della grandezza della perdita che ha subito.
E
Nazario Pardini la vive nell’anima.
Maria
Grazia Ferraris
Grande poesia:un dramma diluito in armonie di endecasillabi persistenti e intrecciati in un crescendo di amore e di dolore di vita e di morte.
RispondiEliminaMa quello che più mi ha presa è l'analisi di M. Grazia Ferraris; un'analisi dolce e forte, avvincente e profonda, come, o forse più della poesia stessa. I miei complimenti.
Aurora
Condivido pienamente l'attenta e puntuale analisi di Maria Grazia Ferraris che, calatasi all'interno del testo, mi pare colga esattamente lo spirito e la bellezza di questa splendida prova poetica di Nazario Pardini che avevo già letta e notata e che è contenuta, come pure l'altra, "La fuga", nella pregevolissima raccolta "Si aggirava nei boschi una fanciulla", edita nel 2000, appena un anno dopo quello che io considero il capolavoro di Pardini, e cioè "Alla volta di Leucade".
RispondiEliminaFaccio di cuore i complimenti all'esegeta e, naturalmente, al poeta.
Pasquale Balestriere
La sensibile analisi di Maria Grazia Ferraris mette in risalto la grande umanità di Nazario Pardini nel descrivere un dramma appartenente alla nostra storia, un dramma ancora oscuro da lui trattato, come sa fare un grande poeta, con parole semplici colme di amore e tenerezza, con le quali coinvolge il lettore toccandogli l'anima e facendogli prendere coscienza, a nostro beneficio, di un sentire estremo.
RispondiEliminaGrazie ancora a Nazario Pardini per le emozioni che ci regala. Con ammirazione.
Emma Mazzuca
Analisi profonda e sentita di una poesia potente. Complimenti a Nazario Pardini, ma anche a Maria G, Ferraris per le sue doti di passionale euritmica diegesi.
RispondiEliminaBozzi
L'attenzione di Nazario Pardini sa soffermarsi magistralmente in tanti luoghi. Ogni cosa parla “Sopra i suoli innevati dei declivi del Carso.” Una poesia racconto, afferma la brava Maria Grazia Ferraris, un racconto fatto con riflessioni (poetiche) minutissime, aggiungo io, e con quella interna sicurezza che è la grande dote del Poeta di Vecchiano. C'è da dire poi che le immagini evocate dall'olocausto, colte tra le rovine, la voragine dove l'umanità è pesantemente caduta, sono incise con mano leggera in versi che si legano con accortezza somma. E quel trasalimento che esse ci danno testimonia che il “narratore lirico” è un profondo conoscitore di lettere, di arti, degli uomini e della loro Storia. Anche tristissima quale è quella dei martiri delle foibe. Ubaldo de Robertis
RispondiEliminaE' qui la grande umanità di Nazario Pardini, che ci penetra nell'anima e nel cuore, facendoci sentire quanto grande è l'orrore della guerra e dei delitti che vivono dentro e fuori della guerra. Ma non è solo umanità. In Pardini vi è un cuore che pulsa e che sa il dolore delle madri che raccontano i morti figli col colore dei fiori che "in fondo al ventre buio" della terra ricevono i "colori memori di luci". Dentro Pardini vive un'anima che sa leggere e capire anche "le solite parole un po' sconnesse", un'anima che sa quanto "troppo potere / si scordò di quel sangue". Il dolore è il dolore del "vuoto" di quei camion che riportavano un carico invisibile - ma presente come un monito- di morte, Camion che "muti ritornavano" al piano. E' il vuoto che lasciano nell'anima tutti gli orrori di ogni guerra. Grande, Nazario e vivi complimenti a M.Grazia Ferraris che ha saputo cogliere, con rara precisione, non solo il senso di una splendida poesia, ma anche il senso profondo della vita e della morte.
RispondiEliminaUmberto Cerio
Grazie a tutti gli amici per gli splendidi commenti al mio Carso. Alcuni, e non è falsa modestia, superano alla grande il messaggio della Poesia.
RispondiEliminaNazario
Intempestiva, forse, ma per me urgente questa nota di convinta ammirazione. C'è tanto bisogno di umanità nel bieco mondo che abbiamo creato. Di quante aberrazioni ci siamo resi e ci rendiamo quotidianamente responsabili, di quanti crimini contro il genere umano! Qui ci sono sollecitazioni indispensabili per risalire la china, per redimerci e renderci più umani. Quanta umanità gronda nelle parole di Maria Grazia Ferraris! E quanta nel canto pardiniano, incardinato in quella visione del mondo archetipa, irrinunciabile per una sana azione storica, nonché per il nostro equilibrio quotidiano!
RispondiEliminaFranco Campegiani
Ringrazio tutti gli amici che, nel recensire con grande partecipazione la poesia Carso di N. Pardini, hanno fatto una citazione favorevole a mio riguardo. Auguro a tutti buon 2015.
RispondiEliminaM. Grazia Ferraris
Bellissima questa pagina e più che motivati i complimenti di tutti a Maria Grazia Ferraris per l'esegesi acuta, sentita, calda dell'Opera del caro Nazario.
RispondiElimina"Carso" è lirica di straziante potenza. Riassume infiniti lutti, catene di guerre, di sangue e di orrori. Gli endecasillabi, nella loro nitida lucentezza, scolpiscono i non ritorni. E' lirica per non dimenticare. Per 'vedere' attraverso gli occhi del Poeta l'assurdità dell'uomo lupo per l'uomo.
I camion zeppi di giovani e di vecchi che tornavano vuoti, accendono nella memoria collettiva le immagini dello sterminio. E in quel 'vuoti', proprio come sottolinea la magnifica Maria Grazia, non v'è nichilismo, ma presa di coscienza di una realtà irreale, mi si scusi il gioco di parole, contro natura.
L'anima di un Poeta viaggia sul filo del dolore e, come pendolo di pace, scandisce l'ingiustizia. Grazie al Poeta e alla critica per un dono così intenso. Maria Rizzi