L’uomo che ascoltava le 500, di Francesco Paolo
Tanzj, edizioni Tracce
A conclusione del libro c’è una dichiarazione
di scrittura, dove Tanzj dice che tipo di lettore vorrebbe, e questo mi serve
da spunto per chiedere: noi, che tipo di lettore siamo? E chiederei anche che
scrittori siamo? Per chi scriviamo?
Il lettore o lo scrittore libero, a questo
dovremmo ambire. Ma forse non è possibile, i condizionamenti, i modelli, i
riferimenti sono sempre in agguato per deviarci… forse né il lettore né lo
scrittore sono veramente liberi, semmai scrivendo o leggendo si cerca una certa
libertà, e la si trova, spesso, quando la mente vola dietro o tra le parole, ma
non la si trova per esteso, per intero… c’è sempre qualche macchia che ci
impedisce di essere pienamente e intimamente liberi…
Nella dichiarazione di scrittura si fa la
differenza tra lettore illuminato e lettore ignorante (la stessa differenza la
farei con gli scrittori), vediamo un po’ di cosa si tratta. Il lettore
illuminato, a seguito di una lettura, forse si esprimerebbe così:
Evinciamo
un segnale di protoletteratura stigmatizzata nelle scene di un quotidiano
divenire, che si articola in ogni sintagma tendente a stilema fino alla sua
totale espansione che dall’incipit evolve nel corpo detautologizzato del
racconto. Durante la lettura si articolano in un susseguirsi incessante i vari
neo-simboli della genesi aurea, segnale evidente che da queste narrazioni
meta-criptiche si dispiega la vitalità bronzea delle ultime correnti anti-avanguardiste
che intendono spigolare la realtà quale ignara palingenesi del movimento di cui
noi oggi siamo fortunati testimoni. Risulta quindi evidente, a dimostrazione
della certaldità neoclassica insita nella compresente raccolta, una vena
d’ironia asburgica evoluta, che avvampa nelle scoperte del secolo d’oro
rendendo con esse omaggio alla centralità dell’uomo nella natura. Per quanto
abbiamo detto, questo libro va annoverato tra i classici e i preclassici che
una volta storicizzati determinano la veste culturale di questo nostro mondo, e
questo nostro Paese.
Per chi non lo avesse capito, si tratta di una
parodia.
Tanzj prende di petto il critico che si parla
addosso, simbolo di un equilibrio che va attaccato con tutte le nostre forze,
perché il giusto sta nel mezzo!
Ma veniamo al punto.
Il lettore tipo è un ibrido (lo stesso vale per
lo scrittore). L’uomo medio è un ibrido. Non è accettabile invece colui che si
cataloga bianco o nero, ergendosi a modello di qualcosa che evidenzia solo la propria
ipocrisia.
Il libro contiene uno spassoso attacco a Nanni
Moretti (o meglio, al modello che incarna), che diventa un chiaro segno di
ribellione ai cliché della nostra
vita. I cliché vanno abbattuti,
occorre un uomo libero per un pensiero libero.
Quindi la chiave di lettura va ricercata in
questa parola: libertà.
Ma veniamo alle mie impressioni di lettura.
I racconti qui raccolti non vanno letti
cercando la trama o cercando il personaggio, che purtuttavia sono presenti, e
non credo che la traccia lasciata dallo scrittore sia da cercarsi nel
linguaggio o nella forma. C’è molto di più.
Certo, siamo davanti a storie scritte con
grande maestria, il libro è meritevole da tutti i punti di vista e si colloca nella
fascia alta della letteratura contemporanea, il punto, però, per me, è: che
cosa vuole dirci Tanzj? Se c’è un messaggio. Che poi Tanzj abbia voluto
metterci un messaggio o meno non è importante, alla fine qualcosa passa lo
stesso. D’accordo, ma allora, come va letto questo libro? Io inizialmente ho
cercato di leggere i racconti come dei racconti, poi ho cercato di leggerli
come dei resoconti, poi ho cercato il lato giornalistico, eppure mi rimaneva
sempre qualcosa da decifrare.
Ragionando per immagini ho pensato alla panna
montata, che va messa sul gelato come il parmigiano sulla pastasciutta, ma a
differenza di questo, la panna non si mescola e non si fonde, rimane sempre
sopra. Per creare una miscela con il gelato devi metterli in bocca, ci devi
mettere il tuo impegno. Già, la panna montata, immagine ora poco comprensibile,
ma si chiarirà alla fine.
Il narratore non entra nel personaggio né
nell’evento perché li vuole lasciare liberi di esprimersi, rimanendo lui, il
narratore, un testimone di un pezzo di vita. Questo perché gli eventi e i
personaggi li si vuole liberi, non addomesticati dalla penna, non inseriti
nella drammaturgia letteraria sotto forma di qualcosa di diverso da quello che
sono realmente. Ma attenzione, non si tratta di iperrealismo né di cronaca
giornalistica.
I racconti, sebbene abbiano un forte stampo
autobiografico, lasciano al lettore il lavoro di immersione nell’evento e nel
personaggio. Tanzj rispetta questa libertà e la condivide.
Una citazione, più di ogni analisi del testo,
permette di capire il lavoro di Tanzj: Il
gagiò lavora, lavora sempre, sperando di diventare qualcosa e, sperando così,
muore. Poi ha fatto tante leggi, troppe. La libertà è bella, vai dove vuoi.
È stato proprio grazie a questa citazione che sono
entrato nella narrazione ed ho inquadrato il lavoro di Tanzj, così come la sua
persona, in questa ottica: la libertà è bella, vai dove vuoi…
Tanzj è un uomo libro, e rispetta la libertà
altrui.
Quindi questo libro è un po’ nomade, un po’
zingaro, ma soprattutto vive nel rispetto delle storie che racconta e,
privandoci di ogni considerazione, Tanzj ci insegna il rispetto per la libertà
degli eventi. Ci dice (senza dirlo) che la sua libertà è riposta in questi
racconti e, così come la vive, ce la restituisce.
Quindi mi viene da chiedere: l’anima, è
zingara?
La zingaritudine dell’anima traspare anche in
tutti i racconti. Tanzj la propone sempre, anche quando sembra di no. Troviamo
questo suo modo di vedere la realtà anche nel j’accuse a Nanni Moretti dove non
è la persona che viene presa di petto, ma il modello che propone. Statico come
tutti i modelli, il modello è prigione, qualsiasi modello identifica il velo
ipocrita che copre buona parte della nostra società.
Tanzj ce l’ha con quel velo d’ipocrisia.
L’anima è zingara, si contrappone ai modelli, per
questo ci sfugge e, come dice l’autore: ogni
creazione, ogni azione dell’uomo resterà per sempre una incompiuta.
Eppure proprio questa incompiutezza ci
arricchisce, perché si continua, sempre, si cresce, sempre.
All’inizio della lettura mi chiedevo: l’uomo
che ascoltava le 500, l’eremita, Milka… sono dei pazzi o sono dei geni? Sono
normalissimi esseri umani o sono manifestazioni della più profonda delle
passioni? Cercavo, come ogni lettore medio, la risposta in ciò che leggevo. Ma
il libro non ci dà risposte, l’autore non giudica: è a noi che spetta farlo con
il nostro metro; a noi spetta capire che il profondo rispetto che Tanzj
manifesta per l’altro deve guidarci durante la lettura del libro. Non
cerchiamo, quindi, passioni che appartengono solo a noi e che vorremmo
proiettare nei personaggi e nelle storie che leggiamo, non cerchiamo emozioni
private e nostre da mettere negli occhi di questo o dell’altro personaggio… astraiamoci,
cerchiamo l’essenza delicata della vita e posiamoci come panna montata sul
gelato, lasciando che il gelato sia quello che è, senza trasformarlo in altro, leggendo
questo ottimo libro con la leggerezza e la libertà che Tanzj ci trasmette e ci
fa vivere.
Claudio Fiorentini, marzo 2015
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