Umberto Cerio collaboratore di Lèucade |
Umberto
Cerio: ΔΙАΛΟЃΟІ. Edizioni NOUBS.
Chieti. 2004. Pg. 80
Leggere
I dialoghi di Umbertto Cerio
significa perdersi e ritrovarsi. Significa amare, odiare, soffrire, gioire,
illudersi, disilludersi, insomma provare tutti quegli abbrivi emotivi che si scatenano
dopo la lettura delle opere dei grandi classici. E qui siamo in una arcadia
rinascimentale, in un festino ellenico, in un simposio greco alla presenza di
Omero, di Euripide, Eschilo, Platone, Socrate, tutti riuniti assieme, per magia
ed incanto, a conversare di miti, di musica, di amore, di morte e di vita. A
conversare di Ippolito e Fedra, di Antigone ed Emone, di Icaro e Dedalo, di Priamo ed Ecuba. Sì di Eros e Thanatos,
che fanno da filo conduttore ad una versificazione liricamente fluida ed
armoniosa che a volte contrasta ossimoricamente con contenuti aspri e crudeli,
dove pentimenti, e rievocazioni, ingiustizie, e malanni fanno da nutrimento alla
polimorfica stesura del canto. Ma non è che l’Autore si sia tuffato in quel
mondo solo perché lo ama o lo predilige per cultura ed indole poetica. Cerio,
con abile complicità e con acume investigativo, fa di quei temi narrati e
poeticizzati da tantissimi scrittori contemporanei, un motivo di risorse umane
e disumane, terrene ed ultra per concretizzare le carenze, le sottrazioni, le
malefatte, e le passioni del genere umano. Un realismo lirico di memoria
capassiana. E lo fa cambiando anche le sorti, i pensieri, apportando variazioni
alle storie, e alle loro conclusioni. Insomma la sua non è solo rievocazione di
un mito che, di per sé, sarebbe già sufficiente a fare grande un poièin; la sua
è, soprattutto, attualizzazione di personaggi che incarnano vicende,
sentimenti, odi, e ingordigie di un pianeta in perdizione; c’è l’uomo con tutti
i suoi patemi esistenziali, con tutti i
suoi egoismi congeniti che lo porteranno alla distruzione totale. Ed è questo
l’epilogo del suo convincimento che trova il nerbo negli ultimi due dialoghi:
uno, attualissimo, fuori dal mito, di una contemporaneità amara e desolante: il
dialogo fra Nashimura e Okohani, L’efferatezza. La tragedia del 6 agosto 1945, l’esplosione
della bomba atomica:
Okohani
Anch’io
più non vivo. E come potrei
senza
il mio Nashimura?
Che
cosa terribile hanno inventato.
Chi
è stato tanto malvagio…
Com’è
triste finire così…
“Dov’è
qui l’umanità”?
L’altro
quello fra Priamo ed Ecuba, La
catastrofe, in cui i due famosi e sfortunati personaggi ci appaiono seduti su
rovine immense ad assistere all’ipotetica distruzione dell’intera umanità per
opera di una Natura, che, dopo avere subito le violenze più atroci da parte di
una società opulenta ed egoista, compie la sua vendetta:
Ombra di Priamo:
Quello
che sta ora accadendo
è solo
per colpa dell’uomo.
Pensavo
però ad un più remoto
futuro,
forse rigeneratore
dell’uomo,
della vita, e della morte.
(…)
Ombra di Priamo
Ed
andiamo; ormai siamo stanchi
di
questa non vita di ombre,
di
questa angoscia che ci assale,
dell’ansia
del tempo e dello spazio,
di
questa rovina che ci circonda,
infinita,
sospesa, senza più tempo.
Un
plurale melange in cui l’antico e il moderno si intersecano per confluire nelle
acque di uno stesso fiume; un fiume destinato a straripare, a rompere gli
argini, a rovinare e rovinarsi fino a scomparire sotto lo sguardo di due ombre (Priamo ed Ecuba) che assistono al disastro
dell’intera umanità. E non un fiume in un mare che tutto inghiottisce e che dà
l’idea della grande libertà a cui l’uomo
aspira ed ha sempre, inconsciamente, aspirato. Ma rovine che la stessa antica
madre, forse, vuole, perché suo figlio si ricreda e torni nuovo. Intuizioni
poetiche di grande respiro, affidate ad una versificazione classica e moderna, ampia
e coesa. Dove il fluire dello spartito accompagna con concretezza e duttilità
le emozioni del Poeta, giocate in intrecci di estrema modernità. Una filosofia con
cui Cerio assembla ogni perla della trama in una preziosa collana. E l’uomo c’è
tutto, con la sua irrequietezza, il suo tormento esistenziale, con l’ipotetica
insoddisfazione del non luogo e del non tempo, con la sua coscienza dell’ora
che fugge; ma anche con l’incoscienza delle deficienze umane, perché essere
umani significa sentire il bisogno di superarle, di andare oltre quelle
ristrettezze che ci delimitano; oltre lo spazio, oltre il buio ed oltre il
silenzio:
Ombra di Priamo
Oh!
mia Ecuba,dolce ombra,
lo
cercheremo noi, da soli,
il
luogo dove più noi non saremo;
andremo
oltre lo spazio,
oltre
ilk buio ed oltre il silenzio.
Andremo
anche oltree il dolore.
Senza
che ce ne accorgeremo
Noi
spariremo lentamente,
con
leggerezza d’ombra.
Ora
resteranno solo rovine!
E
perché, al fin fine, quello che deve vincere è l’amore. Questo sentimento
maiuscolo che è alla base del mondo. Amore totale, polisemico, universale,
verso noi, verso gli altri, verso quegli sprazzi di verde terra, o di azzurro
mare, che alimentano non solo la nostra esistenza, la nostra storia, ma soprattutto
l’anima del canto con cui Cerio, mischiando epica e lirica, offre la visione di
un’Arte senza età. L’idea di quanto Essa possa inneggiare alla Bellezza e alla
speranza di una rinascita da quei mali che attanagliano, e dai quali Icaro deve
fuggire sotto l’insegnamento di Dedalo in un palazzo squallido simile al
labirinto:
Dedalo Non senti le false lusinghe,
non
vedi come dalla folla
si
alza omicida di Caino la mano,
armata
a colpire il fratello,
ad
uccidere ancora madre e sorella?
Andiamo,
finché siamo in tempo.
Non
vedi gli stupri selvaggi,
vetture deformi e case brucite
ed i corvi che volano in cerchio
sui morti abbandonati
sui ciglioni dei viottoli?
Fuggiamo, finché siamo in tempo.
Guarda i mari anneriti,
i pesci agonizzanti,
le montagne che si sciolgono in mare,
i fiumi putridi
dei detriti dell’uomo disfatto
e la neve macchiata di sangue!
È
da là che deve fuggire Icaro; è da là che deve prendere il volo per salvarsi da
un’inutile “azzurra bellezza/ del mare che amavi”; dai “fiumi putridi/ dei
detriti dell’uomo disfatto”.
Nazario Pardini
Sono ammaliato da questa splendida recensione di Pardini, ma ancor più dagli spezzoni poetici di Cerio da lui citati. Si oscilla fra apocalisse e palingenesi, fra distruzione e rinascita. La natura compie la sua vendetta contro la civiltà, ma solo quando l'uomo scopre che la cultura è una maledizione, è pronto per rinnovarsi, ritrovando la natura e le sue leggi, integre, dentro di sé.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Grazie, Nazario, per le parole che spendi per i miei DIALOGHI. Le tue esegesi,e anche questa, non sono solo sapide e intrise di sapiente penetrazione di quanto vi è nelle sillogi che commenti, ma sono colme di amore per la poesia in quanto tale, che sai trovare ed espletare in concetti e in un dire che penetra fino al fondo dell'anima. Tanto che induci alla rilettura delle cose che scrivo e di quelle che tu scrivi, perché hai il dono di leggere anche il pensiero. Ancora grazie di cuore
RispondiEliminaUmberto Cerio
Caro Franco, come pochi sai cogliere, anche da pochi versi, il senso della poesia e della poetica che vi è dietro. Colgo con piacere il tuo pensiero, che si muove, con armonia, tra le originarie dicotomie ossimoriche, che sono il succo vitale di un mondo che si snoda tra sensi diversi e opposti, come appunto, "apocalisse e palingenesi". Non ti scambio per un hegeliano di ritorno, solo un mio lapsus calami (altrove ho aggiunto un' imprudente e involontaria "sintesi" che certo in quel senso non ti appartiene) ha potuto generare una impropria significazione, della qual cosa mi scuso con te.A Cesare quel che è di Cesare. Ti ringrazio con molta stima
RispondiEliminaUmberto Cerio
Complimenti vivissimi al poeta Umberto Cerio per quello che sa esprimere dalla radice primordiale del significato della vita. Metafore forti che sanno dosare magistralmente l'esaltazione/follia dell'uomo moderno che si autodistrugge nella sua propria significanza, nella sua apocalittica nube mefitica di morte che, dell'uomo, detiene il cataclisma della specie. Vivissime congratulazioni al poeta Cerio e tanti cari saluti cordiali.
RispondiEliminaNinnj Di Stefano Busà
Ringraziamenti sinceri per il tuo giudizio su DIALOGOI, I tuoi giudizi, mai banali e sempre sapidi del sapore della vita e della cultura, esprimono con dovizia di motivazioni la tua solidale essenza di poetessa, oltre che di critica. Ricordo sempre quel tuo giudizio in occasione del premio da te ricevuto - con IL FILO E LE MEMORIE- nel lontano 18 Novembre 2006 a Milano. Te ne riporto un brano: "Poesia .... che sa giungere oltre i confini del vissuto e dare quel minimo di luce sufficiente all'avventura terrena per elevarsi dal suo limo". Grazie ancora Ninnj, anche per questi ricordi.
RispondiEliminaUmberto Cerio