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domenica 1 marzo 2015

N. PARDINI: LETTURA DI "ΔΙАΛΟЃΟІ" DI UMBERTO CERIO






Umberto  Cerio collaboratore di Lèucade





Umberto Cerio: ΔΙАΛΟЃΟІ. Edizioni NOUBS. Chieti. 2004. Pg. 80


Leggere I dialoghi di Umbertto Cerio significa perdersi e ritrovarsi. Significa amare, odiare, soffrire, gioire, illudersi, disilludersi, insomma provare tutti quegli abbrivi emotivi che si scatenano dopo la lettura delle opere dei grandi classici. E qui siamo in una arcadia rinascimentale, in un festino ellenico, in un simposio greco alla presenza di Omero, di Euripide, Eschilo, Platone, Socrate, tutti riuniti assieme, per magia ed incanto, a conversare di miti, di musica, di amore, di morte e di vita. A conversare di Ippolito e Fedra, di Antigone ed Emone, di Icaro e Dedalo,  di Priamo ed Ecuba. Sì di Eros e Thanatos, che fanno da filo conduttore ad una versificazione liricamente fluida ed armoniosa che a volte contrasta ossimoricamente con contenuti aspri e crudeli, dove pentimenti, e rievocazioni, ingiustizie, e malanni fanno da nutrimento alla polimorfica stesura del canto. Ma non è che l’Autore si sia tuffato in quel mondo solo perché lo ama o lo predilige per cultura ed indole poetica. Cerio, con abile complicità e con acume investigativo, fa di quei temi narrati e poeticizzati da tantissimi scrittori contemporanei, un motivo di risorse umane e disumane, terrene ed ultra per concretizzare le carenze, le sottrazioni, le malefatte, e le passioni del genere umano. Un realismo lirico di memoria capassiana. E lo fa cambiando anche le sorti, i pensieri, apportando variazioni alle storie, e alle loro conclusioni. Insomma la sua non è solo rievocazione di un mito che, di per sé, sarebbe già sufficiente a fare grande un poièin; la sua è, soprattutto, attualizzazione di personaggi che incarnano vicende, sentimenti, odi, e ingordigie di un pianeta in perdizione; c’è l’uomo con tutti i suoi patemi esistenziali, con tutti  i suoi egoismi congeniti che lo porteranno alla distruzione totale. Ed è questo l’epilogo del suo convincimento che trova il nerbo negli ultimi due dialoghi: uno, attualissimo, fuori dal mito, di una contemporaneità amara e desolante: il dialogo fra Nashimura  e Okohani, L’efferatezza.  La tragedia del 6 agosto 1945, l’esplosione della bomba atomica:

Okohani 

Anch’io più non vivo. E come potrei
senza il mio Nashimura?
Che cosa terribile hanno inventato.
Chi è stato tanto malvagio…
Com’è triste finire così…
“Dov’è qui l’umanità”?

L’altro quello fra Priamo ed Ecuba, La catastrofe, in cui i due famosi e sfortunati personaggi ci appaiono seduti su rovine immense ad assistere all’ipotetica distruzione dell’intera umanità per opera di una Natura, che, dopo avere subito le violenze più atroci da parte di una società opulenta ed egoista, compie la sua vendetta:

Ombra di Priamo: 

Quello che sta ora accadendo
è solo per colpa dell’uomo.
Pensavo però ad un più remoto
futuro, forse rigeneratore
dell’uomo, della vita, e della morte.
(…)

Ombra di Priamo 

Ed andiamo; ormai siamo stanchi
di questa non vita di ombre,
di questa angoscia che ci assale,
dell’ansia del tempo e dello spazio,
di questa rovina che ci circonda,
infinita, sospesa, senza più tempo.

Un plurale melange in cui l’antico e il moderno si intersecano per confluire nelle acque di uno stesso fiume; un fiume destinato a straripare, a rompere gli argini, a rovinare e rovinarsi fino a scomparire sotto lo sguardo di due ombre  (Priamo ed Ecuba) che assistono al disastro dell’intera umanità. E non un fiume in un mare che tutto inghiottisce e che dà l’idea  della grande libertà a cui l’uomo aspira ed ha sempre, inconsciamente, aspirato. Ma rovine che la stessa antica madre, forse, vuole, perché suo figlio si ricreda e torni nuovo. Intuizioni poetiche di grande respiro, affidate ad una versificazione classica e moderna, ampia e coesa. Dove il fluire dello spartito accompagna con concretezza e duttilità le emozioni del Poeta, giocate in intrecci di estrema modernità. Una filosofia con cui Cerio assembla ogni perla della trama in una preziosa collana. E l’uomo c’è tutto, con la sua irrequietezza, il suo tormento esistenziale, con l’ipotetica insoddisfazione del non luogo e del non tempo, con la sua coscienza dell’ora che fugge; ma anche con l’incoscienza delle deficienze umane, perché essere umani significa sentire il bisogno di superarle, di andare oltre quelle ristrettezze che ci delimitano; oltre lo spazio, oltre il buio ed oltre il silenzio:

Ombra di Priamo 

Oh! mia Ecuba,dolce ombra,
lo cercheremo noi, da soli,
il luogo dove più noi non saremo;
andremo oltre lo spazio,
oltre ilk buio ed oltre il silenzio.
Andremo anche oltree il dolore.
Senza che ce ne accorgeremo
Noi spariremo lentamente,
con leggerezza d’ombra.
Ora resteranno solo rovine!

E perché, al fin fine, quello che deve vincere è l’amore. Questo sentimento maiuscolo che è alla base del mondo. Amore totale, polisemico, universale, verso noi, verso gli altri, verso quegli sprazzi di verde terra, o di azzurro mare, che alimentano non solo la nostra esistenza, la nostra storia, ma soprattutto l’anima del canto con cui Cerio, mischiando epica e lirica, offre la visione di un’Arte senza età. L’idea di quanto Essa possa inneggiare alla Bellezza e alla speranza di una rinascita da quei mali che attanagliano, e dai quali Icaro deve fuggire sotto l’insegnamento di Dedalo in un palazzo squallido simile al labirinto: 

Dedalo   Non senti le false lusinghe,
non vedi come dalla folla
si alza omicida di Caino la mano,
armata a colpire il fratello,
ad uccidere ancora madre e sorella?
Andiamo, finché siamo in tempo.
Non vedi gli stupri selvaggi,
 vetture deformi e case brucite
 ed i corvi che volano in cerchio
 sui morti abbandonati
 sui ciglioni dei viottoli?
 Fuggiamo, finché siamo in tempo.
 Guarda i mari anneriti,
 i pesci agonizzanti,
 le montagne che si sciolgono in mare,
 i fiumi putridi
 dei detriti dell’uomo disfatto
 e la neve macchiata di sangue!


È da là che deve fuggire Icaro; è da là che deve prendere il volo per salvarsi da un’inutile “azzurra bellezza/ del mare che amavi”; dai “fiumi putridi/ dei detriti dell’uomo disfatto”.

Nazario Pardini

5 commenti:

  1. Sono ammaliato da questa splendida recensione di Pardini, ma ancor più dagli spezzoni poetici di Cerio da lui citati. Si oscilla fra apocalisse e palingenesi, fra distruzione e rinascita. La natura compie la sua vendetta contro la civiltà, ma solo quando l'uomo scopre che la cultura è una maledizione, è pronto per rinnovarsi, ritrovando la natura e le sue leggi, integre, dentro di sé.
    Franco Campegiani

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  2. Grazie, Nazario, per le parole che spendi per i miei DIALOGHI. Le tue esegesi,e anche questa, non sono solo sapide e intrise di sapiente penetrazione di quanto vi è nelle sillogi che commenti, ma sono colme di amore per la poesia in quanto tale, che sai trovare ed espletare in concetti e in un dire che penetra fino al fondo dell'anima. Tanto che induci alla rilettura delle cose che scrivo e di quelle che tu scrivi, perché hai il dono di leggere anche il pensiero. Ancora grazie di cuore
    Umberto Cerio

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  3. Caro Franco, come pochi sai cogliere, anche da pochi versi, il senso della poesia e della poetica che vi è dietro. Colgo con piacere il tuo pensiero, che si muove, con armonia, tra le originarie dicotomie ossimoriche, che sono il succo vitale di un mondo che si snoda tra sensi diversi e opposti, come appunto, "apocalisse e palingenesi". Non ti scambio per un hegeliano di ritorno, solo un mio lapsus calami (altrove ho aggiunto un' imprudente e involontaria "sintesi" che certo in quel senso non ti appartiene) ha potuto generare una impropria significazione, della qual cosa mi scuso con te.A Cesare quel che è di Cesare. Ti ringrazio con molta stima
    Umberto Cerio

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  4. Complimenti vivissimi al poeta Umberto Cerio per quello che sa esprimere dalla radice primordiale del significato della vita. Metafore forti che sanno dosare magistralmente l'esaltazione/follia dell'uomo moderno che si autodistrugge nella sua propria significanza, nella sua apocalittica nube mefitica di morte che, dell'uomo, detiene il cataclisma della specie. Vivissime congratulazioni al poeta Cerio e tanti cari saluti cordiali.

    Ninnj Di Stefano Busà

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  5. Ringraziamenti sinceri per il tuo giudizio su DIALOGOI, I tuoi giudizi, mai banali e sempre sapidi del sapore della vita e della cultura, esprimono con dovizia di motivazioni la tua solidale essenza di poetessa, oltre che di critica. Ricordo sempre quel tuo giudizio in occasione del premio da te ricevuto - con IL FILO E LE MEMORIE- nel lontano 18 Novembre 2006 a Milano. Te ne riporto un brano: "Poesia .... che sa giungere oltre i confini del vissuto e dare quel minimo di luce sufficiente all'avventura terrena per elevarsi dal suo limo". Grazie ancora Ninnj, anche per questi ricordi.
    Umberto Cerio

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