RUOLI E FORME DELLA POESIA OGGI TRA
ARTE, ARTI E SOCIETA’
Dovrei parlare della poesia
contemporanea.
Mi piace invece partire da una
citazione di Henri Matisse. Nel 1952 egli sostenne che si stava vivendo
un’epoca di “COSMOGONIA ARTISTICA”. Semplificazione ridondante dell’atmosfera
da formicaio edificata intorno all’arte. E come dargli torto?
C’era una tale mescolanza di idee,
contenuti, costumi, civiltà da creare tra gli artisti e le arti un clima di
assoluta complicità e innovazione.
Del resto, già negli anni 20, a Parigi
soprattutto, si era vissuto un clima prospero e innovativo. Probabilmente sono
picchi caratterizzati da un respiro frenetico e pieno di vita, di desiderio di
trasgressione, di rottura delle regole diretta conseguenza di un momento di
ripresa dopo una guerra, una forte recessione, una crisi profonda.
Noi oggi, stiamo vivendo tutto insieme:
guerre, crisi, recessioni, abbiamo per così dire il pacchetto completo, da
beauty farm, non ci facciamo mancare neppure il fango, volendo usare un
eufemismo.
Eppure questa è un’epoca
incredibilmente “EVOLUZIOCOSMICA”.
Penserete che sia ottimista. Sì, lo
sono, ma non credo che ci sia niente di male. Grazie alla rete, possiamo
condividere milioni di immagini, di parole di sensazioni, qualcuno obietta che
tutto sia troppo veloce, ma c’è del tempo per fermarsi scusate?
Abbiamo così tanto da visionare che
solo quello che davvero ci interessa ci può “acchiappare”, altrimenti scivola
via velocemente, del resto, non avete mai sfogliato una rivista in tutta
fretta? Se non c’è un articolo che veramente v’interessa arrivate alla fine e
la gettate sul tavolo del dentista o della parrucchiera come hanno sempre fatto
tutti, da quando le riviste sono entrate a far parte della nostra storia.
Ma ora, che possiamo entrare in
contatto con realtà spazialmente lontanissime, perché dovremmo castrarci e
tornare ai papiri?
Vorrei ricordare che dal magma del
1950, ci furono artisti che raggiunsero vette di grande genialità, di unicità
addirittura, non potrebbe accadere anche a noi?
Non c’è dato sapere cosa diranno di noi
i postumi, magari tra un altro mezzo secolo quando davvero ci sarà il
teletrasporto e scopriremo che su Marte non solo c’è vita, ma ci sono pure un
casino di poeti, piccoli, pelosi e con le orecchie a sventola, allora noi,
saremo letti e pubblicati.
Sì, pubblicati. Perché, di fatto, ora
le pubblicazioni, e diciamolo chiaramente, le dobbiamo pagare: o ci chiedono i
soldi o ci chiedono di comprare una carrettata di libri per i quali dobbiamo
prostrarci umilmente per poi distribuirli a porta a porta come le enciclopedie
che nessuno, per ovvie ragioni compra più.
Non c’è pubblicità per noi, non c’è
distribuzione per noi, né fanfara né passaparola.
Beh, quando saremo morti i ci saranno i
posteri contemporanei, ci pubblicheranno loro, perché forse un oggettino come
un libro di poesie farà fighetti e tutti lo terranno in mano e scatteranno dei
“senti…” insomma apriranno una pagina a caso con uno scatto e diranno all’altro
“senti! Senti questo verso com’è bello.” E il nostro narcisismo sarà finalmente
ripagato, perché ci leggeranno, forse troppo tardi, ma questo è il destino del
contemporaneo che nasce prima del postero…
Siamo, di fatto, una società che
sublima, virtualizza ed esperimenta, per fortuna. E sembra in questo senso
esserci spazio per tutto e tutti.
Questo ovviamente crea fusione e
confusione, e grande piacere nei dinosauri che ancora pontificano con voce tonante.
Il caos artistico non ancora stabilizzato e di primordiale ricerca, sembra giustificare i loro parametri statici e stantii.
Il caos artistico non ancora stabilizzato e di primordiale ricerca, sembra giustificare i loro parametri statici e stantii.
Ma sebbene la nostra epoca sia
devastata dal punto di vista delle risorse umane, della protezione del nostro
ecosistema, per non parlare delle guerre, e ancora guai e sciagure a non
finire, siamo in una spirale particolarmente esaltante dal punto di vista della
creatività, dello sviluppo delle arti e della mescolanza in piena libertà.
Alcuni sostengono che siamo in troppi,
noi artisti, non capisco perché non dicano con altrettanta sicumera che in
troppi sono i politici per esempio, anche loro giocano con le parole no? Ma
sembrerebbero più necessari dei poeti. Ma con le parole, noi facciamo sul
serio.
Ma va bene. Dicono poi che la maggior
parte di noi soffre di un’incapacità genetica, e va bene anche questo, anche se
assurdo, ma magari i piccoli artisti poi, crescono pure, quindi lasciamoli
dire, ma questa considerazione, e cioè il fatto che siamo così tanti, non vorrà
significare anche qualcosa di più profondo?
Insomma, non sarà che l’uomo, la donna,
la civiltà, ora, forse anche i cani e i gatti e non me ne vogliano i criceti,
affrancati dal bisogno primario della sopravvivenza pensino ad altro, o a
“alto” ? (Se vogliamo banalizzare e infierire sul nostro narcisismo.) L’arte,
riscatta l’uomo, il singolo e l’umanità tutta, da sempre, perché non dovrebbe
farlo anche ora? E paradossalmente, anche dove quel bisogno primario di
sopravvivere viene calpestato, anche lì l’arte, le arti, riscattano il singolo
e l’umanità. Siamo diventati animali SOCIOCREATIVI in ogni cosa: ai fornelli,
allo stadio, in vigna, e sul monitor, quello che esce da noi, è arte. Forse non
proprio tutto, ma non siamo ancora perfetti. Stiamo con molta probabilità cavalcando
una ola enorme di cambiamento. Che male c’è se vogliamo essere tutti partecipi
non solo più FRUITORI? Certo qualcuno dovrà pur continuare a zappare la terra,
qualcuno farà il cameriere, o il regista, o il medico, ma, il mestiere non avrà
più importanza perché avremo capito che l’arte, l’arte NON può servire a tutti
per mangiare (anche se spero che qualcuno tra voi lettori ci riesca a viverci)
l’arte, serve a tutti noi, per sopravvivere.
Qualcuno potrebbe chiedermi: “ ma cos’è
allora che contraddistingue l’arte?”
Secondo me l’arte è un connubio tra il
talento, la preparazione, la sperimentazione e la volontà. Il talento c’è, si
sente ed è imprescindibile e lo sapete tutti, nel senso che ne siete
consapevoli, l’arte è il suo arricchimento continuo, personale, necessario e
sperimentale. Oggi, per provocare e vivere emozioni abbiamo bisogno di più
canali, è probabile che senza accorgercene, siamo cresciuti e i nostri sensi
hanno bisogno di essere stimolati in maniera più completa.
E’ necessario ricevere e suscitare
emozioni e pensieri, e ancora riflessioni e germogli.
Come farlo?
Per questo penso a Matisse, che nel
1952, diceva: l’unica cosa che resterà nell’arte e dell’arte è la semplicità,
l’essenza. Ma attenzione, la massima semplicità coincide con la massima
pienezza, alla semplicità insomma, come avrete capito, si arriva dopo aver
sperimentato al massimo, studiato, intuito, attraversato e qui, ciascuno trovi
la sua strada, i suoi maestri, o si affidi semplicemente ai suoi fratelli,
lontani o vicini e questa volta parlo di tempo, non di spazio, perché da ognuno
c’è da imparare.
E per favore diciamolo che se vogliamo
che l’arte e la poesia, ovviamente, arrivino,
non sono necessarie parole cadute in
disuso, cerchiamo nel linguaggio la nostra lingua, il mondo ci cambia intorno,
dobbiamo pur comunicare, e se qualcuno ci dice:
“Bella zì, così sei un poeta…” Inutile
rispondere “sicché saresti mio nipote?”
Diciamoci la verità, per essere
semplici ci vuole CORAGGIO, in quanto la semplicità è complicata, arriva alla
fine della crescita, anche se in alcuni davvero talentuosi è lì, a portata di
mano, pronta e ce ne accorgiamo,eccome, se ce ne accorgiamo, perfino dai
pulpiti.
Anche se, in un momento così poco
chiaro, potrebbe frettolosamente essere etichettata come banalità, facciamo
attenzione a giudicare e snobbare con tagli da mannaia. Chiediamoci invece:
cosa mi sta dicendo? Cerchiamo la caratteristica implicita del fare poesia in
noi e nell’altro, comunichiamo con profondità emozioni e stati d’animo e
cerchiamoli nelle poesie che leggiamo.
E poi, il ritmo, l’andatura, la rima,
scrivere al diritto o al rovescio…ma che ci frega!
Magari sarebbe bello e necessario
aggiungere immagini, foto, ritratti, video alle poesie, sarebbe bello vederle
prendere forma, o sentirle cantare o recitare a teatro…magari, e con il
pubblico…beh, sarebbe ancora più bello vi pare? Direi incredibile, visto che il
pubblico, non c’è mai.
Quindi, come poeti ora, ammesso che
sentiamo emozioni che provengono dalla nostra interiorità, ammesso che queste
emozioni fanno parte dell’inconscio collettivo e sono condivisibili con un
eschimese e un cambogiano e qualsiasi altro bipede terrestre, qual è il mezzo e
qual è la regola da seguire per arrivare allo stomaco o alle viscere o al cuore
del vicino di casa o del più lontano internauta?
A mio modesto parere è: LA RICERCA
DELLA PAROLA GIUSTA.
Quella che ci corrisponde e ci fa
riconoscere e sentire nella maniera più semplice e giusta. Leggete con
attenzione vi prego la seguente citazione mangiatela e moltiplicatela per
favore:
“
L’impiego delle parole giuste è una funzione energetica perché è una funzione
della coscienza.
E’
l’esatta corrispondenza fra una parola (o una frase) e una sensazione, fra
un’idea e un sentimento.
Quando
le parole sono CONNESSE o COMBACIANO con le sensazioni, il FLUSSO ENERGETICO
che ne risulta fa AUMENTARE LO STATO DI ECCITAZIONE DELLA MENTE E DEL CORPO
ELEVANDO IL LIVELLO DI COSCIENZA E LA MESSA A FUOCO.
Non
tutte le parole ovviamente sono così, lo sono quelle che nascono dalla nostra
esperienza intima e profonda.
Occorre
parlare ripetutamente dell’esperienza e sondarne tutte le sfumature di
significato…
QUESTO,
E’ QUELLO CHE AVVIENE NELLE POESIE.”
Queste parole sulla parola non le ha
dette e scritte un grande critico o letterato, ma il fondatore della
bioenergetica Alexander Lowen (1975), psicoterapeuta e psichiatra (1910-2008
U.S.A.)
La poesia quindi non solo non è morta,
e mi sembra che Lowen lo dimostri, ma è fonte di energia prima di tutto per noi
che ne scriviamo, e poi per chi la legge, ascolta, guarda le immagini o la
musica legate a essa, ma non potrà mai neppure morire perché resterà l’eterno
baluardo alla mistificazione e mercificazione dei sentimenti.
Del resto, abbandonato lo stereotipo
del poeta asociale, triste, depresso e suicida, resta l’idea di una persona
connessa con la sensibilità propria e altrui che certo non si arricchisce
scrivendone, semmai arricchisce chi lo segue e anche chi lo insegue, magari
sotto le vesti di piccole case editrici.
Sappiamo che “L’apriti Sesamo” del
poeta deve avere una nuova chiave di apertura.
Forse una chiave con scritto “SCIOPERO
AD OLTRANZA”, perché se la poesia non vende, il poeta non deve pubblicare con i
mercifica tori, solo per vedere concretizzato un sogno che non finirà oltre le
pareti della piccola biblioteca di un amico, anche lui, poeta. Il traguardo è
arrivare alla gente e non cedere alle lusinghe, o partecipare a premi per lo
più pilotati, e sgambettarsi per comparsare a kermesse pirotecniche.
Per quanto ci possano incantare e
incastrare, la poesia è viva di per sé, mette le ali, vola, lasciatela andare,
scrivetela sulle porte dei bagni degli autogrill, cantatela per strada, nei
bar, nei pub, imbrattate i muri, l’asfalto, non siate timidi…
Non facciamoci ghetto statuario, muoviamoci
muovendo la poesia, portiamola con noi dal parrucchiere, dal fruttivendolo, dal
panettiere, facciamola leggere all’amico coatto…la sensibilità è una
caratteristica dell’essere umano, non esiste qualcuno che ne sia privo, e se
esiste, quel qualcuno ha bisogno di aiuto, perché è certo, che soffre più di
noi.
Riempiamo gli spazi, tutti gli spazi,
altrimenti a cosa serve essere tanti?
Se la parola è giusta, arriverà.
Forse diranno di noi, delle nostre
fatiche, intuizioni, visioni: “Sì, erano dei poeti”.
E se davvero saremo stati in troppi,
che importa?
Resteremo per sempre un popolo di
sognatori e poeti, anche su Marte, anche sotto uno strato di terra o come
polvere nell’oceano o chissà.
Questo è il nostro ruolo.
Il poeta deve ancora germogliare il mondo
con frasi semplici e parole e metafore così belle e generose da concedere a
tutti di poter pensare:
“ah…se avessi conosciuto quelle parole,
l’avrei scritto io quel verso, perché è proprio quello che sento”.
E noi, tutti noi, ce le abbiamo dentro,
tiriamole fuori.
E ricordiamoci sempre che il poeta non
conosce LA PAROLA POTERE ma conosce IL POTERE DELLA PAROLA.
Antonella Antonelli
Sono felice di aver varcato la soglia di Leucade, e ringrazio il Professore e Poeta Nazario Pardini per avermene dato l'opportunità.
RispondiEliminaLa chiave era nella mia esigenza di coralità. Si scrive da soli per lo più, è vero, ma è agli altri che poi ci si rivolge, per trovare un afflato che renda concrete le nostre parole.
Spero che dalla vetrina il potere delle parole generi un'eco, anche piccola, che ci aiuti a tornare alla sacralità della nostra vocazione.
Antonella Antonelli
Anche io penso che la poesia renda più prezioso il quotidiano e che perciò debba uscire dai luoghi istituzionali per andare tra la gente e mischiarsi alla vita. Sento spesso poesie che non mi piacciono e tuttavia sono contento che qualcuno abbia provato a mettere in versi un suo pensiero perché con lui potrebbe instaurarsi un dialogo, aprire un circuito virtuoso, fatto di umiltà e condivisione, sincerità e studio. Non siamo fatti per stare soli, abituiamoci ad incontrarci, a dire con naturalezza, rispetto e buona fede la nostra opinione e diventeremo tutti un poco migliori
RispondiEliminaGrazie Renato per il tuo commento. Sarebbe bella un'atmosfera da formicaio, ma con la consapevolezza che il talento da solo non basta, ci vogliono studio, applicazione, tempo e volontà. Non sentirsi soli, entrare a far parte di un gruppo può aiutare, ma tu stesso parli di opinioni, e per me il primo passo è creare un manifesto che ci separi dalla nostra individualità e ci garantisca un percorso comune, e allora tutto avrà un senso, questa bella confusione ci rende euforici ma non ci storicizzerà mai, ci vuole un movimento per riportare la poesia e l'arte al suo posto, qui non si tratta di diventare o sentirsi migliori, qui si tratta di esistere.
EliminaAntonella Antonelli
Mi piace questa riscossa di Antonella Antonelli. Portare la poesia dovunque significa portare nel mondo qualcosa che nel mondo non c'è. Riempire un vuoto, dunque: quel vuoto di humanitas e di interiorità di cui è carente una cultura come la nostra, tutta proiettata sul lato esteriore delle cose. Non si deve confondere l'interiorità con l'intimismo. Coralità è comunione: un afflato interiore che nulla ha in comune con il fragore robotizzante dell'attuale civiltà. La poesia può essere viva solo se riesce a tenere alti i vessilli dell'umano. Sempre e comunque, altrimenti è destinata anch'essa a morire.
RispondiEliminaFranco Campegiani
La ringrazio Franco Campegiani per questa spinta, la poesia è voragine interiore con i piedi a terra, è sapere bene cosa sia il reale e parlare invece del di dentro che troppo spesso dimentichiamo. E proprio per questa sua connotazione, è anche gioia, ironia, armonia...a volte perfino cinismo e lotta, e non deve tacere mai, perché come l'uomo non muore, si rigenera.
RispondiEliminaMi spiego meglio. Per rigenerarsi c'è bisogno di pause rigenerative. Un bel sonno ristoratore è ciò di cui abbiamo maggiormente bisogno per acquisire nuove energie. Le avanguardie artistiche cui lei fa riferimento hanno attinto a piene mani al primitivismo delle arcaiche culture. Il silenzio, allora, è il
RispondiEliminaprimo valore da coltivare per poter produrre opere all'altezza della torre di babele in cui viviamo.
Franco Campegiani
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaLa poesia si può trovare anche in un panno steso al sole, nelle erbacce che crescono sul ciglio della strada, in un incontro casuale... il mondo è pieno di poesia, e ci parla. I poeti sono quelli che colgono il messaggio e lo fanno loro, partecipi di questo meraviglioso movimento che è la vita, Si può essere poeti anche senza scrivere versi, ma quando questo movimento si trasforma in linguaggio poetico, allora si entra nel labirinto della comunicazione. La pausa rigenerativa a cui Franco si riferisce, se ho ben capito il suo pensiero, è fatta di silenzio interiore che proprio nella sua virtù di essere silenzio ci avvicina alla voce interiore che ci parla sempre e comunque. Troppo spesso questa voce, mista al rumore dell'esistenza, è ignorata. Eppure non tace, insiste, spinge con tutte le sue forze per venire dalla Luce alla luce, ed è presente in tutti noi! Occorre abbassare il volume della radio dei pensieri per ascoltare. Allora probabilmente si varca la soglia, si stappa il cratere e il magma del nostro io più profondo esce, si raffredda e diventa pietra. E se le parole sono pietre, ci si può fare la sassaiola o ci si può scolpire un monumento, ma una volta scritte non tornano indietro. Mio Dio, che responsabilità!
RispondiEliminaCiò detto, credo che le poesie andrebbero scritte sulle saracinesche chiuse... lì, sono sicuro, qualcuno le leggerebbe, le fotograferebbe e le farebbe girare su FB...
Claudio Fiorentini
Buongiorno Franco Campegiani, certo, ci sarebbe bisogno di "fermarsi" studiare, capire, sperimentare e riflettere. E invece tutto corre, e la parola per prima ha perso peso, rimane una frivolezza volatile e inutile; fermarsi, e sentire nel silenzio. E' solo così che il talento può essere arricchito, (non credo nella sola ispirazione), e ritrovare le radici, quello è sempre necessario, e, anche se ciascuno di noi ha la proprie, possono essere condivisibili.
RispondiEliminaDunque, fermiamoci, e troviamo il modo di cambiare il moto, ora, anche se sembra incolmabile la difficoltà. Un bel sonno ristoratore e poi si riparta con nuove energie. Io comunque credo fermamente nella valanga statica del silenzio costruttivo e dell'ascolto. E grazie per questo chiarimento e per le sue preziose osservazioni.
Claudio...è proprio questo che intendevo con "che bella spinta" riferita al messaggio di Franco Campegiani, una spinta che arriva da fuori e da dentro, esplode,implode, ma la devi anche saper tenere, proprio come il tuo "Grido", e poi sì, il mondo, suo malgrado può essere poesia, ogni cosa può esserlo,ma la responsabilità di cui parli è grande e ci riguarda per fortuna o per disgrazia non saprei, perchè a volte è sofferenza pura, ma non fa niente, vale la pena tutto per quell'attimo di gioia che ti dà solo la parola giusta, e il poeta se non è cialtrone, lo sa, altrimenti finge anche a se stesso. E poi sì, scriviamole sulle saracinesche stè poesie quando sentiamo che sono dedicate a tutti... e qualcuno le leggerà, d'altra parte quanti messaggi sono stati infilati in una bottiglia? Se non era poetico quel gesto....
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