Una poesia
intensa, attualissima, ispirata, penso, a una delle tante vittime di una crisi
profonda che ha coinvolto operai e
datori di lavoro in queste ultime vicende emotivamente e economicamente sconvolgenti.
Niente, sicuramente, è sufficiente a giustificare un’azione tanto tragica: un
suicidio. La vita è vita; è sacrosanta;
che ci venga tolta da chi ci ha scelto per tanto irripetibile avventura. Ma l’insieme
di cui facciamo parte, il sistema, non ne ha di colpe? Non dovremmo riflettere
un po’ di più sui valori dell’esistere in questa società liquida che ci
spersonalizza e ci tramuta in viandanti sperduti? che fa del materialismo
l’unico fine a cui attendere e da cui dipendere? Il poeta delinea a tinte forti
l’avvenimento riuscendo a farne un caso di riflessione e meditazione; un caso
sociale, umano; una tristezza personale e collettiva, coinvolgendoci con le sue
potenti incursioni verbali; impiegando una versificazione ora ipermetria ora
più breve a seconda dell’intensità dei passi. Morire di fragilità; sì!, una
fragilità che porta a rifiutare il bene più grande che ci possa essere concesso;
fino a far pensare che con la morte si possano risolvere tutti i problemi da
cui siamo assediati: “Quanta tristezza per morire di fragilità./ Lacrime amare
ingoiate tra singhiozzi spezzati…”, scrive il Poeta. Disperazione,
responsabilità, una fine liberatoria. “Una vittima di sistema,/ un vaso di
terracotta svuotato” aggiunge. E i mattoni della costruzione si sfaldano tra i
tanti di falso acciaio. L’Autore è talmente coinvolto che si rivolge direttamente
alla vittima: “Il peso non l’hai potuto sopportare,/ ti ha schiacciato l’impotenza,/
morire nella solitudine in quella fragilità,/ spesso sorgente di sensibilità”.
A tu per tu con il male; con un
peso opprimente, che ti ha vietato di chiedere aiuto; dacché ti ha convinto che
questa mano non ti può essere tesa da uomini impegnati in una sfida all’ultimo
sangue; in una corsa senza respiro, che abbandona i più deboli ai bordi della
strada: vivere o morire. E tutto “accade accanto a noi/ nel silenzio amaro
dell’impotenza”.
Nazario Pardini
Morire di fragilità
Quanta
tristezza per morire di fragilità.
Lacrime
amare ingoiate tra singhiozzi spezzati,
lacrime,
un concentrato di disperazione,
sgorgate
sotto la pressa di due sillabe di responsabilità.
Una
vittima di sistema,
un vaso
di terracotta svuotato
tra tanti
di falso acciaio
non più
mattoni della società
ma
frantumi dalla società
senza un
nuovo uso
scarti
difficili da smaltire
impastati
come malta dalla vita
e
lasciati indurire deformi.
Il peso
non l’hai potuto sopportare,
ti ha
schiacciato l’impotenza,
morire
nella solitudine in quella fragilità,
spesso
sorgente di sensibilità.
Non è poi
così difficile cadere,
percorriamo
strade sul vuoto,
costruiamo
futuro mentre qualcuno scava il terreno,
a nostra
insaputa.
Rimaniamo
soli mentre precipitiamo,
senza
forza neppure per aggrapparci alla vita.
Ecco,
morire di
fragilità
accade
accanto a noi
nel
silenzio amaro dell’impotenza.
Francesco Casuscelli
La poesia è già stata pubblicata sul blog del Poeta
http://sospensionimolecolari.blogspot.it/2014/03/morire-di-fragilita.html
http://sospensionimolecolari.blogspot.it/2014/03/morire-di-fragilita.html
E' una grande emozione esser ospite su Lèucade, e ringrazio con riconoscenza il Prof.re Pardini per aver consentito l'attracco su questa magica isola di poesia.Inoltre, mi commuove il commento introduttivo che coglie il pathos e rende ancora più preziosa questa mia composizione.
RispondiEliminaUn caro saluto
Francesco
Poesia rigorosa e sofferta, poesia che indica il travaglio di una società a fronte di un dolore più universale:
EliminaEcco, morire di fragilità
accade accanto a noi
nel silenzio amaro dell’impotenza. indica più verosimilmente la tragedia di una umanità sofferente alla cui logica s'inchioda il genere umano, vittima di un sistema che non consente risorgenze, rinascenze, temperanze: una logica del potere, della sopraffazione che non costruisce, ma demolisce valori e significati, precipitandoci nel vuoto nichilista e inconcludente della storia.
Ninnj Di Stefano Busà
Sono contento di ricevere il suo autorevole commento. Quanto scritto, sia dal prof. Nazario, che dalla poetessa Ninnj, mi conferma che affrontare questi argomenti amari, che purtroppo la cronaca ci impone, è una necessità morale a cui il poeta che vive dentro di me, non riesce a sottrarsi.
EliminaUn caro saluto, con stima
Francesco