Nel contesto delle presentazioni di libri che tiene l'IPLAC,
il 16 maggio è stato presentato il libro recentemente edito da Paolo Buzzacconi
con i tipi di "Edizioni Effigi"
L’intervento è di Luca Giordano
Leggendo “Giorni diVersi” di Paolo
Buzzacconi.
Di Luca Giordano
In Italia si scrive tanta poesia e anche
con una selezione severa, rimane molto da leggere. C'è la tentazione di
chiedersi: ha senso ancora scrivere delle poesie? Una domanda simile se la posero
sia Eugenio Montale che Pier Paolo Pasolini sul crinale tra gli anni 60 e 70.
Le risposte furono due sillogi: “Satura” per Montale e “Trasumanar e
Organizzar” per Pasolini. Sillogi che segnano un cambiamento
nell’atteggiamento dei due autori nei confronti della poesia. Poi la storia ha
fatto il suo corso: Montale vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1975,
nello stesso anno, nella notte tra il primo e il due novembre il povero
Pasolini è stato ucciso, il dibattito è rimasto sospeso.
Che spazio ha il libro “Giorni di versi”
di Paolo Buzzacconi? Credo che faccia di una rivoluzione che chiede un nuovo
umanesimo. Perché parlare rivoluzione quando noi qui vorremmo parlare di
poesia? Perché la poesia è sempre qualcosa che preme dentro e forza l'autore a
volte quasi contro la sua volontà. La poesia nasce da esigenze profonde. E
queste esigenze profonde sono ciò che fomenta, la scintilla sotto la catasta di
legna di qualunque rivoluzione, ma contro cosa ci rivoltiamo? Io credo che ci
rivoltiamo al mondo tutto uguale, gestito dall'alto, dove le nostre sensazioni
e i nostri sentimenti sono pilotati e controllati. Un
esempio è la regola che l’argomento "cuore" o "amore" non
va bene, che è necessariamente banale, che l'intimismo non va bene: essere
troppo personale è una cosa sbagliata. Ci sono le regole, c'è un senso comune
che ci forza rispettare queste regole. Paolo invece non rispetta queste regole.
Parla di amore in continuazione e cita decine di volte la parola “cuore”.
La silloge non è divisa in sezioni, come
dichiara l'autore all'inizio, ma lascia cadere le idee, le sensazioni delle
liriche in un modo che sembra lasciato al caso, come nella vita. Questo
"sembra," è fondamentale. Perché in realtà in questa silloge niente è
lasciato al caso. Non è lasciato al caso il susseguirsi dei versi, sono in
genere endecasillabi generalmente chiusi in schemi come il sonetto o la
canzone, metri complessi che richiedono, per essere utilizzati una notevole
competenza e un orecchio naturale. E Paolo li usa con naturalezza, tanto che mi
ha ricordato le parole di Jorge Louis Borges: "L'enigma della poesia è che
non abbiamo bisogno di decifrarla per goderne." E noi di fronte a queste
liriche viviamo questo senso di mistero, anche se non sappiamo perché, ne percepiamo
la bellezza e l'armonia.
C'è in questo libro una visione del mondo,
che leggendolo voi scoprirete, c'è uno sguardo profondo sulle cose, da gustare
nelle immagini poetiche, c'è una visione spirituale della realtà, che avrete il
piacere di accogliere o di rifiutare.
Forse la rivoluzione proprio questa: non
c'è obbligo, non c'è integralismo, non c'è intolleranza ma c'è una proposta che
passa attraverso i testi, c'è una visione del mondo che viene chiarita perché
attorno ad essa è costruito un linguaggio che la rende comprensibile.
Un'altra matrice, anche se il libro è in
lingua italiana, è l'esperienza che Paolo ha fatto nello studio della poesia
dialettale. È una poesia dialettale che esprime con orgoglio una cultura
popolare. Si respira nei finali delle sue liriche tratti dalle poesie in
dialetto romano che hanno spesso la battuta finale.
Si percepisce in questa silloge anche una
solidità nelle convinzioni di Paolo, una visione del mondo chiara, che lui ci
trasmette in maniera sincera e generosa. Va considerata non solo per motivi
biografici ma anche perché in questa silloge è parte dell'opera poetica, ci dà
una sensazione alla fine della lettura che è fondamentale per capire tutte le
poesie. Questa sincerità, questo vissuto in prima persona, questa chiarezza, sono
elementi della poetica di Paolo.
Paolo non segue degli schemi. La libertà è
un altro tema importante di questo libro. Innanzitutto è una libertà
"di" e non "da". Intendo la libertà di dire, di essere, di
fare qualche cosa, non "da" qualcuno o "da" qualche
situazione. La bellezza della libertà di Paolo e che la usa per amare la
cultura. Ora citerò questa poesia che mi sembra utile per il nostro discorso.
Insieme a lei poi ritornar bambino,
sederti fra le stelle ad ascoltare
oppure-se ne hai voglia-raccontare
di quali sogni è fatto il tuo cammino.
Per chi ha nel cuore il sole del mattino
scoprire un’emozione da cullare
è un magico artificio per scalare
le ripide pareti del destino
La Musa ci fa rondine al vento,
boccioli di una rosa mai fiorita,
ci lega l'uno all'altro in un momento.
Cultura amore, libertà infinita
ragione che si inchina al sentimento,
nasce sospiro che poi diventa vita.
Ecco abbiamo fatto tutto il giro: ci siamo
chiesti se serve scrivere poesie e scopriamo che serve a vivere. Lo dice
l'ultima parola questa lirica: questo libro serve a vivere, a vivere meglio.
Cito un colloquio che ho avuto con un carcerato durante i giorni di Natale.
Quando la conversazione è caduta sulla lettura, chiesi all'uomo se gli piaceva
leggere, mi disse: "Se non avessi potuto leggere qui in prigione,
probabilmente mi sarei suicidato."
Come i libri possono aiutare un uomo in
prigione a vivere, danno a ciascuno una chance di liberazione dalle sbarre che
a volte ci costruiamo noi stessi e dalle quali non sappiamo come uscire.
Ero alla presentazione e ho anche letto il libro. La cosa che più mi ha colpito è l'uomo, Paolo, che traspare dai suoi versi. Un uomo ferocemente, selvaggiamente, umilmente e irrimediabilmente innamorato della vita e della gente. Un uomo che si dona e che mette le corde nella giusta tensione, accordando la chitarra quando è scordata... Un uomo semplice e onesto, che nel suo scrivere ci ricorda che i valori della vita sono nelle cose semplici. Di Paolo ho la certezza che mai si monterà la testa, e che sempre ci ricorderà che noi non ce la dobbiamo montare. Le sue poesie sono un dono per la nostra capacità di vedere dentro.
RispondiEliminaGrazie
Claudio Fiorentini
Anch'io ero alla presentazione di Paolo Buzzacconi, in veste di moderatrice. Ed é stato difficile indossare l'habitus richiesto dalla serata, perché il cuore, anarchicamente scalpitava e mi spingeva verso i sentieri di quest'Autore che rappresenta un unicum nel mondo letterario. L'ho definito Poeta dell'Amore, non per la sua levità, che resta innegabile, ma per la capacità dannatamente pura di vivere la felicità 'difficile', quella presente nel quotidiano di ognuno di noi, e di insegnarci a viverla senza disperazione, con lo sguardo alto e la dignità a fior di pelle. Ecco, di Paolo, di quest'amico che smuove le corde dei cuori in modo commovente, mi piace mettere in evidenza il coraggio e la dignità. E' semplice dire dell'amore in modo melenso, abusato, usurato. Lo é ancora di più quando si é padroni della metrica, che é sottofondo magnifico per le liriche amorose e, spesso, fuori dal tempo. Paolo evita in modo rigoroso questi luoghi comuni. Non é al servizio della metrica, ne fa uso con pudore,senza renderla 'gabbia', modernizzandola e il suo incontenibile amore per la vita é l'espressione autentica di un uomo attento al sociale, alle solitudini, ai drammi, alle tristi verità del nostro tempo. Sa usare il termine 'cuore' riferendolo a contesti d'ogni genere e restituendogli il giusto senso, quello di un muscolo che pompa sangue, calore, vita e spinta verso il prossimo. Paolo Buzzacconi nel suo testo "Giorni di versi" ci consente di annegare nell'armonia. Di ritrovarci... perché troppo spesso ci perdiamo tra i rovi dell'esistenza. Di stringerci vicini e di provare a fare 'la rivoluzione' di cui parla Luca Giordano, l'unica possibile per intraprendere il cammino di un nuovo Rinascimento.
RispondiEliminaApprofitto di questo Scoglio prestigioso per inchinarmi alla sua grandezza e ringrazio il Professor Pardini che ci consente di valorizzare i talenti!
Maria Rizzi