Paolo
Bassani: RIVERBERO. Poesie e
racconti. 2015
(stampato in proprio)
Ci
scrive l’Autore in una citazione che fa da antiporta, da prodromico avvio alla
lettura: “… In fondo, come ci ricordava Mario Luzi, scrivere è per l’autore un
elementare bisogno dello spirito che si incontra con la cultura, cercando di
far diventare il segno convenzionale parola viva”. E questo è l’intento di
Bassani che, con un linguaggio morbido e suadente, riesce ad esprimere tutto il
suo pathos esistenziale, tutto il suo credo estetico ed etico, tutto il suo
impegno politico-sociale, ora con rime di affabulante musicalità ora con prose
agili e zeppe di umanesimo e di umanità. Ho avuto l’occasione e il piacere di
leggere i contenuti dell’opera in quanto già pubblicata in gran parte su questo
blog. E mi piace riportare qualcosa di quello che ho già scritto su alcuni
punti per me indicativi a delineare la psicologia e la
struttura morale dello scrittore. Soprattutto rifacendoci alla sua storia e
alle sue vicissitudini che gli hanno dato la possibilità di commisurare i
sacrifici dei tempi bellici e postbellici con gli agi dell’attuale società di
cui i giovani godono, incoscienti, spesso, di quello che i loro padri hanno
dovuto sopportare per conquistare quella libertà di cui beneficiamo. Basta
leggere il brano dal titolo Le foglie dei
castagni per renderci conto del
potenziale emotivo-intellettivo della prosa di Bassani; o La mia patria per avvicinarci alla pluralità e alla polivalenza di
una poesia, che, con versi motivati da un naturismo loquace e fortemente
simbolico, riesce a concretizzare gli abbrivi ispirativi e culturali (cultura = coltivare per donare) del
Nostro: “Qui il memoriale si fa
interprete principale di una narrazione che riporta a vita momenti, fatti e
personaggi di uno dei periodi più tristi
della nostra storia: quello della Seconda Guerra Mondiale. È così che inizia il
racconto di Bassani: “Castagni Grossi: questo il nome di una località sperduta
tra i monti di Caprigliola; una zona immersa nei boschi sul versante sinistro
della Valle dei Mulini, di fronte al monte Grosso”. Ed è qui che la famiglia
dello scrittore, assieme ad altre due di parenti sfollati dalla Spezia, trovò
ospitalità presso la cascina dello zio Ermanno. Le città si spopolavano, e gli
abitanti cercavano rifugio nelle campagne, da amici, parenti o conoscenti per
allontanarsi il più possibile dai bombardamenti e per trovare luoghi dove poter
mangiare. Avvenimenti, personaggi, incontri, generosità, condivisione fraterna
fra famiglie disposte a dividere un tocco di pane. E là i tedeschi, con i loro
mitra spianati, con la loro furia omicida, con i loro espropri di beni che i
paesani mettevano assieme con anni di lavoro… e poi, finalmente, il suono
festoso delle campane di Caprigliola, interminabili, impazzite di gioia.
Era il 25 Aprile, data di liberazione e
di grande festa nazionale. Si intermezzano significative poesie di
Bassani-poeta a completare e rendere emblematica l’opera. E credo sia cosa
ottima, a livello documentaristico e poetico, proporvi parte di quella
composizione che raggiunge vette di un panismo lirico di grande resa poetica…;
un profumo di parole che sanno di buono, di umano, di fratellanza, di amore;
dove il poeta ha abbarbicato le radici, perché, là, libertà e legge non hanno
bisogno di custodi in quanto fanno parte dell’uomo della terra”:
ALLA
MIA PATRIA
La
mia patria è qui
in
questa terra
aperta
sulla valle
nel
verde di pini
d’olivi
e di castagni;
qui
dove a giugno
immense
macchie di ginestre
s’accendono
di sole
e
lontani profumi
il
vento leggero
del
meriggio
esala;
(…)
qui
dove le case
non
hanno cancelli
reti
o muri intorno
ma
l’uscio sempre aperto;
dove
il nascere
il vivere
il morire d’ognuno
è
per tutti
un grande evento.
(Paolo Bassani)
DA RIVERBERO
poesie e racconti di
Paolo Bassani
Presentazione di
Francesco D’Episcopo
Fedeltà alla poesia della vita
La
vita è l’arte dell’incontro, diceva un poeta brasiliano, amico di Giuseppe
Ungaretti, Vinicius de Moraes, ed io incontrai Paolo Bassani alcuni anni fa, in
occasione di un bel premio letterario, Portus Lunae, che mi fu dato in una
delle piccole isole che fronteggiano il golfo di La Spezia. Mi affidò qualcuno
dei suoi libretti, in poesia e in prosa, fatti regolarmente in casa e stampati
in proprio, che lessi in breve tempo durante il mio viaggio di ritorno. Rimasi
colpito dal candore, oltre che della persona, delle sue parole, scritte con
quella profondità che sempre la semplicità comporta, quando è sincera, e
sgorga, come l’acqua, da una fonte spontanea.
Sono ora qui a scrivere poche parole per lui, che, assecondando il suo
carattere schivo, sobrio, non me le ha chieste, ma che io, invece, ho sentito
di offrirgli come gesto di simpatia e di stima per l’umanità che si espande
naturalmente dalla sua poesia. In lui, infatti, come accade a chi davvero prova
le cose che scrive, poesia e vita sono la stessa cosa. Ed è importante, molto
importante, che poeti della vita e della parola abbiano il riconoscimento che
meritano.
In
verità, Bassani alcuni premi li ha vinti, qualcuno davvero importante e
imprevisto, e li ha vinti soprattutto per la persuasività della sua parola, mai
svagante, ma sempre rigorosamente attinente all’argomento prefisso. Basta, del
resto, seguire la natura delle cose per aderire più intensamente e intimamente
a ciò che la vita e la poesia suggeriscono.
Bassani, in questa silloge di poesia e prosa, ricorda, rimpiange personaggi e
posti, che hanno fatto bella la sua vita; onora e rispetta, come pochi, coloro
che hanno dato la vita per noi; non confonde mai il bene e il male, anzi invoca
una giustizia più giusta, che riconosca ed esalti il bene e condanni e
punisca il male. Si lamenta, a ragione, dell’incuria del nostro tempo per un
passato che andrebbe preservato da gratuite e stupide violenze. Ripercorre con
levità stagioni della sua e nostra vita, nelle quali è facile riconoscersi e
ritrovarsi: le antiche case contadine, descritte nei minimi particolari; usi e
costumi di una civiltà, dominata da una solida armonia, da una solidarietà, che
sono certamente in parte scomparse.
Egli tratteggia momenti popolari della storia della sua città, ad esempio,
quelli in cui il filobus prese il posto del tram, ma anche delle sue valli
vicine, come quella Val di Vara, di cui offre una sintetica e sostanziale guida
sentimentale.
E
poi c’è il suo vissuto più personale: figlio di un ferroviere, appena perduta
l’amatissima madre, trova lavoro e una famiglia di amici. E poi le difficoltà,
a cui la vita sottopone lui e la sua nuova, vera famiglia.
Questo libro è il <<riverbero>> provinciale, nel senso più alto, di
una storia nazionale, di cui non sempre ci siamo sentiti protagonisti.
Solo la poesia restituisce, a chi la concepisce e la vive come atto d’amore e
di partecipazione civile, la cittadinanza morale che spetta ad ogni uomo, di
qualsiasi razza egli sia; una cittadinanza, che reca impressi i segni
dell’amore, della condivisione, dell’onestà. Bassani, distrattamente, non pagò
un biglietto sul suo filobus cittadino, ma ha certamente pagato, con
attenzione, il biglietto che più conta: quello alla vita e alla sua passione
più vera, la poesia.
Francesco
D’Episcopo
DUE PAROLE AL LETTORE
In queste pagine ho voluto proporre alcune
poesie e racconti che mi sono particolarmente cari, perché sono diventati parte
del mio esistere. Lo stesso titolo “Riverbero” dato alla raccolta intende
significare che la parola, la scrittura, ha assunto la funzione di uno specchio
che riflette attese, speranze ed emozioni del percorso esistenziale. In fondo,
come ci ricordava Mario Luzi, scrivere è per l’autore un elementare bisogno
dello spirito che si incontra con la cultura, cercando di far diventare il
segno convenzionale parola viva.
Buona lettura.
L’autore
IL
PAESAGGIO
TERRA
PROMESSA
Siedi
sullo
scalino
di
pietra...
Lontane
voci di bimbi
udrai
e
rari suoni di passi
nell'eco
di chiuse vie.
Odore
di legna,
di
pane ancora caldo,
ti
porterà
alle
antiche case
ove
brilla ancora il fuoco
e
il geranio adorna
minute
finestre
esposte
all'infinito.
Profumo
di vino nuovo
ti
condurrà
nella
penombra quieta
di
volte e di cantine linde.
Stupito
ancora
sarai
del
tuo paese,
malinconico
emigrante.
Struggente
sentirai
l'attesa
del ritorno.
In
questi colli
aperti
sulla Magra,
rossi
di vigne
e
placidi d'olivi,
ecco,
splendida nel sole,
la
terra tua promessa.
________________________________
Prima
classificata – Premio Nazionale “Val di Vara” 1980 – Varese Ligure
ALLA
MIA PATRIA
La
mia patria è qui
in
questa terra
aperta
sulla valle
nel
verde di pini
d'olivi
e
di castagni;
qui
dove a giugno
immense
macchie di ginestre
s'accendono
di sole
e
lontani profumi
il
vento leggero
del
meriggio
esala;
qui
dove ancora
il
cuculo scandisce
e
alterna il suo richiamo
a
lunghe pause di silenzi.
La
mia patria è qui
tra
questa gente antica
ormai
sempre più rada
semplice
nei gesti
e
nobile nel cuore
gente
indomita
tenace
alla
terra legata
e
alla parola:
umile
gente
dignitosa.
La
mia patria è qui
dove
libertà e legge
non
hanno bisogno di custodi
perché
sono parte dell'uomo
della
terra;
qui
dove le case
non
hanno cancelli
reti
o muri intorno
ma
l'uscio sempre aperto;
dove
il nascere
il
vivere
il
morire d'ognuno
è
per tutti
un
grande evento.
___________________________________
Prima
classificata Premio Nazionale “Gabriele Rossetti” 1991 – Vasto (CH)
RIO
SECCO
A
te
correvo
dopo il temporale
quando
al lieve fremito del vento
ancora
la pioggia
lucente
cadeva
dai fiori e dalle foglie.
Solitario
m'incantavo
al sordo rumore
e
torbido impeto dell'acque.
A
te
venivo
con mia madre
nei
giorni di sole
a
empire la secchia
con
il vecchio mestolo di rame.
Limpido
nella
freschezza del mattino
lasciavi
trasparire
profondità
di ghiare
nel
tremulo riflesso
d'un
volto sorridente
stampato
nel sereno.
Attraversarti
saltando
di pietra in pietra
era
la mia gioia di bambino.
A
te
vorrei
tornare un giorno;
trovare
ancora
nel
tuo riflesso puro
intatta
l'immagine
del volto sorridente
e
la serenità del cielo;
saltare
di pietra in pietra:
attraversarti
ancora.
Vorrei
tornare
prima
che scivoli sull'acque
inesorabile
l'ombra
lunga dei castagni.
Vorrei,
vorrei tornare adesso!
Ma
ho paura
di
non trovarti più.
__________________________________
Prima
classificata Premio Nazionale“Val di Vara” 1995 – Varese Ligure
SIESTA
Lasciatemi
quest'ora di quiete
adesso
che il sole avvampa
e
le cicale spandono
il
canto del loro abbandono.
Come
allora lasciatemi posare
il
capo sul guanciale di sacco
all'ombra
fresca della volta
e
ritrovare quel profumo antico
di
pane, di legna e di cantina.
Ancora
gli occhi socchiuderò
alle
bianche nuvole del cielo
immobili
come l'aria che a quest'ora
stagna
sui campi e sulle case,
lungo
i sentieri della valle
e
nel verde fitto dei castagni.
Anche
i pensieri cercano riposo
nel
pomeriggio dell'estate
mentre
-di tanto in tanto- il tuono
brontola
lontano dalla Cisa.
M'intimoriva
un tempo il suo mistero;
adesso,
invece, io l'attendo
come
la voce amica dell'infanzia:
nenia
dolce che mi riporta al sonno.
_______________________________
Prima
classificata Premio Nazionale “L’Ambiente” 1996 – Tarsogno (PR)
AI
CASTAGNI
A
voi ritorno, amici miei castagni,
in
questo afoso giorno dell'estate.
La
nostalgia d'un tempo mi sospinge
alla
magica terra dell'infanzia.
Allora
voi placaste la mia fame.
S'aprivano
le ricce come scrigni:
generose
e lucenti le castagne
furono
il nostro pane quotidiano.
Non
ho più fame, ma solo sete adesso.
Con
le foglie preparerò il bicchiere,
ché
l'acqua pura dell'antica fonte
possa
spegnermi in cuore quest'arsura.
Ho
tanta sete d'alba e di rugiada.
Voi
solo ormai serbate di quegli anni
liete
stagioni e giorni spensierati,
dolcezza
di profumi e di memorie.
Datemi
ancora un poco di quel tempo!
E
quando stanco poserò il mio passo,
non
cercherò ombra cupa di cipressi
ma
il vostro fresco, tenero di verde.
_________________________________
Prima
classificata Premio Nazionale “L’Ambiente” 1999 – Tarsogno (PR)
LA
MEMORIA
STAGIONI
Presto,
a sera, il sonno chiudeva
i
miei occhi di bambino
e
il capo s'adagiava
sul
vecchio tavolo di legno.
Allora,
mia madre dolcemente
mi
coglieva col suo abbraccio.
Ricordo
ancora
il
suo sussurro e il bacio,
il
ruvido lenzuolo odoroso di bucato
e
il crocchiare del giaciglio.
Poi,
d'un tratto, già l'aurora
nel
dorato raggio che filtrava
dai
ricami della piccola finestra
e
il trepido suono del suo passo.
Sono
passati gli anni,
non
mi addormento più
sul
tavolo la sera.
Adesso,
s'è
fatto fragile il mio sonno:
s'infrange
al minimo rumore
e
a cerchio
erranti
s'allargano i pensieri:
notturni
flutti inquieti alla deriva.
Attendo
l'alba.
Ma
sempre più, tarda la sua luce.
__________________________________
Prima
classificata Premio Nazionale “Olinto Dini” 1997
Castelnuovo
Garfagnana (LU)
TU
CHE PORTAVI LA PRIMA MIMOSA
Eri
svanito nel tempo...
Ti
credevo lontano:
ripartito
per terre
ove
non cresce l'olivo
e
la nebbia nasconde l'azzurro,
tra
gente che non ti capisce,
sospinto
da un povero sogno,
lo
stesso di sempre,
che
nasce fatale
in
sperduti sobborghi
d'antica
miseria.
Ora
so che non eri lontano.
Eri
già qui,
nel
silenzio di questa collina
battuta
dal vento di mare
e
arsa dal sole
che
spacca le pietre:
qui
vicino ai cipressi,
tra
erbe
e
selvatici fiori seccati
che
nessuno più taglia,
ad
attendere
i
bianchi gabbiani
che
tornano a sera;
a
vegliare le stelle
nei
cieli infiniti
di
limpide notti;
a
sfogliare
in
silenzio
l'ingiallita
corolla del tempo.
Caro
amico di scuola,
nei
dolci ricordi lontani
di
quando in classe
portavi
la prima mimosa,
questa
sera qui ti ritrovo;
ora
che è tardi:
ai
piedi d'una povera croce
di
legno;
seduto
sulla vecchia valigia
consunta
di sogni
e
di pene,
ad
attendere l'alba
che
nasce
dall'ultimo
giorno.
_____________________________
Prima
classificata Premio Nazionale “Giovanni Fantoni” 1983 Fivizzano (MS)
MA
SARA' ANCORA LA TUA VOCE...
Di
te mi parla ancora
la
tua terra questa sera.
Rinverdisce
la memoria
immagini
lontane
ora
che si spegne ogni sussurro
e
nell'ombra prossima alla notte
s'espande
sui tuoi campi
malinconia
di grilli.
Come
una volta
ancora
accenderò il lume,
lo
appenderò alla trave;
fioca
la sua fiamma
disegnerà
sui muri
ombre
lunghe, incerte,
ma
io ritroverò ogni cosa
come
l'hai lasciata:
la
mastra e la vetrina grigia,
il
mortaio di marmo
e
le teglie appese alla parete,
la
secchia con l'acqua
e
la mestola di rame,
il
focolare acceso
e
la scala di legno che sale
alle
tavole annerite del solaio.
Ritroverò
nel letto
il
saccone con le foglie
e
il delicato profumo delle mele
distese
a maturare.
Ogni
rumore ritroverò
e
sarà suono, soave:
dalla
pioggia che batte
sulle
tegole del tetto
al
notturno erodere del topo.
Ancora
fragrante si farà l'aria
d'antichi
aromi:
di
pane appena sfornato
d'olivo
crepitante al fuoco.
Ma
sarà ancora la tua voce
a
darti il soffio della vita.
Nella
semplicità della parola
ritroverò
intatta come allora
la
dignità del tuo comandamento:
"Non
calpestare neppure una formica!
E'
tanto grande il mondo...
per
tutti sia la terra;
per
tutti il dono della vita."
____________________________
Prima
classificata Premio Nazionale “Antonio Taddei” 1995 S. Stefano di Magra
(SP)
OLOCAUSTO
Stenda
la pietà il suo velo
sui
morti di tutte le nazioni,
sparga
l'indulgenza del perdono,
annulli
ogni eco d'odio e di rancore.
Nessuno
però osi strappare
una
sola pagina di storia.
Nessuno
offenda la verità.
La
luce è luce
le
tenebre sono tenebre:
chi
mai potrà affermare che la notte
è
chiara come il giorno;
che
tutti ebbero -allo stesso temporagione
e
torto,
accomunando
diritto e sopruso
libertà
ed oppressione
vittima
e carnefice;
che
tutto fu colpa del destino!
Non
si possono negare le stagioni
il
corso del sole e della storia.
Eppure,
ora qualcuno vorrebbe
falsare
anche l'Olocausto!
Potessero
la terra e il cielo
smentire
la follia dei lager,
l'infamia,
la negazione dell'uomo.
Ma
come può il carnefice negare
l'insulto
che uscì dalla sua bocca,
le
percosse e il martirio che inflisse.
Come
può l'uomo che trafisse
le
mani con i chiodi
e
il costato con la lancia,
come
può negare adesso
la
Passione e la Morte del Cristo
ancora
immolato su una croce uncinata.
Stenda
la pietà il suo velo
su
tutti i morti, su tutte le miserie.
Ma
la pietà non può
non
deve annullare la memoria.
________________________________
Prima
classificata “Premio Nazionale della Resistenza” 1995 Ponzano Superiore
(SP)
IL
TEMPIO DELLA VITA
Il
mio cuore di ragazzo avrebbe voluto
innalzarti
un tempio, o Madre,
solenne
di marmi e di parole scolpite
per
gridare al vento,
al
cielo, all'universo,
tutto
il mio amore.
Ma
ai poveri tocca soltanto
un
metro di terra e una croce di legno.
Per
loro anche la morte
è
provvisoria come la vita.
Non
hanno requie i poveri
neppure
nell'ultima dimora.
Allora
per te, o Madre,
ho
innalzato nel mio cuore
il
tempio eterno del ricordo,
più
bello, più grande,
più
sacro d'un santuario.
Qui
perenne brilla
la
fiamma del mio amore;
l'intreccio
candido di rose
contorna
di luce e di profumo
la
grazia del tuo volto.
Qui
non regna il velo gelido dei marmi
né
il silenzio desolato della morte;
non
trovano dimora crisantemi recisi,
opachi
vasi e fiori di plastica,
parole
annerite dallo smog.
Qui
ancora pulsa l'anello della vita;
mi
parla la tua voce,
m'allieta
il tuo sorriso.
Ecco
la tua casa, o Madre, la mia casa:
il
nostro tempio della vita.
__________________________________
Poesia
tratta dalla silloge “lungo la via Francigena” vincitrice del Premio
Nazionale di Poesia “Val di Vara” 1997 - Rocchetta Vara – SP
PER
NON DIMENTICARE
Torna
aprile
splendente
di sole e di colori
e
torna il mio pensiero a te.
C'è
una croce lungo la via
a
ricordare il tuo martirio,
uno
dei tanti, in questa terra
medaglia
d'oro al suo valore.
Di
te conosco solo il nome,
la
data di nascita e di morte.
Della
tua vita,
recisa
nel fiore degli anni,
soltanto
un lampo posso immaginare.
Parlami
dunque di te,
della
tua scelta
di
opporti all'invasore,
al
sopruso, alla funesta catena
d'odio
e di rovine.
Dimmi
della
tua vita
di
combattente clandestino,
sempre
in allerta
in
cammino tra le asperità
e
il gelo dei monti.
Dimmi
delle
tue attese, delle speranze,
dei
tuoi sogni:
di
quel venticinque aprile
di
cui solo intravedesti l'alba.
Dimmi
che
la libertà non fu un dono
ma
una conquista
costata
un prezzo immenso.
"La
libertà è una bianca colomba
che
sparge il seme della pace.
Non
divide la libertà, ma unisce;
non
mette il bavaglio, ma dà voce
anche
ai senza voce;
non
compra il silenzio la libertà,
non
intimidisce, né insulta,
ma
ascolta.
La
libertà non è un regalo
ma
faticosa conquista d'ogni giorno.
Ed
ogni giorno deve essere difesa".
_____________________________________
Prima
classificata Premio Nazionale “25 Aprile, pagine della nostra storia” 2006
S.
Giorgio Morgeto (RC)
NEL
BIANCO GRETO DELLA VALLE
Le
stagioni passano:
va
l’una e l’altra
subito
s’appresta.
Vanno
gli uomini e gli eventi
le
speranze e i sogni;
resta
solo la memoria
e
la paura di vederla
scomparire
nella nebbia.
Anch’io
ora so
di
questa paura,
anch’io
mi sento fragile creatura
ignara
del futuro e del destino
innanzi
all’ombra dell’oblio
che
tutto annulla.
Ti
prego, rimani tu, poesia,
a
ricordare l’antico canto
nell’ora
prossima al risveglio,
quando
timido il cielo
accennava
il profilo
dei
monti più lontani.
Ti
prego, riportami indietro negli anni
a
freschi respiri profumati d’erbe
nel
quieto sentiero dei castagni
verso
il limpido sussurro
laggiù
nel
bianco greto della valle.
___________________________
Prima
classificata Premio Nazionale “Cesare Orsini” 2006 – Ponzano Superiore (SP)
IL
SANGUE DI ABELE
Ditemi
voi, Martiri di Vinca,
l’allucinato
sguardo che non crede,
il
grido atroce di chi cade,
il
calore del sangue nelle mani,
il
rantolo straziante dei morenti.
Ditemi,
dell’odio acceso
negli
occhi delle belve,
degli
artigli feroci
vili
sull’inerme
agnello.
Ditemi,
se
il tempo debba velare la memoria,
se
esiste una pietà
che
possa coprire tanta infamia
nel
più difficile perdono.
Ditemi,
ditemi
ancora le speranze
di
quel lontano venticinque aprile.
Ditemi,
o Martiri,
se
hanno preso forma i vostri sogni,
se
libertà e giustizia
sono
fiorite come nelle attese.
Ma
i Martiri non parlano.
Parlano
i loro nomi
scolpiti
sulla pietra del Sacrario,
grido
e monito perenne
perché
la terra,
il
cielo e l’universo
mai
più conoscano
l’infamia
della bestia.
Mai
più, mai più in eterno!
____________________________
Prima
classificata Premio Nazionale di Poesia in onore della Resistenza 2005
S.
Stefano di Magra (SP)
RIMANI
ALMENO TU, POESIA
Il
mondo dei miei sogni è rimasto
nei
giorni d’una lontana stagione
quando
la primavera fiorita
alzava
il suo canto alla vita
e
simile all’alba fugava le ombre
nella
crescente luce del risveglio.
Ma
ora che scende impietosa la sera
e
l’autunno disperde le foglie,
or
che tutto s’arrende all’oblio
un
grande vuoto s’apre nel cuore,
solitudine
amara del nulla.
Rimani
almeno tu, Poesia,
a
cantare quel sogno lontano.
Come
allora, in alto leggera
fai
volare emozione e parola,
candida
ala di tenera brezza,
trasfondi
l’attesa dolcezza
con
la limpida voce del cuore.
Vieni,
squarcia le nubi e la nebbia
che
oscurano il cielo e la terra,
placa
l’incendio, il fumo e le fiamme
che
assediano uomini e case;
quieta
le onde del mare e del cuore.
Nel
silenzio che s’apre all’attesa,
come
allora innalza il tuo canto,
l’annuncio
di una nuova stagione
che
ridoni speranza al futuro.
_________________________________
Prima
classificata Premio Nazionale “Canta il sogno del mondo” 2010 – La Spezia
LUNGO
LA VIA
IL
PANE DEL PERDONO
Uomo,
apri
il tuo cuore alla pace.
Lo
so,
non
è facile abbattere
confini
di secoli,
rancori
di millenni;
colmare
abissi di sospetti.
Non
è facile
porgere
l'altra guancia
a
chi t'ha percosso,
innalzare
l'olivo
e
fraterni canti
sulla
terra ancora bagnata
di
lacrime e di sangue.
Ma
tu, uomo,
apri
alla luce la tua mente
e
il tuo cuore a pensieri di pace.
Raccogli
il pane del perdono
e
dividilo
perché
ognuno ne abbia.
Non
chiederti perché
debba
essere tu primo a donarlo;
né
come sarà possibile
con
un solo pane
sfamare
tanta gente.
_________________________
Prima
classificata Premio Nazionale “SS. Croce” 1991 - Taranto
JOBHEL
Il
suono di jobhel
ancora
annuncia
l'avvento
del tuo tempo,
Signore.
Riposi
la terra
e
i suoi frutti doni
ad
ogni uomo,
adesso
che Tu proclami al mondo
ancora
la tua liberazione
nell'anno
del riscatto.
Torna
tra noi, Signore!
Chinati
sulle nostre miserie
con
la pietà
del
buon Samaritano:
lava
cura
risana
le ferite,
da'
luce ai nostri occhi
e
speranza al cuore
nell'indulgenza
del perdono.
Signore,
indica la via
a
questo disorientato
pellegrino
del Duemila
che
s'arresta al bivio
e
ancora non sa decidersi:
guida
il suo passo
sulla
via di Emmaus
e
accompagna il suo cammino,
perché
egli non ceda alla fatica
e
allo sconforto del dubbio
se
nella sua ricerca
non
vede ancora
la
gloria del tuo Cielo.
Guidalo,
Signore,
perché
non si perda nel deserto
e
quando si fa sera
giunga
alla tua tenda:
a
Te che proteggi il pellegrino
e
sai placare la sua arsura.
_______________________
Prima
classificata Premio Nazionale “San Pio X” 1999 - Massa
ALLA
COMETA
Dimmi,
sei
tu la cometa che a Natale
appendevo
ai miei sogni di bambino?
Avevi
una gran chioma allora
ma
questa notte in cielo
tra
mille e mille stelle
fatico
a ritrovarti.
Lo
so che vieni da lontano
e
nel cammino di millenni
s'è
forse perduto
un
po' del tuo splendore.
Eppure
tu conosci a memoria
galassie
e nebulose
ove
non giunge sguardo umano,
e
inviolati segreti
ancora
custodisci.
Vai
e puntuale torni nei secoli
come
il nascere e il morire
di
stagioni.
Non
c'è in te presagio infausto
comodo
alibi per l'uomo
che
addebita alle stelle
l'ombra
del suo male.
Non
sei tu forse un palpito di luce
nel
perfetto disegno del creato?
E
la luce non è da sempre
simbolo
di vita?
Perché
allora taluno ancor s'ostina
a
farti profeta di sventura?
Io
so che tu non porti male alcuno
oltre
quello che l'uomo
cagiona
di sua mano.
Tu
sei soltanto un astro pellegrino
docile
alle regole del cielo.
Semmai,
nel ricordo sereno dell'attesa,
per
me rimani
l'immutata
cometa di stagnola
sul
mio lontano presepe dell'infanzia.
____________________________
Prima
classificata Premio Internazionale di Letteratura “Frate Ilaro del Corvo 2008”
Ameglia
(SP)
PAGINE
DELLA MEMORIA
CASA
DEL BIANCOSPINO, ADDIO
Scompare
un altro pezzo
di
storia contadina lunigianese
Ormai la sua sorte sembra segnata. Forse
presto arriveranno le ruspe e allora la vecchia casa contadina sarà abbattuta
come un animale mortalmente ferito. E il podere sarà sconvolto: olivi con le
radici al vento, vigne strappate dai filari, disperso il biancospino. Sui campi
divisi da confini sorgeranno muri di cemento, cancelli e reti. Così il nuovo
piano urbanistico prenderà forma e del passato non resterà più traccia, se non
nel ricordo. Ma anche i ricordi sono destinati a scomparire. Per questo ho
chiesto al freddo obiettivo di una macchina fotografica di fermare per sempre
le immagini di questo mondo che se ne va.
E’ strano come un velo di malinconia
s’avverte dinanzi ad ogni cosa che cade. Forse ci rendiamo conto che è una
parte di noi stessi che si perde; sentiamo tutta la fragilità delle cose e
della vita davanti all’immensità del tempo. La casa del biancospino sorge nella
campagna caprigliolese,
in Lunigiana. E’ stata per generazioni e
generazioni abitazione dei mezzadri che legarono la loro esistenza a quella
terra. E’ un tipico casolare della vita contadina: addossato al poggio a mezza
via sulla collina -sbiadito tra gli olivi- guarda il lento snodarsi del fiume
Magra. Semplice architettura: al piano interrato la vecchia stalla e le
cantine; a pianterreno la grande cucina con il pavimento a mattoni rossi, il
focolare, il forno, le altre stanze con minute finestre esposte all’infinito.
La scala di
legno -diritta- che porta al piano
superiore pavimentato con tavole disposte sulle grandi travi; e come soffitto
le tegole del tetto. Ma questa dimora rurale mi piace ricordarla come la vidi
per la prima volta: “Non ha cancelli, reti o muri intorno, ma solo olivi,
pergole e filari. Non ha neppure aiuole di giardino per fiori signorili;
soltanto il biancospino, un cespo di giaggioli e qualche viola del pensiero.
Non ha per guardia il cane lupo ma un vecchio gatto seduto sulla soglia.
Davanti all’uscio verde un’aia rossa di mattoni; a fianco, sotto il fico
grande, un vecchio tavolo di legno”. Purtroppo, il fico è già stato tagliato. A
proposito: di questa pianta voglio raccontarvi un fatto misterioso accaduto il
14 agosto 1981. Nella notte s’era levato un vento forte. Non era il vento di
mare che ulula tra i pini della costa, né il vento del nord che scende
impetuoso dal monte frustando
gli olivi. Era un vento caldo, strano:
senza nome. Quella notte fioche luci erano rimaste accese nella casa contadina:
a vegliare l’uomo che, per tanti anni, aveva legato la sua vita a quella terra.
Ebbene, al mattino seguente, le foglie del
fico erano completamente ingiallite e in due giorni caddero tutte, come se
fosse giunto precocemente l’autunno. Io mi sono fatto una mia teoria
di quell’evento e penso di non essere
troppo distante dalla verità. Anche le piante hanno una loro sensibilità e (non
so come) partecipano alla gioia e al dolore dell’uomo. Studiosi americani lo
hanno dimostrato: sì, le piante si affezionano non soltanto alla luce ma anche
alle persone. E semmai è dunque possibile un’amicizia tra uomo e albero, questa
non poteva che essere molto forte tra il mezzadro e il “suo” albero di fico,
alla cui ombra rimaneva ore ed ore nelle ultime estati, quando la
malattia ed il peso degli anni lo
costringevano all’immobilità. La Casa del biancospino ebbe nel 1988 un momento
di celebrità, quando nell’antica chiesa di Caprigliola -durante un concerto di
musica sacra- la voce della poesia si unì alle mistiche note di Bach per
rendere omaggio ad essa, simbolo dell’antica civiltà contadina. Fu un atto
d’amore e di giustizia.
Non l’aristocratica villa del padrone della
terra, ma la più umile delle case era stata accolta.
Mi ricordo una donna molto anziana: era
felice perché aveva creduto di riconoscere nella Casa del biancospino la
propria casa. Forse quella donna non aveva più aperto un libro di poesie dai
lontani tempi della scuola; forse la sua lettura era stentata, perché non aveva
avuto maestri, come -non di rado- accadeva tra la gente contadina d’un tempo;
quella gente che però ha insegnato, con la sua dignità, la più alta lezione
della vita. La Casa del biancospino è poi entrata nella scuola. E i bambini di
Lunigiana l’hanno interpretata con la freschezza della loro età, attraverso
disegni e colori. Peccato che oggi debba essere distrutta. Con essa scomparirà
un simbolo, un pezzo di storia contadina; quella che forse non apparirà mai sui
libri di storia di testo, ma che rimarrà sempre viva nel cuore di chi l’ha
vissuta.
Ecco la poesia:
LA
CASA DEL BIANCOSPINO
Non
c'è una villa
nei
miei segreti sogni,
ma
solo
una
vecchia casa contadina:
sopita
tra gli olivi
a
mezza via sulla collina
guarda
il lento
lucente
snodarsi della Magra.
Non
ha cancelli
reti
o muri intorno
ma
solo olivi
pergole
e
filari.
Non
ha neppure
aiuole
di giardino
per
fiori signorili:
soltanto
il biancospino,
un
cespo di giaggioli
e
qualche viola del pensiero.
Non
ha per guardia
il
cane lupo
ma
un vecchio gatto
seduto
sulla soglia.
Davanti
all'uscio verde
un'aia
rossa di mattoni;
a
fianco,
sotto
il fico grande,
un
vecchio tavolo di legno.
Qui
è vissuta
la
mia gente contadina
e
qui le mie radici
ho
ritrovato;
qui
i
miei sogni
non
hanno più confini.
Laggiù
sull'autostrada
colonne
senza fine
forse
cercano lontano
questo
mondo di serenità.
IL TESTO CONTINUA CON ALTRE STORIE TRATTE
DA PAGINE DELLA MEMORIA(1). ABBIAMO GIA' AVUTO LA FORTUNA DI
APPREZZARE SUL NOSTRO BLOG ALCUNI DI QUESTI ABBINAMENTI FRA PROSE POETICHE E
CANTI, TIPICI DELLA VIS CREATIVA DI PAOLO BASSANI, PROLIFICO SCRITTORE
PLURIPREMIATO E ASSIDUO COLLABORATORE.
(1) PAGINE DELLA MEMORIA E' LO SPAZIO LETTERARIO
DEL BLOG CURATO DALLO SCRITTORE PAOLO BASSANI
Nazario Pardini
Ringrazio di cuore il caro amico Nazario per aver pubblicato e commentato "RIVERBERO", il mio ultimo libro che è uscito in questi giorni.
RispondiEliminaPaolo Bassani