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martedì 30 giugno 2015

LUCA BUONAGUIDI: "INDIA - Complice il silenzio"




INDIA - Complice il silenzio (Italic Pequod, 2015)

di Luca Buonaguidi

postfazione di Giulia Niccolai


India – Complice il silenzio è la testimonianza di un’esperienza, come la chiamava Moravia, “l’esperienza dell’India”. Come ogni libro di poesia, ma qui più che nei miei volumi che lo hanno preceduto, questo libro è una testimonianza spirituale e così mi è caro introdurvelo brevemente. Quello che leggerete nelle pagine che seguono è un diario di viaggio in versi, un viaggio di cinque mesi che ho compiuto da solo e via terra nel 2013 attraverso Sri Lanka, India, Bhutan, Nepal, Tibet e Kashmir. Una proposta di incontro tra la letteratura di viaggio e la poesia, in cui i versi si offrono al servizio della geografia dell'India e dell'anima e viaggiano con me, attraverso me e attraverso il subcontinente indiano. Nicolas Bouvier ha scritto: “Se non si lascia al viaggio il diritto di distruggerci un po’ tanto vale restare a casa”. È così che questa esperienza ha profondamente rinnovato la mia persona e non secondariamente la mia poetica: il sottotitolo - Complice il silenzio – allude a una voce poetica fievole, dimessa e impermanente come l'India che osserva, immersa nel fascino eterno di culture abitate dal primordiale, cui ho posto il mio verso a cassa di consonanza di senso e, appunto, silenzio: ora un silenzio affine a ciò che San Giovanni della Croce descrive come “distacco interno da tutte le cose”, ora un risveglio “da questo sogno di separatezza” cui alludono le Upani ad. Al culmine della mia esperienza dell’India scrissi: “Mi sento a casa/ e mi sento appena/ trovo pace in quest’assenza”. Oggi spero invero che questa mia voce minore vi giunga, costituisca presenza, non di me stesso ma di un invito indefinito a voi rivolto, perché queste poesie hanno voluto essere così: hanno preferitoservire di più che essere più belle, hanno preferito essere strumento più che agente. All'interno dell'opera alcune fotografie del viaggio concorrono nel restituire "un'idea dell'India", chiude infine il volume una preziosa lettera di Giulia Niccolai sul libro e sull'esperienza dell'India e della poesia.





Luca Buonaguidi (Pistoia, 1987) ha pubblicato in poesia I giorni del vino e delle rose (2010, Fermenti), Ho parlato alle parole (2014, Oèdipus) e sono in uscita INDIA – complice il silenzio (Italic Pequod), diario di un viaggio in solitaria e via terra di sei mesi tra Sri Lanka, India, Bhutan, Nepal e Tibet eFranti. Perché era lì – Antistorie da una band non classificata (Nautilus Autoproduzioni), romanzo collettivo che ha curato e con scritti del collettivo Cani Bastardi intorno a Franti, una delle più influenti band italiane degli anni ’80. In prosa ha pubblicato un racconto ne La sagra è vicina (2013, Beltempo). In musica ha partecipato al disco Approdi. Avanguardie musicali a Napoli (KonSequenz, 2015) curato da Girolamo De Simone con la collaborazione di tredici compositori. Suoi testi o commenti ad essi si leggono su varie riviste di letteratura e poesia (Poesia, La poesia e lo spirito ecc.) e raccoglie le sue scritture eterogenee sul suo blog anarco-autistico http://www.carusopascoski.com. Scrive/ha scritto reportage, opinioni e approfondimenti di cultura e società nelle sue varie forme per Altracittà, AsapFanzine, Asia Blog, Cani Bastardi, CineFatti, Comunità Provvisorie, i.OVO, Il Backpack, Il Tirreno, Impatto Sonoro, KonSequenz, L’EstroVerso, Lo Snodo, MeMeCult, Mola Mola, Stordisco, Vai a quel paese! – Go face yourself e altre. I suoi reading vengono ospitati in tutta Italia, sono/sono stati sonorizzati/accompagnati da musicisti come Elias Nardi, Trucupas, Jacopo Salvatori, Chris Yan, Collective Nimel, Gianni De Angelis. Ha ideato e organizzato con la comunità di base delle Piagge Altrofest nella periferia di Firenze, un festival completamente gratuito di economia alternativa, consumo critico, creatività e cultura di due giorni per due anni con ospiti come Franco Loi, Bobo Rondelli, Don Andrea Gallo, Maurizio Maggiani e tanti altri. Laureato in Psicologia Clinica, già tutor per studenti disabili e operatore presso una comunità terapeutica, conduce seminari esperienziali sul carattere antropologico, espressivo e terapeutico della poesia e progetti di scrittura creativa con utenza caratterizzata da disabilità cognitiva e motoria. Vive oggi in un paese di una decina di anime sull’Appennino tosco-emiliano per riscoprire l’importanza di essere piccoli.







DA INDIA - Complice il silenzio





Ed è nel vento
che spazzola i capelli
ed è in questa baia
che spumano i colori,
gli odori, l’India che cambia
e sorride morbida
accanto all’India
che mendica ignominia,
rovista fuochi
e perdura cenere sporca,
sola, stanca
sotto a una raffica
di insegne luminose



Chiaro di luna
piccole barche
scivolano nel fraterno mare,
lo salutano nella risacca.
Qui si erode il nome
che il giorno dà alle cose.
Resto seduto
su un groviglio di reti
preparato per il mattino
e penso a come le notti
ripieghino a Occidente
dove il giorno
apre un nuovo fronte
e attende di cadere
senza palpabile Oriente.



Ho aspettato l'arrivo della poesia
ma questa mi ha disertato,
ho parlato di Dio con un passeggero
ma non l'abbiamo invitato abbastanza,
ho pensato alla strada già percorsa
ma mi sono commosso
per quella ancora da fare,
ho dormito in mezzo agli scarafaggi
ma il tuo pensiero è farfalla
che mi vola in fronte
benedicendo ogni pensiero ulteriore
quando ho paura di voler tornare
nel treno che corre e vorrei fermare.

In un attimo poi è arrivata la poesia,
Dio ha preso posto vicino
e il treno si è fermato.

Ancora, divento cammino di ogni sogno, paura, sospiro.



Nel ritorno
accorro non desto,
fanghiglia nel segno intatto.

Completo
d'una incompletezza
che accoglie la mia assenza.

Al mattino
il mio giardino

è un prodigio di fiori

MAURIZIO DONTE "L'INFINITO" DI GIACOMO LEOPARDI

Avevo in mente di scrivere qualcosa sulla poetica.... ma... vedo che ci ha già pensato lei, e mi ritrovo appieno nelle sue parole.
Ha ragione, il lessico non giunge  a descrivere i moti del cuore di un poeta, è limitato anch'esso come siamo limitati noi, nella nostra finitezza.
Ed è vero che la poesia è mare, è proiezione oltre l'orizzonte, oltre lo spazio e la vita stessa...
L'infinito di Leopardi ben di questo dice...

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.

ecco, interminati spazi, e sovrumani silenzi e profondissima quiete, io nel pensier mi fingo... ove per poco il cuor non si spaura.
Il senso di vertigine che si prova sull'abisso dell'inconoscibile, sul limitare di un'esistenza che si sa finita, in rapporto al proprio desiderio d'eternità, eternità che però angoscia e sgomenta, in quanto anch'essa inconoscibile, incommensurabile, infinita e impossibile da concepire con la mente terrena. Non resta che il salto, dalla scogliera, o il volo della fede, o di Icaro, non si sa bene, nulla è certo,…

Maurizio Donte


lunedì 29 giugno 2015

GIUSY FRISINA "SONG FOR MY SOUL"





Gisy Frisina collaboratrice di Lèucade




Song for my soul

Let me reach
The depths of my soul
Like a little star
Hurled in the morning
From the steep cliffs of night

I  know I must be free
From  gravity’s pull
And the ego’s power
Be an open book
As I seem now
Even  if  I never  can see
In the mirror of  the book
That which you write for me

Let me come
To the depths of the soul
Like a rare golden moon
Pushed  by longing
Into the heart’s chasms

I know I must  be free
From  my dark solitude
And the other’s power
So that I can love more
Even if I never can  see
In the mirror of the book
When you write with me
That which I write  for you

Let me come
To the depths of the soul
Like a rare golden moon
Pushed  by longing
Into  the heart’s chasms




Testo e disegno di Giusy Frisina



Link del sito di Giusy Frisina e del servizio televisivo fatto da Toscana tv in occasione dello spettacolo su Ficino, commentato da Carmelo Consoli su Leucade..






PREMIO LETTERARIO "LA MOLE" GRATIS

28° Premio Letterario “LA MOLE”
REGOLAMENTO


L’Associazione Culturale Talento (ACTA), con il Patrocinio di Enti della Regione Piemonte, bandisce la  XXVIII edizione del Premio Letterario “La Mole” 2015.
- DUE le Sezioni : A- Articolo giornalistico su storia o personaggi piemontesi; possono partecipare tutti i giornalisti iscritti all’Ordine e praticanti.
B - Poesia singola a tema libero
1) Nella Sez. A si concorre con un articolo o saggio inedito max.4 cartelle dattiloscritte (spazio uno), in 5 (cinque) copie, con nominativo, indirizzo, n. telefonico o e-mail. Questa sezione è dedicata al nostro collaboratore giornalista Pier Luigi Camparini deceduto nel 2012.
Nella Sez. B si partecipa con UNA sola poesia edita o inedita MAI premiata in altri concorsi, in 5 (cinque) copie dattiloscritte con nominativo, indirizzo, data di nascita, n° tel. o e-mail.
2) Nessuna tassa di lettura o d’iscrizione. Tutti gli elaborati vanno inviati a : A.C.TALENTO – Via Monza,6 – 10152 Torino, entro il 30 giugno 2015. Si potrà partecipare ad entrambe le sezioni; i lavori non saranno restituiti.
3) Per la Sez. A, da una “cinquina” sarà scelto un vincitore assoluto, a cui spetterà la somma di €.400,00(quattrocento) e targa. Seguiranno quattro “Premi speciali” della Giuria ai quali sarà consegnata un’artistica targa.
4) Per la Sez. B saranno scelte solo le migliori 5 (cinque) poesie, da cui uscirà il vincitore per il premio di €.100,00(cento) + targa; gli altri quattro “finalisti” tutti a pari merito con artistica targa.
5) I nominativi della Giuria saranno resi noti al momento della premiazione che avverrà entro l’autunno 2015 presso il Circolo della Stampa di Torino.
6) L’esito del concorso sarà diramato, per i concorrenti, tramite web, nostra e-mail: info@loredi.it . Solo i finalisti premiati saranno avvertiti per telefono o e-mail, e quindi sono tenuti a presenziare alla cerimonia finale, in quanto i premi non verranno spediti.
7) Sono esclusi rimborsi spese; in caso di impedimento, si accettano i delegati con autorizzazione.


giovedì 25 giugno 2015

PATRIZIA STEFANELLI SU "LA MANO MASCHILE..." DI G. LINGUAGLOSSA


Patrizia Stefanelli

Patrizia Stefanelli: Lettura di “La mano maschile impugna il pennello” di Giorgio Linguaglossa

Ed eccomi a leggere qualcosa che mi porta piacevolmente per mano a superare i limiti della mia percezione. Cerco di non interpretare ma so già che è impossibile. L’autore ci avvisa, ci dice che è una poesia complessa e ci pone domande. Da subito la mia formazione di teatrante mi introduce alla favola del personaggio. Quale? Un nome soltanto ci dà per certo e non a caso : Posterius - ciò che viene dopo – dunque, ciò che non sappiamo; l’incerto.
Il testo comincia, nei versi che  il Nostro, Giorgio Linguaglossa, ci porge con un punto di vista ben preciso.  E’ forse il narratore che parla? Se così fosse potremmo trovarci di fronte ad un punto di vista con focalizzazione esterna. Egli dice: “il mio sguardo”. Quasi come l’occhio di una telecamera messa lì da Hitchcock sappiamo soltanto ciò che egli vede e descrive. Potrebbe essere un osservatore imparziale, non sa nulla dei personaggi che osserva e si limita a raccontare quel che vede e sente. I personaggi agiscono, parlano ma, come, in quale sequenza e intenzione, spetta al lettore/spettatore dirlo. Eppure una totale imparzialità è piuttosto improbabile. So, che nell’osservare, interagiamo sull’oggetto e che la realtà sarebbe diversa senza la presenza dell’osservatore e le condizioni in cui egli agisce. Potremmo allora, nell’incertezza, trovarci di fronte al suo contrario: al narratore interno. Se fosse lui il protagonista o testimone si spiegherebbe la nostra conoscenza limitata dei fatti che, in base ai suoi filtri e alla sua esperienza, ci presenta.
È lei, di profilo. Dipinge un ritratto.
Autoritratto della pittrice con pappagallo.”
Autoritratto perché?  C’è forse uno specchio che porta al pensiero di un duplicato, forse è da quello che chi parla vede il signor Posterius in anticamera o se stesso, quella stessa anticamera in cui si vive senza entrare appieno nella vita stessa. O forse, come possibilità, da quello stesso specchio colui che parla vede un ritratto iconico rappresentante la pittrice con pappagallo che ripete se stessa. Anche in questo caso, di testo che parla di se stesso, avremmo un’illusione di realtà. Ogni immagine riprodotta è filtrata dalla percezione.
Subito dopo, l’incertezza nella domanda: E’ lei? La mano che impugna il pennello è maschile. Potrebbe non essere lei. Potrebbe essere un alter ego, un doppio pirandelliano per cui il soggetto (essenza) cambia secondo le percezioni di esso (apparenza).Chi parla passa al “noi” . “Noi non vediamo…” Noi? Siamo spettatori? Osservatori probabilmente e contemporaneamente attori di una situazione che non potrebbe esistere senza questo nostro sguardo che indugia sulle presenze/apparenze.
(…)Il suo volto,
illuminato dall'ombra di un lampadario di cristalli
un attimo prima che si spenga insieme al buio
[non capisco da dove venga la luce]
( [il sole entra dalla finestra
ed esce dalla porta]. Se chi parla è nella posizione della porta allora osserva ciò che è in controluce, ne vede i contorni.)
Passaggio volutamente ambiguo o meglio polisemantico. Illuminato dall’ombra? Un attimo prima che si spenga insieme al buio. Chi o cosa si spegne? Il volto, l’ombra o il lampadario insieme al buio. In fondo, penso, tanta luce procura molta ombra. L’autore, preciso e astuto, per via di ossimoro sottolinea l’indeterminatezza del reale. Non che manchi la luce; ma, precisa il poeta: non capisco da dove venga. Rifletto sul pensiero filosofico-scientifico che cerca, da sempre, il senso delle cose. Si tende alla semplificazione dei fenomeni ma i concetti non sono necessariamente legati alla nostra logica. Riprendendo un enunciato di Heisenberg:  « ciò che osserviamo non è la natura in se stessa ma la natura esposta ai nostri metodi di indagine ». Il principio di indeterminatezza. Abbiamo creato premesse, definizioni assumendole a paradigmi per la nostra logica. Spesso si procede per dogmi e dunque è facile cadere in errore, non comprendere quella che invece può essere una scoperta, uscendo fuori dai nostri canoni di misurazione. Il paradigma dunque, che diventa dogma, può indurci in errore. Nel testo, l’incertezza è anche temporale tra presente e passato. Ci troviamo al di sopra, dietro, davanti e dopo le cose, i fatti, gli accadimenti e mi sembra eccellente perché dopo Einstein e al momento, non c’è più né spazio né tempo ma  “continuum tetradimensionale”. Lo spazio non è tridimensionale e il tempo non è un’entità in sé. Ci muoviamo tra flashback e anticipazioni. In fondo il testo poetico parte da un punto indefinito della storia. E’ tutto già accaduto o tutto può accadere.  
Torno a Posterius (per me, quel che viene dopo) che entra di prepotenza ancora in punto di domanda. Il probabile visitatore per il quale si era tanto ben preparata chi è? Quel che viene dopo? L’aldilà, forse la morte o il nulla. Il signor Posterius sembra essere l’unica presenza certa, in scena o fuori scena che sia; e noi altri? Ospiti. Il limite, la separazione tra il reale e l’apparire, è impercepibile. I particolari dei gesti quotidiani e degli oggetti, come il bicchiere di liquido rosso, il portasigarette d’argento custodito nella tasca sinistra, sono il segno del nostro “esilio” nella vita, ma le uniche certezze. Ci sfugge l’essenza; ci concentriamo sul fare mentre ci sfugge l’essere. Ci condiziona il finito, il confine che andrebbe relativizzato e collegato a quello di altri concetti per nuove e ardite scoperte.
Con stima e ringraziamenti all’autore e al maestro Nazario Pardini per aver postato il testo e avermi permesso queste riflessioni le quali tuttavia, non sono in grado di dare  risposte.

Patrizia Stefanelli


La sua mano maschile impugna un pennello

[...]
Da dietro lo stipite della porta il mio sguardo
indugia sul suo volto.
È lei, di profilo. Dipinge un ritratto.
Autoritratto della pittrice con pappagallo.
È lei? Il suo duplicato? Una controfigura
[nelle vesti della pittrice] che dipinge
il suo autoritratto? [«ma, sia detto per inciso,
in questo caso si tratterebbe di un falso»,
disse il Signor Posterius che indugiava in anticamera].
La mano maschile impugna un pennello.
Noi non vediamo la figura dipinta sulla tela,
il cavalletto è obliquo [il sole entra dalla finestra
ed esce dalla porta]
[Il Signor Posterius ha in mano un bicchiere
con del liquido rosso]
vediamo il retro della tela e il volto della pittrice
che osserva il visitatore. Il suo volto,
illuminato dall'ombra di un lampadario di cristalli
un attimo prima che si spenga insieme al buio
[non capisco da dove venga la luce]
esprime meraviglia, sorpresa, riserbo.
Il pappagallo verdeazzurro scricchia sull'asse.
"Ho violato la sfera intima del suo pudore",
pensai in un sopra pensiero.
Indossa un abito sfarzoso, un vistoso décolleté
con le spalline a sbalzo turchese sul seno sussiegoso
come prescriveva la moda del tempo.
Quindi, Lei era in attesa del suo visitatore.
[Il Signor Posterius?]
Si era preparata.
Anche il volto è particolarmente curato.
Le sopraciglia marcate e allungate da un trucco inquietante.
Il sorriso ammiccante tradisce
il retro pensiero di voler sedurre il convitato.
Il quale è comodamente seduto in poltrona
[è una mia congettura] Il Signor Posterius,
assiste alla scena [o è fuori di scena?].
[Forse l'ospite sono io].
Cerco inavvertitamente una sigaretta profumata
nel portasigarette d'argento
che tengo nella tasca a sinistra della giacca,
ulteriore termometro del mio esilio.
[Sto in anticamera]. Ma è più probabile che io sia in errore,
non c'è alcun segreto o esilio in tutto ciò.
Forse ciò che dico è soltanto una
mia congettura.
Una risibile, detestabile, irragionevole
congettura.

Giorgio Linguaglossa



mercoledì 24 giugno 2015

N. DI STEFANO BUSA' SU "SI AGGIUNGONO VOCI" DI S. ANGELUCCI


Ninnj Di Stefano Busà collaboratrice di Lèucade


Sandro Angelucci collaboratore di Lèucade



Sandro Angelucci: SI AGGIUNGONO VOCI
LietoColle. Faloppio (Co). 2014. Pg. 96. €. 13,00


SI AGGIUNGONO VOCI di Sandro Angelucci, LietoColle, 2014

di Ninnj Di Stefano Busà


Il percorso lirico si Sandro Angelucci in questa sua nuova raccolta, si evidenzia attraverso un'inquietudine rivelatrice di crepe, di fallimenti, di problematiche, di raffronti che, se da una parte, aspirano alla loro risoluzione, dall'altra si cronicizzano e si attestano come rivelatori di un <quid> che non permette rigeneranze e agognati sbocchi per sopravvissuti:
Noi, /soltanto noi/ (distratti, inebetiti) a spargere catrame, a bestemmiare" (Abiezione). Un testo poetico caratterizzato da una panica metaforizzazione, a mio parere, è Icaro: "Proprio quello l'errore: la superbia./Mentre pioveva amore/non accorgersi che stavi camminando sulla stella/ che più desideravi, /e tu, in volo, a cercarla chissà dove, in quali mondi,/ in quali paradisi inesistenti" (Icaro). Vi è chiara una dichiarazione programmatica di commistioni, combinazioni, che sono in questa poetica una sostanza narrativa e proteiforme del vissuto, una ricerca dentro il serbatoio della specie umana, che ne alimenta e ne solidifica la fusione degli elementi per accostamenti e immagini. una vera configurazione che l'introspezione e l'indagine portano in superficie, avvalendosi di una sostanza esplorativa, la quale per antinomie sa far rivivere metafore e simbolismi.
Vi è in questa poetica una surrealità di fondo che accosta l'uomo alle soglie dell'universo visibile, dilatando le ali verso territori misconosciuti, che permette di planare con la fantasia in meditazioni verbali e sintattiche che affondano nelle strutture linguistiche di un poeta che si delinea tra i più solidi e capaci, tra i contemporanei. La valenza scrittoria si sintetizza in una sostanza che vi fa da sfondo, e attraverso folgorazioni ontologiche atte ad una plurivocità di accostamenti, si sintonizza al respiro del mondo.
Il linguismo si connota nella visione di un rinnovamento passibile di revisione.
In questa raccolta Angelucci affonda la specula in un’aspirazione epifanica. una spiritualità che tende a dare di sé introspezioni e indagini più dettagliate, più metaforicamente rafforzate e rivelatrici del lato memoriale e sintattico. Vi lampeggiano riflessi densi di magia e di scintille a configurare quella vivacità esplorativa che lungi dalle reminiscenze si fa invece atto d’amore per la bellezza e  contenuti emotivi. Gli input che rivelano emozioni e verità significanti sono alimentate da un quid memoriale di quasimodiana memoria: “ E sono nuovamente/ dove sono/ come un fiume/ mi attraversa con le vene,/ e scorre, scorre,/ e cerca come il cielo la sua foce,/. Stupendo infine il testo di chiusura di questa raccolta: una raffinatissima, metaforica allusione al significato di poesia, che la dice lunga sul genere valoriale da dare al poeta: “ Una goccia di miele/ che cade nel latte bollente, / precipita sul fondo del bicchiere/ e si dissolve./ E’ questo la parola di un poeta/. Un grumo di bellezza che si scioglie/ per rendere più dolce la bevanda.” (Sul fondo del bicchiere). Si tratta di una definizione e motivazione di poetica. Sandro Angelucci sa tradurre l’equilibrio instabile dell’uomo attraverso una parola che la renda risorgiva, viva, anche se nuda, all’inquietudine dell’essere e del divenire. Ed è questa per quanto mi riguarda, la diversificazione dei contenuti linguistici che fa di Angelucci, il poeta dell’azzardo. Egli dal valore nominale, sa risalire al valore oggettivo (eliotianamente); lo fa con la simbiotica metaforicità del suo dettato che affida la sostanza alla forma e quest’ultima al suo emozionante momento ispirativo, che ne conduce il pathos e la valenza simbiotica, qualche volta persino l’assenza.


N. PARDINI: LETTURA DI "CAMPIONATURE DI FRAGILITA'" DI MELANIA PANICO



Melania Panico: Campionature di fragilità. La Vita Felice. Milano. 2015. Pg. 56

Poesia armonica, intimistica, di profonda e ontologica perlustrazione soggettiva, che, col suo andare ondivago, robusto e significante, si oggettiva in espansioni ora verticali ora orizzontali; si trasferisce in ognuno di noi rendendoci partecipi di esperienze umane, di connessioni che possono vincere divergenze, con canti i cui verbi, con urgenti concomitanze affettive, e con slanci di valenza iperbolico-allusiva, si fanno corpo di un sentire dai toni epico lirici; intensi e rievocativi: saudade, nostos, odeporica ricerca, melanconica vis creativa, spleen, inquietante soluzione esistenziale; e freschezza lessicale.  Il viaggio di un essere che patisce le tappe e le tristezze del fatto di vivere:  coscienza della precarietà del tempo; orizzonti che ci delimitano, voli oltre la siepe:

Dovrebbero pentirsi le navi
di oltraggiare il porto
dovrebbero seguire il loro destino lieve
appoggiarsi come a un’idea.
L’isola è troppo distante, segnata,
non si tocca con mano
finisce così il grigio
il ponte senza giunture
il nostro tempo fragile.
(…),

ritorni a giochi familiari; spazi a cui richiamano le radici. D’altronde la  vita ci pone di fronte a quesiti di difficile soluzione; a problematiche di natura escatologica o più semplicemente temporale che ci rendono  consapevoli della nostra fragile entità terrena. Campionature di fragilità il titolo della plaquette. Un titolo indicativo, che fa da antiporta, da prodromico avvio ad un cammino di forte intensità meditativa, dove la Nostra, con un dire aduso ad una grammatica di energica formazione culturale, e ad una sonorità immaginifico-creativa, riesce a tradurre il suo impatto cospirativo in una versificazione semplicemente complessa, parenetica, anche, ma lontana da ogni epigonismo o dalle insidie dei luoghi comuni. La silloge si divide in due sottotitoli: Cose accantonate, Rinascite. Ed è proprio il tema della fragilità che sembra dominare nella trama del “Poema”, quella di noi esistenti; delle nostre relazioni; quella delle memorie stesse, delle cose, delle case, delle sere:

La sera si consuma
nelle vene delle mani
disfatti gli anni
su un foglio bianco
non sostiene i passi
(…),            

una fragilità che si traduce in mari dentro, dalla voce frastagliata:

Lascia poche impronte,
si dilunga perdente
nelle espressioni del niente
ha sogni trascurati
e lacrime,

e che si affida a sogni per ovviare alle aporie del mondo; o alla disumana forma del ricordo:

E’ una vita che prova dilatare conforti
la disumana forma del ricordo
alberga in pieghe poco sottili
anche un vetro assume fattezze incolmate
ora che il foglio diventa focolaio,

per trovare alcove di riposante ed edenico ristoro. Il fatto sta, però, che la Nostra non si tira di certo indietro, usa la penna come arma letale, lasciando sul foglio un inchiostro nero di delusione per tutto ciò che la circonda. Per un mondo che sembra fatto alla rovescia, convinta, Ella stessa, che il male sia nell’uomo che si è allontanato dalla madre più antica. E di questo soffre; di tale pathos risente il verso, che scolpisce la Panico con scalpelli tanto acuti (punte di tale sofferenza spirituale) da ritrarne un volto all’apparenza  spigoloso, se non risultasse, attraverso una attenta lettura, estremamente sorridente alla vita; a tutto ciò che illumina il suo tragitto. D’altronde è proprio l’amore per tale irripetibile esperienza che ci spinge a criticarne gli aspetti negativi; ma ciò non toglie che questo amore non rifulga più potente di quello dipinto con meliche effusioni. Se si considera poi che il linguismo per accostare i tanti impatti emotivi, gli energici voli immaginifici, è disposto ad andare oltre il senso della morfosintassi canonica; oltre quelle che sono le misure morfologiche tradizionali; se ne deduce che l’opera è nuova, personale, e attiva nella ricerca di quel più che pretende la Poesia. Una ricerca che porta, come in questo caso, ad un lirismo che si affratella ad una natura di rara visività:

Settembre

Mentre la costa
abbellita dalla brezza                 
quando non conferma le ipotesi.
Piove un’aria di miele e aghi
mischia il tempo da darti in pasto
E’ una frustrazione
da ricondurre a casa
camminare passi senza asfalto
aprire la luce su una voce scomposta.

Lo vedo chiudere le dita
su un chicco d’uva
testare  il sapore,
respirare senza fretta
tradurre in polvere le lacrime.
Si dilegua così con parole di resa.

Invenzioni, cospirazioni melodiche, assaggi di assenza, brume di presenza e tanta empatia, ma tanta per il poièin.


Nazario Pardini