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mercoledì 24 giugno 2015

N. PARDINI: LETTURA DI "CAMPIONATURE DI FRAGILITA'" DI MELANIA PANICO



Melania Panico: Campionature di fragilità. La Vita Felice. Milano. 2015. Pg. 56

Poesia armonica, intimistica, di profonda e ontologica perlustrazione soggettiva, che, col suo andare ondivago, robusto e significante, si oggettiva in espansioni ora verticali ora orizzontali; si trasferisce in ognuno di noi rendendoci partecipi di esperienze umane, di connessioni che possono vincere divergenze, con canti i cui verbi, con urgenti concomitanze affettive, e con slanci di valenza iperbolico-allusiva, si fanno corpo di un sentire dai toni epico lirici; intensi e rievocativi: saudade, nostos, odeporica ricerca, melanconica vis creativa, spleen, inquietante soluzione esistenziale; e freschezza lessicale.  Il viaggio di un essere che patisce le tappe e le tristezze del fatto di vivere:  coscienza della precarietà del tempo; orizzonti che ci delimitano, voli oltre la siepe:

Dovrebbero pentirsi le navi
di oltraggiare il porto
dovrebbero seguire il loro destino lieve
appoggiarsi come a un’idea.
L’isola è troppo distante, segnata,
non si tocca con mano
finisce così il grigio
il ponte senza giunture
il nostro tempo fragile.
(…),

ritorni a giochi familiari; spazi a cui richiamano le radici. D’altronde la  vita ci pone di fronte a quesiti di difficile soluzione; a problematiche di natura escatologica o più semplicemente temporale che ci rendono  consapevoli della nostra fragile entità terrena. Campionature di fragilità il titolo della plaquette. Un titolo indicativo, che fa da antiporta, da prodromico avvio ad un cammino di forte intensità meditativa, dove la Nostra, con un dire aduso ad una grammatica di energica formazione culturale, e ad una sonorità immaginifico-creativa, riesce a tradurre il suo impatto cospirativo in una versificazione semplicemente complessa, parenetica, anche, ma lontana da ogni epigonismo o dalle insidie dei luoghi comuni. La silloge si divide in due sottotitoli: Cose accantonate, Rinascite. Ed è proprio il tema della fragilità che sembra dominare nella trama del “Poema”, quella di noi esistenti; delle nostre relazioni; quella delle memorie stesse, delle cose, delle case, delle sere:

La sera si consuma
nelle vene delle mani
disfatti gli anni
su un foglio bianco
non sostiene i passi
(…),            

una fragilità che si traduce in mari dentro, dalla voce frastagliata:

Lascia poche impronte,
si dilunga perdente
nelle espressioni del niente
ha sogni trascurati
e lacrime,

e che si affida a sogni per ovviare alle aporie del mondo; o alla disumana forma del ricordo:

E’ una vita che prova dilatare conforti
la disumana forma del ricordo
alberga in pieghe poco sottili
anche un vetro assume fattezze incolmate
ora che il foglio diventa focolaio,

per trovare alcove di riposante ed edenico ristoro. Il fatto sta, però, che la Nostra non si tira di certo indietro, usa la penna come arma letale, lasciando sul foglio un inchiostro nero di delusione per tutto ciò che la circonda. Per un mondo che sembra fatto alla rovescia, convinta, Ella stessa, che il male sia nell’uomo che si è allontanato dalla madre più antica. E di questo soffre; di tale pathos risente il verso, che scolpisce la Panico con scalpelli tanto acuti (punte di tale sofferenza spirituale) da ritrarne un volto all’apparenza  spigoloso, se non risultasse, attraverso una attenta lettura, estremamente sorridente alla vita; a tutto ciò che illumina il suo tragitto. D’altronde è proprio l’amore per tale irripetibile esperienza che ci spinge a criticarne gli aspetti negativi; ma ciò non toglie che questo amore non rifulga più potente di quello dipinto con meliche effusioni. Se si considera poi che il linguismo per accostare i tanti impatti emotivi, gli energici voli immaginifici, è disposto ad andare oltre il senso della morfosintassi canonica; oltre quelle che sono le misure morfologiche tradizionali; se ne deduce che l’opera è nuova, personale, e attiva nella ricerca di quel più che pretende la Poesia. Una ricerca che porta, come in questo caso, ad un lirismo che si affratella ad una natura di rara visività:

Settembre

Mentre la costa
abbellita dalla brezza                 
quando non conferma le ipotesi.
Piove un’aria di miele e aghi
mischia il tempo da darti in pasto
E’ una frustrazione
da ricondurre a casa
camminare passi senza asfalto
aprire la luce su una voce scomposta.

Lo vedo chiudere le dita
su un chicco d’uva
testare  il sapore,
respirare senza fretta
tradurre in polvere le lacrime.
Si dilegua così con parole di resa.

Invenzioni, cospirazioni melodiche, assaggi di assenza, brume di presenza e tanta empatia, ma tanta per il poièin.


Nazario Pardini

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