Maria Rizzi collaboratrice di Lèucade |
LUIGI BARTALINI: CASELLA NUMERO 58. CASTELVECCHI EDITORE
Il nuovo romanzo dello scrittore napoletano
Luigi Bartalini “Casella Numero 58” – Castelvecchi Edizioni – ha un impianto
strutturato su più piani di lettura.
Lo si
può e lo si deve definire un testo sociologico, in quanto mette in rilievo i
fenomeni politici, economici, culturali, che caratterizzano l’epoca in cui
viviamo,
ma
possiede l’impeto narrativo dell’autentica Opera letteraria. I due piani,
ovviamente, non scorrono paralleli, ma il critico letterario deve stare attento
a evitare di mettere in rilievo un
aspetto a scapito dell’altro.
Inizierei
il mio commento dalla scelta del titolo. Il narratore si rivela geniale, capace
di catturare le idee come le gocce d’ambra catturano gli insetti.
Si
ispira, infatti, nel titolo e nello svolgimento dell’Opera, al Gioco dell’Oca
che potrebbe essere paragonato a un archetipo del percorso della vita. E
intitola le sezioni
narrative
con i nomi delle caselle del gioco. Troviamo quindi La casella numero 19,
ovvero l’Osteria del tempo perduto, che nel gioco obbliga a star fermi un turno
e nel libro simboleggia l’indolenza, la pigrizia; troviamo poi La Casella numero 31, detta
del Pozzo dell’errore grave, che sta a indicare che giunti a metà del percorso
si può commettere l’errore grave di fissarsi, di irrigidirsi nella posizione
acquisita. La Casella
numero 42, del Labirinto della scelta del cammino, s’identifica con un’energia,
un dinamismo, che portati all’eccesso, si rivelano pericolosi; vi è poi La Casella numero 52
dell’Arca Scrigno della vita futura, momento particolare, che può rivelarsi propizio
per il balzo finale verso il traguardo e, nel caso del testo, ricorda molto da
vicino la torre dell’Athanor, il forno filosofico in cui si compie l’ultima
cottura dell’’Uovo’da cui nascerà la pietra filosofale. E infine si arriva alla
Casella Numero 58, della Morte, della Tomba, il simbolo del destino avverso,
che nell’accezione del nostro Autore, rappresenta l’unica soluzione per fermare
l’andamento delle cose, per consentire, attraverso la sciagura, la possibilità
di ricominciare… di risorgere dalle ceneri del degrado economico e culturale.
L’interpretazione
delle Caselle mi è sembrata di fondamentale importanza per entrare nella storia
degli undici protagonisti del romanzo di Luigi Bartalini. Il loro destino,
infatti, è legato alle modalità delle caselle e l’èscamotage risulta di grande
impatto emotivo. Altrettanto vincente è la scelta di adottare la tecnica del
flash – foward, ossia del lanciare il lettore ‘oltre’. Va detto che questo
espediente letterario è uno dei più difficili e richiede la capacità di tenere
il lettore sulle spine, facendogli dimenticare che è consapevole del ‘poi’.
Gli
undici protagonisti, che per strani motivi mi hanno riportato al tanto caro
Luigi Pirandello, non perché ‘in cerca d’Autore’, visto che il nostro
‘Scrittore ceduto all’imprenditoria’, come si definisce Bartalini, è l’ottimo
direttore artistico del loro destino, ma piuttosto, del testo “Uno nessuno e
centomila”, per le capacità dell’Autore di caratterizzare tutti i personaggi,
non solo i protagonisti, cucendoli nel tessuto sociale in cui viviamo.
E qui
si salta, pur restando sul piano squisitamente letterario, sul piano di lettura
sociologico. I protagonisti e loro famiglie hanno in comune più tratti: sono
infelici,
poco
inseriti nelle realtà familiari, frustrati a livello lavorativo e, quasi sempre,
soli e arrabbiati. Le loro sono esistenze di esodati dal lavoro, che come
Renato, dopo una vita trascorsa a rincorrere obiettivi, si trova a
sessant’anni, “in ‘una terra di mezzo, non al punto d’arrivo immaginato solo
due anni prima, quando guardava alla pensione come a un traguardo” – tratto dal
testo -; di commesse del fastfood, come Germana; di donne come Myriam,
insegnante di matematica dotata di scarsa autostima; di Raffaele, giovane
dottore in Giurisprudenza, che ha scelto il lavoro in una multinazionale, in
qualità di responsabile delle relazioni sindacali per evitare il tirocinio e
l’esame di Stato; o anche di simboli del compromesso, di una vita ricca di
denaro e vuota di ideali, come quella di Vincenzo, membro di commissione nelle
gare d’appalto…
Luigi
Bartalini, ci consente di seguirli passo passo, scandendo le ore della loro
sveglia, dei loro pensieri prima di alzarsi dal letto e nelle ore successive.
Diventano
undici
‘persone’ vive, palpitanti, nelle quali, in alcuni momenti, inevitabilmente ci
identifichiamo. E l’ars narrandi dell’Autore tocca il vertice nella pietas che
mostra nel corso della scrittura. L’occhio con il quale osserva le sue creature
non è esterno, egli si cala nella storia di ognuno, nelle condizioni economiche
precarie, nelle delusioni, con spirito di autentica partecipazione.
L’imprenditore scompare. Resta l’uomo. Di rara e profonda umanità, teso a
cogliere gli aspetti più dolci e segreti dei suoi personaggi.
La
storia si svolge in quello che viene comunemente definito un non – luogo,
ovvero un centro commerciale. Nel testo
questa realtà considerata spazio di transito, non identitaria, diviene il cuore
del romanzo, il Luogo ‘colonizzato’ in cui convergono le vite degli undici
personaggi. Non si conoscono, non si conosceranno, ma consumano la giornata
insieme… e qui entra nel Gioco dell’Oca, il Sociologo Baumann e la sua teoria
della vita ‘liquida’, che vede consumare i sentimenti al pari degli oggetti
materiali, che concepisce solo il‘qui e ora’, perché non trova nella società il
senso della prospettiva.
Luigi
Bartalini in quest’Opera di altissimo valore letterario e culturale, svolge
un’azione didattica. Induce a riflettere sul quotidiano, sui problemi presenti
in quasi tutte le famiglie, ricorrendo a un Gioco antico e sconosciuto ai
giovani e a un registro
letterario
ricco di pathos, che costringe a non distrarsi, a seguire le vicende delle
undici ‘persone’ e dei loro familiari con attenta ammirazione. Il romanzo è di
un’attualità sconvolgente e potrebbe essere considerato nichilista, se non si tenesse
conto del costante riferimento al Gioco dell’Oca e dell’ipotesi interpretativa
di esso data da Robert – Jacques Thibaud. Nello schema ‘planetario’ del gioco
in fondo all’oscurità più assoluta risplende la luce del sole. E nel romanzo di
Luigi Bartalini
premere
il tasto reset è indispensabile per azzerare e poter ricominciare.
Dopo
aver concluso “Casella numero 58” mi è venuto spontaneo pensare al precedente
romanzo dell’Autore, “Sono nato nel mese dei morti”, che ho considerato
e
considero un’Opera di incandescente bellezza. E mi sono chiesta quanto deve
essere abile uno Scrittore per riuscire a non ancorarsi a una determinata cifra
contenutistica e stilistica. Luigi Bartalini è passato da un romanzo a due e,
nel finale, a tre voci, ambientato nella Napoli della Seconda Guerra Mondiale,
a un testo di straordinaria modernità e originalità. Lo stile è fluido, caldo,
teso a focalizzare i particolari dei caratteri e delle situazioni. Ha momenti
di intimismo commovente, alternati ad altri forti, sanguigni.
La
struttura dell’intera Opera è senza dubbio filmica. Le immagini scorrono su
un’ideale schermo e ogni particolare risulta funzionale a una riproduzione
televisiva o
cinematografica.
Nel
concludere penso con gioia alla frase che scrisse J. D. Salinger “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato
sono i libri che finisci di leggere nella speranza che l’Autore sia un tuo
amico per la pelle, per poterlo chiamare al telefono tutte le volte che vuoi…”
Io ho l’onore di essere amica di Luigi Bartalini.
Maria Rizzi
Ho letto con vivo interesse la recensione puntuale di Maria Rizzi. Il titolo del romanzo mi ha intrigata fin da subito. Maria ci porta ad un impianto filmico della storia ed io mi beo di questo. Mi chiedo: Chissà cosa sarebbe in teatro? Di mio, ambisco da tempo ad uno spettacolo teatrale che si ispiri al gioco del monopoli, lo pensavo utopia ma ecco che Maria ci parla di questo romanzo che dev'essere davvero particolare, la cui fabula e intreccio immagino difficoltose da rendere. L'idea della morte, come in Gadda, è ordine di tutte le cose. Mi colpisce ancora il modo in cui Maria Rizzi, si sofferma sulla mancanza di prospettiva. Quel punto di vista a me tanto caro che, oggi, sembra soffermarsi soltanto sulla certezza degli oggetti mentre tutto ciò che conta sfugge. Mi viene voglia di leggere "Casella Numero 58".
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