Edda
Pellegrini Conte: La terza stanza.
IBISKOS- ULIVIERI. Empoli. 2007. Pgg. 104. € 13,00
Una
narrazione complessa e articolata che svela fin dagli inizi l’amore e l’attrazione
della Conte per la poesia. Si susseguono ambienti e personaggi sorretti da una
metaforicità di potente intrusione figurativa, e di notevole caratura lirica,
per cui non è affatto improprio parlare, spesso, di vera prosa poetica. E la
natura sembra che prenda l’autrice per mano e la conduca nei suoi più intimi anfratti,
nei suoi panorami, che poi fanno da antiporta, da prodromico annuncio dell’esplodere
delle vicende o della caratterizzazione dei personaggi, del loro sentire: “-
Bella questa strada in mezzo ai boschi di castagno. – Dicono che il castagno
trasmetta senso di tranquillità. – Non saprei. Però posso garantirti che questi
boschi mi fanno sentire del tutto rilassato. Le curve si susseguivano dolci, la
strada saliva gradualmente verso il passo. Nella giornata di autunno avanzato
il pomeriggio volgeva presto al tramonto. Sulla cima dei monti il sole aveva il
colore dell’oro vecchio e nella selva, più in basso, la penombra faceva
risaltare la ruggine delle foglie…”. Quanta humanitas, quanta vita in questo
autunno decadente e melanconico! Tanti
gli spunti di metaforico sapore che la scrittrice, con la sua maestria e il suo
tatto estetico, riesce a proporci. Uno in particolare mi ha colpito per la sua
generosità visiva: “Nei solchi arati dalla fantasia il seme delle parole cadeva
raro, scelto con cautela come fior da fiore. Il vento se lo portava qua e là:
uno cadeva tra i sassi e inaridiva, un altro volava via lontano e il più
prezioso germogliava adagio…”. Una struttura architettonica che sorregge con
perspicua valenza esplorativa le diverse sequenze creative di Edda Conte; s’intersecano
tra loro la narrativa, la descrittiva, l’introspettiva tra figurazioni e cromie
che mai sono oziose, ma sempre funzionali a una trama, ad una diegesi che
sembra assumere configurazione poematica. D’altronde appare chiaro, nel
dipanarsi della vicenda, l’abilità nel dribblare il sentimentalismo ed esperire
controllatissima effusività; quella che Contini definiva “pulizia del
desiderio”, dove l’attualità (l’11 settembre…), e i tanti accidents che
assemblano una vita, tante vite, si affacciano alla scena in maniera ora dolce,
ora dolorosa, ora curiosa, ora sorprendente:
l’amore, il memoriale (La terza stanza), la riflessione, l’idea di famiglia, di
amicizia, e certe aperture di orizzonti marini che tanto sanno di libertà
agognata e forse mai del tutto raggiunta: “Ma come tutto questo era lontano!
Non rimaneva che chiedere l’aiuto dei venti. Sul mare intanto era calata una
bonaccia piena di sospetto e la barca stava tristemente immobile sull’acqua…”
Un antropomorfismo di cose che con tutta la sua forza evocativa dà vigore
all’epigrammatica intrusione dell’animo della Conte. Sì, perché non è difficile
captare dai vari stati emotivi (solitudine, silenzi (l’Isola del Silenzio),
paure, spirito d’avventura, voglia di ritorno...) quelli di un Autrice che fa
dei suoi sprazzi interiori una chiara e ontologica raffigurazione. È così che
la realtà vitale della scrittrice, per tempo decantata in un animo zeppo di
nostalgie, si fa immagine; mélange di fatti, figure, rapporti umani, reazioni,
amori, illusioni e delusioni. E il tutto in un lirismo che richiama momenti di
alta poesia. Lo posso ben dire io che ho avuto la fortuna di leggere sue
sillogi poetiche, dove l’amore, il memoriale, la natura, e la vita, trionfano alla grande pur con un senso di
saudade in sottofondo. D’altronde il tema del ritorno, del nostos, è diffuso
nelle letterature di ogni tempo. E non solo ritorno al paese, alla casa, alla
donna, all’uomo, alla famiglia; ma ritorno in quanto tale, una specie di
inquietudine che l’uomo prova e che pensa di appagare col viaggio ma che poi
vede, forse, appagato con la scoperta delle sue radici: <<Per abitudine
Annie si avvicina al PC, apre la posta elettronica. Ah, sorpresa! C’è una
E-mail da parte di Gianni: “… Sto per tornare a casa. Porto con me un grosso
bagaglio di notizie da darti. Ma voglio dartele di persona. E voglio vederti.
Perché non tornare ancora nella casa di fronte alle serre? Ci potremmo
incontrare là dove tu sai…”>>. Annie, la scomparsa della madre di Maria,
i due animali Red, Lea (ormai alla fine), Gianni, lo scambio della casa, e la
natura disposta e disponibile ad accompagnare sempre gli stati d’animo dei
personaggi: “Alla metà di aprile cominciò a piovere. Intere giornate di pioggia
rendevano le ore uggiose e interminabili…”, QueiDue, la Terza stanza: “La terza
stanza era un mondo a sé che sempre di più l’attraeva, come se da lì si sprigionasse
un fluido magnetico. Tra quelle pareti tappezzate di libri e di fotografie
Annie trovava la motivazione del suo tempo, quasi lo scopo del suo vivere in
quella casa. Dopo il primo incontro con QueiDue, come ormai chiamava i due nel
portaritratti d’argento, il desiderio di conoscerli era diventato un bisogno…”.
L’immaginazione. Le poesie. E l’indugiare di Annie nella terza stanza fino
all’ultimo raggio di sole. Sembrava che QueiDue avessero un’unica vita. Ricostruzione
quasi pirandelliana, fatta di memorie, di tasselli che messi insieme uno dopo
l’altro formano una struggente piramide di vicissitudini.
E
il tutto che corre su una impalcatura veloce e fluente, fatta di costruzioni
paratattiche, apodittiche, brevi, ora dialogiche, ora narrative, ora
parenetiche o visionarie: in una forma mai pleonastica ma sempre lontana da
ogni epigonismo. Per cui il contenuto ti attrae e ti tiene sospeso; ti invoglia
a sfogliare pagina dopo pagina fino a farti suo, attore, te stesso, della
storia o meglio delle storie. Ma il compito del critico è quello di introdurre
e non di svelare, quindi a voi la lettura, dacché “saper leggere” vale di più
che “saper giudicare”.
Nazario
Pardini
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