Claudio Vicario collaboratore di Lèucade |
Voci dell’infinito
Misteriosi mondi remoti
sommersi nel tutto che ci
veste,
mondi
formicolanti delle voci
della molteplice Vita
costituente l’infinito,
mondi desolati,
desertici,
morti,
assassinati dalla sete di
sangue
di esseri intelligenti,
che alla creazione dal nulla
l’orrore e la desolazione
della catastrofe irreparabile
opposero;
mondi brucianti
di fuoco eterno,
vulcanici focolai dell’amore
divino,
fattori eterni di vita
in ogni atomo
che instancabile
si ripete e moltiplica
in sempre perfettibili esseri;
dolci mondi silenziosi,
soffusi di luce riflessa,
che illuminate gli emisferi
nell’assoluto
buio della notte,
mondi freddi,
iniziali, ruotanti
a vuoto,
soli strumenti di equilibrio,
nella gelida notte e nel
silenzio
degli spazi eternali
dell’Infinito;
aprite,
sapiente esempio presente,
il cuore di questo
minuscolo
inconscio
mondo di lotta e di errori,
che affoga nel sangue
la propria follia,
al desiderio e al voler della
Pace,
che, sola,
è sorgente di vita!
I
gabbiani volano via
La so, io la so la tua pena,
quella che porti in cuore
e nei tuoi occhi
oggi sovente tristi:
i tuoi gabbiani
sono volati via
per mai più ritornare
in quel radioso golfo
che da Formia a Gaeta,
qual bella donna,
sul più azzurro mare
si distende.
Alia il lor spirto
in quelle stanze vuote:
tutte le cose, mute,
ti parlano di loro
e parti ancor di udirli:
udire le lor voci nel silenzio
e, solo, di te soffri.
Alti nel cielo i tuoi gabbiani
si librano sul mare,
e talor ti figuri
di vederli apparire su la
porta
a salutarti
con l’antico sorriso
di che bello il lor volto
nei trascorsi anni felici,
forse chiamati
dal tuo lungo pianto.
Ma indarno
Ma indarno
t’illude udir la voce
e le parole….
Lunghe, vuote e tormentose
trascorrono le ore,
e solitario resta il cuor che
attende,
e tu sospiri!
E io scrivo…
E io scrivo, scrivo,
nessuno risponde,
nessuno che ascolti
il flebile canto
del cigno che muore,
dell’onda fugace
che scorre furente
sui ciottoli grigi
erosi dal tempo.
E io scrivo, scrivo,
di un’anima viva
che palpita, freme,
ama, odia, distrugge;
dell’onde argentine,
di smalto al mattino,
di fuoco al tramonto.
E io scrivo, scrivo,
del profumo dell’erbe,
dei fiori, di effluvi,
di odor di mortella,
di bosco, di siepi,
d’alloro, di muschio.
E io scrivo, scrivo,
del nido sul pioppo,
del salice e il rovo
che narrano
dolci ricordi
d’amori passati
finiti nel nulla.
E io scrivo, scrivo,
nessuno risponde,
nessuno che ascolti
il flebile canto
del cigno che muore.
A mia madre
Sto scavando nella mia anima
per trarne
un raggio di luce
che si trasformi in versi
per un ultimo mio canto.
Cerco invano parole
che siano vera poesia,
ma non trovo altro che
un deserto infinito, immobile
nello spazio e nel tempo,
un tempo che per me si è
fermato
quel giorno, quel quattro di
luglio,
quando sei tornata alla terra,
tra le braccia buie e fredde
dell’ultima tua madre,
ultima ed anche prima.
Mi aggiro inutilmente,
muto, in questo deserto arido,
pietrificato come i miei
sentimenti,
fatto di sassi appuntiti,
taglienti come pugnali
e di sterpi contorti, spinosi,
prosciugati da un sole
che non emette più luce,
un sole nero come la morte
che ti ha portata via,
che ha risucchiato nel nulla
te, ch’eri una fronda al
vento.
E in mezzo a questo deserto
io vago cercando invano
una sorgente d’acqua pura,
fresca,
che possa dissetarmi e dare un
senso,
un significato, anche se
illusorio,
al silenzio che mi circonda,
vorrei, ancora per una volta,
udire la tua voce,
ma non odo che il nulla.
Se questa poesia facesse a meno di certi arcaismi forse renderebbe molto di più a livello formale e emotivo: "Alia il lor spirto..." è una forma desueta, che va scapito dell'insieme.
RispondiEliminaProf Angelo Bozzi
Mi soffermo su voci dell'infinito, e dico: quella è la strada, quella è la via. Non mi piace parlare di forme o di formule espressive, ma di qualcosa che anima il poeta, o semplicemente l'uomo, nel suo viaggio di vita. Voci dell'infinito, voci che vengono dal profondo. Nulla è importante vicino a queste voci, tutto quello che costituisce il nostro esistere non è altro che un contorno strumentale affinché la vita si manifesti nella sua purezza. Essere ricchi, poveri, galeotti, disoccupati, fanfaroni, padri di famiglia… è del tutto indifferente perché ciò che conta è essere veri. E le voci ci guidano in questo cammino. Poeta ascoltale, sii sempre fedele al loro richiamo!
RispondiEliminaClaudio Fiorentini