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martedì 15 dicembre 2015

FRANCO CAMPEGIANI SU "IL SOGNO DELLA LUCE" DI P. BALESTRIERE



Franco Campegiani collaboratore i Lèucade




Pasquale Balestriere collaboratore di Lèucade

"Il sogno della luce", di Pasquale Balestriere

All'improvviso la luce viene a mancare. Il poeta è in ospedale per un serio problema oculistico e, chiuso nella sua stanza, dà vita ad un sogno, il sogno della luce, con estensioni metaforiche dalla sfera fisica a quella spirituale. E' una conversazione del poeta con se stesso, un esempio di poesia colloquiale che si sbaglierebbe a definire intimistica, come usa fare chi confonde il dialogo fra sé e sé con il monologo, non comprendendo che stando in solitudine ci si può sentire in compagnia, mentre ci si può sentire perdutamente soli nel più assordante frastuono. La percezione della solitudine e della compagnia è interiore e dipende dalla familiarità instaurata con se stessi. O meglio con l'altro di sé, con l'alter ego, con il proprio spirito.
Balestriere, come ogni vero poeta, ha buona dimestichezza con il doppio di se stesso, o con il daimon, che altro non è che la propria musa, il fanciullino di pascoliana memoria, l'essenza universale disincarnata. Il suo è un canto "privato", anzi "privatissimo", che tocca l'universale raccontando le pene e le gioie più intime. L'universale sta nelle piccole cose, sta nel battito d'ali d'una farfalla, nel soffio lieve del vento, nelle nenie dei pastori intorno alla mangiatoia, in tutto ciò che invita alla coralità e alla comunione tra i viventi. Universale è il paesello sperduto tra i monti, non il villaggio globale dei nostri tempi, non la grande metropoli: "... questa città / che dicono felice / sotterra i suoi dolori / con vacua frenesia d'impegni. / E ostende il suo sorriso, innaturale".
Lui, il poeta, parla degli affetti più semplici e cari. Parla del focolare, parla della cantina e della vigna, del piccolo orizzonte percorribile a piedi da  un essere umano. Parla di ciò che è a portata di mano, del luogo dove l'uomo lavora e vive, dell'isola dove pone radici e amori, della terra dove muore e rinasce ogni giorno, come il sole che sorge e tramonta sul mare. Da sempre il poeta ischitano è legato a questa visione elementare della vita. Una visione insulare, e proprio per questo non sbarrata, non chiusa, come si potrebbe pensare, bensì aperta agli slarghi sconfinati, al misterioso respiro del mare. Ad alcuni potranno sembrare obsoleti questi sani e vigorosi sentimenti, specie se calati nei dissacranti tempi attuali. Il fatto è che, prima di essere sentimenti, queste sono leggi eterne e incorruttibili, perennemente vive e attuali.
Ed è sintomatico che il poeta ne scopra ancor più la vitalità nel momento in cui viene colpito dal male. E' lì, nel fitto del buio e delle tenebre, che sente la necessità urgentissima della luce. Mistero insondabile, questa familiarità del giorno con la notte, dell'estate con l'inverno, del bianco con il nero, di cui non è dato argomentare, ma di cui tutti viviamo e siamo profondamente intrisi. Così, mentre esce ed entra più volte dall'ospedale, scrive il suo diario di speranze e tremori, assalito da un flusso di pensieri mutevoli che, alternandosi, parlano del chiaroscuro della vita, di una ferita e di una perdita di cui occorre farsi carico per rafforzare (non per indebolire) la struttura psichica ed il vigore morale.
Ci sono versi di ribellione e di impotenza di fronte alla corruttibilità e alla caducità della vita: "Adesso un altro è all'ospedale, / senza speranza. / Fra poco sarà l'orario delle visite, / andrò. / E' lo stesso ospedale di altre morti / dei nostri. / ... / vorrei urlare il mio furore impotente. / Non è giusto, / ma semplicemente / andrò". La vita dà e toglie a suo piacimento: "questo minimo gioco parabolico / detto vita c'illuse / un tempo con i pensili giardini, / strilli azzurrati. Ormai un teso fischio / d'arco s'adagia in lassità, retaggio / d'occidua estate, che nel vano cielo / di cenere è il presagio dell'inverno". Sembra un sadico gioco, ma è invece amore, quest'altalena del prendere e lasciare che insegna a godere la vita e poi a lasciarla andare per favorirne il rinnovamento infinito.
Il poeta vive la matura stagione, quella del raccolto (sebbene / m'informi il libro mastro della vita / che la colonna delle uscite vince / su quella delle entrate)", ma, memore dei verdi anni, vorrebbe legare la giovinezza (dell'etrusco, o del toscano), alla maturità (del greco), "sì ch'io meglio possa legare di questa vita i tralci". Sogno impossibile. Le generazioni si succedono e gli avi sopravvivono nei figli, come il seme nel frutto, in un silenzioso miracolo, al di là di tutto ciò che tenta di cristallizzare la vita. Il padre è un riferimento costante nella poesia di Balestriere. Lo sente vicino, "braccia forti e cuore gentile", accorso per confortarlo in ospedale, lui che in vita era stato "così parco di parole". Padre silenzioso e sapiente, grande nell'esempio e nel coraggio, ma povero di prediche e d'insipiente sapere.
Con la madre, invece, il colloquio è un fiume in piena. Siamo nella seconda sezione del libro dove il dialogo del poeta con se stesso è sostituito da uno struggente ricordo della genitrice. La sente lì, nella stanza d'ospedale, con le sue consuete e costanti premure, pronta a conversare con "questo figlio dai capelli ormai grigi (che) si ostina a intrecciare colloqui che per gli altri sono soltanto monologhi". Poi la rivede vecchissima, "nel caldo della casa, / madre di anni cento e uno": "Tu dormi, madre, con l'impercettibile / respiro delle cose / pronta a darti con tenace / fede all'aldilà, / a un sogno di salvezza". "... Per me / però sopra tutto / sei tu la pace, madre, eterno porto".
Testo di intensa e poetica meditazione sulla vita e sulla morte, ma anche e soprattutto sull'immortalità. Commovente l'invocazione rivolta ai cari estinti ("... se in qualche modo / siete o vivete"), affinché aiutino "questa donna dalla lunga vita" "nell'arduo passo": "Siatele dolci, di carezze / ... / Fate / che sorrida". Sono tante le note e i pensieri, tanti i motivi di questa conversazione silenziosa con una madre che è sorgente di vita, colta nel suo disfacimento, in quella negazione della vita che per lei è invece affermazione di eternità. Finché una sera "in volo azzurro / sei partita, / come / alacre / rondine / volta al sole, / al Dio della tua mente e del tuo cuore". Per il poeta "s'è rotto il mare degli affetti" e un "discrimine fatale" ostacola ogni ulteriore contatto. Tutto piomba nell'oscurità, ma ciò che resta, indistruttibile, è il sogno della luce, il desiderio di capire il senso della vita, nell'inconfessata certezza che un senso questa vita ce l'ha.
Il verso, classicheggiante, abbonda di metafore in un linguaggio comunque asciutto e senza fronzoli, semplice e schietto, capace di trasmettere il sangue più arcaico e profondo della classicità. Quello legato agli elementi e alla sacralità della terra-madre, alla venerazione per il sangue contadino, all'amore per la vita, che è dolore e gioia, morte e rinascita: valori ben diversi dai sofismi tragici con cui un'altra anima dell'umanesimo si è voluta distanziare ed affrancare, luttuosamente, nel corso dei secoli e dei millenni, dalla naturalità.

 Franco Campegiani









11 commenti:

  1. Per "Il sogno della luce" di Pasquale Balestriere ho già scritto tempo addietro. Ho detto del suo dialogo con la sua anima, che offre una forza straordinaria, del suo dialogo delicato e sofferto, ma sereno, con la madre, nel quale ho ritrovato molte affinità con il mio "Colloquio con la madre" in "Diario del prima". Ne ho afferrato, credo, ogni splendida sfumatura, una maturità umana e profonda, ogni emozione nella pienezza dell'amore materno, ogni palpito che da tutte le liriche trasuda con calore, ogni respiro, ne ho segnato i punti più toccanti, anche se la mia nota era centrata su un argomento particolare. Oggi trovo in questa esauriente recensione di Franco Campegiani, che coglie, con precisione ed efficacia, i punti salienti della silloge, molte considerazioni e notazioni che io avevo taciuto. La recensione ha lo stesso sapore, lo stesso tono della silloge. Perciò ancora complimenti a Pasquale Balestriere e a Franco Campegiani.
    Umberto Cerio

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    1. Ricordo, carissimo Umberto, la tua recensione mirabile a "Il sogno della luce" di Pasquale. Non era facile intervenire sullo stesso argomento, dopo quella superba esegesi, e ti sono grato per le parole che usi nei confronti delle mie notazioni.
      Franco Campegiani

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  2. Come gli ho già detto per telefono, l'amico Franco Campegiani, con grande sensibilità e partecipazione, è entrato nella struttura profonda del libro e, in particolare, in ognuna delle due sillogi ivi contenute e con mirabile processo esegetico ha rivissuto (e -cosa notevole- fatto rivivere al lettore) il mio percorso di sofferenza e di speranza.
    Di questa sua competente, acuta e pregnante lettura gli sono molto grato.
    E ringrazio il caro Umberto Cerio per il suo commento, molto ricco di sapienza, condivisione e cultura (e anche di affettuosa amicizia).
    Pasquale Balestriere

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    1. Sono a mia volta colpito e emozionato.
      Franco Campegiani

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  3. “Balestriere, come ogni vero poeta,-scrive il Campegiani- ha buona dimestichezza con il doppio di se stesso, o con il daimon, che altro non è che la propria musa, il fanciullino di pascoliana memoria, l'essenza universale disincarnata.//l'altro di sé, l'alter ego, il proprio spirito.”
    I drammaturghi tedeschi, e non solo loro, lo chiamano doppelgänger letteralmente doppio viandante, composto da doppel, doppio, gänger, che va, che passa.
    Si riferisce a un qualsiasi doppio o sosia di una persona, più comunemente in relazione al cosiddetto gemello maligno ( un mio verso recita: “l'altro me stesso di cui diffido spesso.” Non è il caso del Balestriere in questo dialogo fra sé e sé, che avviene alla pari. Il termine descrive anche il fenomeno nel quale si vede la propria immagine con la coda dell'occhio. E qui, all'improvviso, era venuta a mancare la visione piena...
    Questo mio intervento è quasi un pretesto per fare i complimenti e gli Auguri Natalizi a due persone altamente rappresentative della qualità di “Leucade”. Oggi l'autore è Pasquale e il Prefatore è Franco. A parti invertite il livello qualitativo resterebbe alto, molto molto elevato.
    Ubaldo de Robertis

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    1. Grazie, Ubaldo, per la tua attenta e raffinata condivisione. Non capiremo mai chi dei due gemelli è il "maligno", giacché siamo due in uno (o uno in due). Siamo Caino e Abele. I tuoi apprezzamenti mi rendono particolarmente orgoglioso.
      Franco Campegiani

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  4. Una bella e profonda esegesi quella del Prof. Campegiani per la quale formulo i miei modesti complimenti. Ma l'amico Pasquale merita, meritatamente questo e anche più. Mi sorprende sempre nel suo canto lirico, oltre al contenuto profondo ottimamente sopra espresso dal Prof. Campegiani la musicalità pacata dei suoi versi, scevra da ogni enfasi e pur capace di captare l'attenzione del suo lettore con altrettanta pagatezza la cui simpiosi non può e non viene meno. Colgo l'occasione per riformulare al Prof. Campegiani un grazie sentito per il Suo pensiero alla mia " In un Eden disfatto " di un anno fa. Pasqualino Cinnirella

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    1. Scusate l'errore di battuta: simbiosi e non simpiosi. P.C.

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  5. Possiamo darci del "tu", Pasqualino? Perché "modesti complimenti"? Se sei sullo scoglio di Leucade, ci sarà pure un motivo. Ricordo con piacere "In un Eden disfatto" e sono felice che tu abbia gradito queste note sulla poesia del grande (e non meno umile) Balestriere.
    Franco Campegiani

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    1. Stimatissimo Campegiani è un onore per me darti del Tu (ricambiato ). Pur non avendo la stessa capacità espressiva Tua, di Pasquale,del Prof. Pardini, della prof. D.S.Busà, del Prof.Cerio e di altri dello SCOGLIO di Leucade, istintivamente riesco a carpire il buono e il bello di uno scritto sia esso di poesia che di critica letteraria. Quello che riesco a fare di scritto è frutto della mia sensibilità educata da decenni di fare e leggere poesie e relative critiche. Sono sullo scoglio di Leucade perchè il timoniere dello stesso ha un cuore oceanico.
      Riscontrami, se vuoi, al cinnirellap@libero.it

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  6. Rivolgo il mio ringraziamento più affettuoso per i loro graditissimi commenti agli amici de Robertis e Cinnirella e un grazie di cuore al padrone di casa, al (fin troppo) generoso Nazario.
    Pasquale Balestriere

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