NAZARIO PARDINI
LÈUCADE
ANTOLOGIA
POETICA A TEMA
“IL PADRE”
INTRODUZIONE
DI
PASQUALE
BALESTRIERE
“SULLA POESIA”
BREVI INTERVENTI DI
PAOLO RUFFILLI, GIORGIO LINGUAGLOSSA,
NAZARIO PARDINI
AUTORI
Introduzione di
Pasquale Balestriere
Su La poesia di P. Ruffilli,
G. Linguaglossa, N. Pardini
Padre di Paolo Ruffili
Risposte di
Antonio Spagnuolo
C’è un
tale… di Giorgio
Linguaglossa
Ultimo
canto per il padre di
Pasquale Balestriere
Un
silenzio altro di
Ninnj Di Stefano Busà
Perdono
padre di Nazario
Pardini
Al
passo d’addio di
Umberto Vicaretti
Nell’ora
rosata dei tramonti di Carmelo Consoli
Con
mio padre di Sandro
Angelucci
Eppure
siamo uguali di
Giovanni Caso
Padre di Umberto Cerio
Il
male di oggi di
Franco Campegiani
E tu
sorridevi… di Patrizia
Stefanelli
Ti
scrivo per ricordarti di
Anna Magnavacca
A
Sesto, mio padre di
Rodolfo Vettorello
A mio
padre di Anna
Vincitorio
Con
mio padre di Roberto
Mestrone
Dentro
il brillìo d’argento di cornici di Alda Magnani
Padre di Giovanni Dino
Un
altro inverno di
Sonia Giovannetti
Distacco di Serenella Menichetti
Un
istante prima di
Pietro Catalano
Sonnambulismo
del cuore di Maurizio
Soldini
Padre di Anita Menegozzo
Non
del padre di Claudio
Fiorentini
Guida
i miei passi di
Emma Mazzuca
Lettera
a mio padre di
Valeria Serofilli
Ritratto del padre di Ubaldo de Robertis
Caro papà
di Emanuele Marcuccio
Padre,
non t’odio di Carla Baroni
Parmiani
Sulla
soglia di Giusy Frisina
Nel
nome del padre di
Paolo Buzzacconi
La via
del paese vecchio di
Daniela Quieti
Come
un pulsare lento di
Marisa Papa Ruggiero
La
sedia di mio padre… di
Nadia Chiaverini
Sapessi,
padre di Maria Ebe
Argenti
A mio
padre di Maria Rizzi
Preghiera
al padre di
Maria Grazia Ferraris
A mio
padre di Flavio
Vacchetta
Passaggi di Pasqualino Cinnirella
I
padri di Ivana Tata
Ode a
te, O padre di
Aurora De Luca
Di
padre in figlio di Ambra
Simeone
Partire
alla ricerca del padre di Guseppina Di Leo
Lettera
a mio padre di
Annalisa Rodeghiero
Il tuo
ricordo di Francesco
Casuscelli
Foresta
spoglia di Giorgia
Catalano
A mio
padre di Claudio
Vicario
INTRODUZIONE
Quest’antologia
prende spunto da uno degli ultimi post di questo blog, cioè da “Riflessioni sul
padre” di A. M. Pacilli, e nasce quasi
da una scommessa: “Perché non collegare scienza e poesia? Perché non far
intervenire sull’argomento i poeti di Lèucade?” ci siamo chiesti per telefono
io e Nazario.
È
andata così.
Nelle
poesie che il lettore trova qui pubblicate s’addensano più significati. Esse
indicano innanzitutto l’esperienza umana
e artistica che della figura paterna ogni poeta ha direttamente o
indirettamente maturato nel corso della sua vita; e poi rappresentano una
testimonianza di affetto e amicizia nei confronti del padrone di casa,
l’infaticabile e gentile Nazario Pardini;
ed anche un’abitudine a frequentare quest’isola felice; ma, più ancora, esse
incarnano, proprio per essere qui riunite, un momento di visibilità collettiva
di tutti i poeti che, in vario modo,
sono legati a questo blog. Tutti insieme,
in un canto a più voci, in vari stili e tendenze. Perché Lèucade è
plurale, accogliente, grande.
Perciò
chi legge avrà davanti agli occhi
un campionario di testi talmente variegato che gli sarà difficile non
trovare rispondenze al suo sentire. Questo almeno ci auguriamo.
In
ultimo, giova precisare che le poesie della presente antologia sono disposte
-garante Pardini- in puntuale ordine di
arrivo.
Buona
lettura!
Pasquale Balestriere
DIALOGO A TRE VOCI SULLA POESIA
La poesia oggi
di Paolo Ruffilli
La conoscenza poetica appartiene
al mondo del singolare, dell’individuale, non è facilmente estensibile né
generalizzabile. In fondo non mi pongo il problema di far partecipare l’altro,
il lettore, al mio vissuto, ma solamente di manifestarlo, di pronunciarlo. Si
può dire – paradossalmente – che non cerco l’empatia ad ogni costo e che forse
questa neanche mi interessa. No, l’empatia non mi interessa. E la ragione è
quella dichiarata di un interesse per la gnosi. Non scrivo poesia pensando al
lettore o mosso dal desiderio di accattivarmelo. Il così detto pubblico non ha
mai un gusto proprio. Se mai risponde distrattamente a un orientamento imposto
dalla moda del momento e va dietro al vago impulso che gliene deriva, che è un
impulso disturbato proprio come per tutti i bisogni indotti, per i quali non
c'è mai felicità anche quando vengano soddisfatti. L’idea che il pubblico ha
della poesia si lega alla più noiosa pratica scolastica dell’esegesi, del
riassunto, della parafrasi, delle note a piede di pagina. È un’idea di
oscurità, di fatica, di inutilità. Le pochissime persone che, tra il pubblico,
si imbattono poi per caso nella poesia restano stupite di incontrare qualcosa
che in realtà non conoscevano affatto e che non assomiglia all’idea scolastica
che gli era rimasta addosso. Io sento la poesia come un dettato che sfugge a
qualsiasi strategia comunicativa, il che non vuol dire, evidentemente,
l’adesione al codice cifrato. La conoscenza appartiene sempre al mondo del
singolare, anzi, quanto più appartiene al mondo del singolare, tanto più ha
valenza universale. Ma il parteciparvi da parte del lettore necessita di una
scelta individuale, come una forza attiva decisiva. Il lettore deve decidere di
entrarvi e lo farà, magari, avendo avvertito un input rispetto al quale
provvederà lui stesso a realizzare l'empatia. Ogni percorso di gnosi è sempre
una pratica esoterica. E, in poesia, qualsiasi argomento per me è buono.
Paolo Ruffilli
Una nuova poesia
di Giorgio Linguaglossa
da
“Intervista a Giorgio Linguaglossa” di A. Simeone
“... la vera poesia è quella scritta
da un uomo libero per cittadini liberi. Ma, le chiedo: siamo oggi liberi? È
possibile scrivere per uomini che si credono liberi ma che nella realtà non lo
sono? È possibile scrivere sapendo di già che c'è una menzogna sottostante che
ciascuno fa finta di non vedere? È possibile scrivere una poesia o un romanzo
senza prendere atto di questa ipocrisia macroscopica?”
Il
critico romano, commentando la poesia Ars Poetica di Czesław Miłosz,
afferma: “ Il punto centrale della riflessione sulla poesia viene
introdotto subito nei primi versi: «una forma più capace», che non sia « né troppo poesia né troppo prosa».
Una forma ampia, dunque, che consenta
l'ingresso nella forma-poesia della forza rigenerante della «prosa». Miłosz
caldeggia una nuova poesia che sia al contempo riflessione sulla storia e una
selezione di immagini povere, prosaiche; di qui la scoperta che «nella poesia
c'è qualcosa di indecente», la presa di distanze dalla poesia dell'ego, tutta
incentrata su «ciò che è morboso» in quanto oggi «molto apprezzato dai poeti»,
una poesia che tratti dell'«uomo ragionevole», poiché « il mondo è diverso da
come ci sembra / e noi siamo diversi dal nostro farneticare». Di fatto è questo
il primo altissimo documento poetico di un poeta europeo in favore di una
poesia di ampio respiro, che contemperi l'ampio sguardo sulla storia degli
uomini e i piccoli fatti del quotidiano.
(...) Ritengo che il futuro della poesia sia la «forma ibrida». Oggi non
è più possibile né ragionevolmente concepibile scrivere in endecasillabi tonici
come faceva il Pascoli o nelle forme chiuse artatamente chiuse in base ad un
programma elitario ed olistico della poesia. La forma-poesia, come ci ha
insegnato Miłosz, deve essere «una forma
più spaziosa» che consenta la ricezione della «prosa». Il futuro della
forma-poesia è in questa direzione.”
Giorgio Linguaglossa
Su “La
poesia”
di Nazario Pardini
C’è anche da dire, però, per essere obiettivi e
per dare una visione più organica e più completa dell’universo
poetico-culturale attuale, che non è di certo meno frequentata, oggigiorno, una
visione diametralmente opposta della poetica. Una poetica che fa del verso
un’ondulazione e una duttilità tali da corrispondere agli stadi emotivi
dell’essere. Una poesia connotata da alte impennate di emotività, da slanci
iperbolici di onirica e immaginifica fattura, da un sentire che precede con la
sua intensità l’atto raziocinante dell’esistere, da una poesia che possiede,
come valore aggiunto, la ricerca di una sonorità che ha bisogno dell’a capo del
verso, e che si abbandona a sperdimenti panici che tanto dicono delle
inquietudini o delle quietudini della nostra caducità esistenziale. Insomma una
poesia che cerchi di tradurre il perpetuo conflitto fra la terrenità
dell’esistere e lo slancio all’oltre; quel pòlemos fra i contrari di pascaliana
memoria quale è la vita. E se l’uomo si affida all’onirico o al memoriale non è
poi tanto male, visto che il sogno ne fa parte, come ne fa parte la stessa
morte; e considerando che quel senso di struggimento della mortalità ha
contraddistinto sempre la poetica dei grandi nella storia. Congiungersi con
loro, riattivandone le energie e attualizzandone i contesti, dando una certa
continuità alla diacronica vicenda dell’insufficienza umana, credo sia lo spirito
di quest’altra grande schiera di poeti. Poeti che non disdegnano certamente
musicalità, passione, immaginazione, contestualizzazione di un mito
energizzato, e realtà, sì!, realtà; ma una realtà che sia crocianamente
ri-vissuta e metabolizzata fino a farsi serbatoio di immagini. Quel serbatoio
al quale si sono rifatti Leopardi … Montale… Quasimodo… Luzi… e a cui si
rifanno tanti poeti dei nostri giorni, creando “Poemi” di grande tensione
emotiva. Perché alla fin fine la Poesia deve emozionare, deve far provare quei
brividi che “scatenano” tutte le manifestazioni artistiche (vedi il mio amato
Giacomo Puccini, in particolar modo nel coro muto della Manon Lescaut,
rappresentato magari sul lago di Torre del Lago davanti alla casa in cui lo
compose). E io credo che alla base del tutto ci voglia l’umiltà di pensarci
umani: quell’umiltà che porta a credere non definitivi e ultimativi i nostri
convincimenti.
Nazario Pardini
Padre
Padre potente
arbitrio comando
signore che prende
che regge le fila
che muove e sostiene
dominio e licenza.
Padre che è assente
sole lontano
ignoto mestiere
enigma che incalza
diverso e straniero
limite termine fine.
Padre splendente
pensato e sognato
tenuto soltanto per mano
guerriero tornato
per poco disposto a restare
giocare parlare una volta
babbo papà.
Paolo Ruffilli
Risposte
Qui ho le risposte che rifiutano soluzioni:
tutto
scompare tra la pagina bianca ed una sillaba
che
sussurro nel timido violino,
adesso
che il ricordo è l’unica illusione.
Mio
padre correva ritmi di pianto
nel
dedalo che la memoria ricuce
per le
forme indiscrete del tempo,
e
nascondeva la sua debolezza
fra le
carezze del nulla.
Ora
frantumo lo specchio che deforma
la sua
immagine di vecchio,
e
finisco nell’ossessione della sua assenza.
Prigioniero
solo della prossima morte
indosso una maschera tribale.
La musica concede arditi
ritorni
stanca
di romanticismi inutili, nel volo
cede
al pensiero e frantuma il meglio
delle
parole che non furono dette.
Ritmi
in sintonia con le incertezze
che
rimbalzano prima del fiato,
ricuciono
le labbra in un giro sfiorito.
Chiudesti
ogni porta,
per
ingoiare l’azzurro del mare o quei colori
incantati
del sole.
Nei
giorni incardinati a corrosioni
tutto
rimane immobile , soltanto
orme
di desiderio nelle vetrate
multicolori,
e meraviglie nelle aritmie
di un
cuore ingigantito dagli affanni.
Sembravi
lampada nel silenzio, riflesso
inaspettato
, delicatamente incerta
tra le
inferriate del tempo.
Sulle
pietre riporto a fatica le speranze
giunte
alla soglia del dubbio.
Antonio
Spagnuolo
C'è
un tale che dice di essere mio padre
Roma. Anni Cinquanta. Strada in
salita.
Via Lorenzo il Magnifico n. 7.
Negozio di calzolaio. Una vetrina a
gomito. Cristallo e ottone.
La pelle di un coccodrillo con i denti
gialli in vetrina.
Scarpe di lucertola verde, borse
femminili di coccodrillo.
Nel retrobottega c'è una seggiola di
paglia
e un tavolo con gli utensili da
ciabattino.
Tanti chiodi. Sottili e massicci. Con
la testa tonda,
con la testa quadrata, con la testa a
punta, arnesi ad uncino,
odore di mastice e di cuoio
dappertutto.
Sulla destra, una finestra che dà nel
vuoto.
Misteriosi cigolii. La tromba
dell'ascensore con voci umane
appese agli abiti. Qui a sinistra,.una
scala a chiocciola a picco nel buio.
Il varco dove un giorno Orfeo scese con
la sua lira a nove corde.
Di là, si odono suoni misteriosi e
striduli.
Sulla seggiola, c'è un tale che dice di
essere mio padre.
Batte sul cuoio con il martello a testa
tonda, piega la tomaia
nel verso dell'alluce e del futuro.
Mi racconta le storie più inverosimili,
che una dea dal profilo di verderame si
è affacciata sul mare,
e soffia nelle orecchie di un re
marinaio
che guida una ciurma di ritorno da una
guerra lontana,
una città data alle fiamme.
Racconta mio padre che un tempo lontano
viveva da qualche parte un tale
che diceva di essere un poeta
che diceva di essere un poeta
ma in realtà era un malandrino,
e della peggior specie,
un ubriacone, che passava tutto il
giorno
ad andare dietro alle sottane...
«Quell’uomo era un ciarlatano,
ma della marca migliore
La più alta.
Egli era elegante,
e per giunta poeta...»
ma della marca migliore
La più alta.
Egli era elegante,
e per giunta poeta...»
Giorgio Linguaglossa
Ultimo canto per il padre
Vorrei parlarti, padre, in questa notte
da questa nave che batte a fatica
le tenebre e ricerca un porto vero
dopo prove d’approdi, di
conati
falliti sempre d’una piuma.
Intanto
scorre il vento sull’èquore
increspato,
grida un sottile silenzio, uccellino
di cristallo: perciò trabocca
ancora
fiume di canto dagli argini
della
memoria, note tristi che
ravviva
l’arpa del cuore. Rivedono gli
occhi
( o credono ) il mare verde
del grano
e viti appese a sinuose
colline
sotto cieli d’infanzia
-azzurri, dunque-,
solerti al ruzzo passeri e
fringuelli,
il tuo volto giocondo alla
fatica.
Ed ora, d’oltre il cielo,
sappi, padre,
che questo tumido lacerto
detto
cuore serba anche il pianto
del distacco
celato per pudore dai tuoi
occhi,
quando partii, nel vento della
vigna:
perenne graffio, padre, acre
dolore.
Pasquale Balestriere
Un silenzio altro
Vola alto, padre, trova vertigine d’assoluto
tra silenzi di chiari mattini.
Sia il tuo coraggio sugli strapiombi
acqua-luce al mondo,
dai fondali risorga il profumo dell’attesa.
Possano i venti tra parole di pietra
memorizzare il risveglio dei tramonti.
Chi come te ha nutrito la coscienza
ha generato un silenzio altro,
quasi liquefatto dove la terra muore.
Di te, padre, serberò memoria.
Vola alto, padre, trova vertigine d’assoluto
tra silenzi di chiari mattini.
Sia il tuo coraggio sugli strapiombi
acqua-luce al mondo,
dai fondali risorga il profumo dell’attesa.
Possano i venti tra parole di pietra
memorizzare il risveglio dei tramonti.
Chi come te ha nutrito la coscienza
ha generato un silenzio altro,
quasi liquefatto dove la terra muore.
Di te, padre, serberò memoria.
Ninnj Di Stefano Busà
Perdono padre
Per chiederti perdono, padre,
sono giunto a questo marmo ormai ingiallito
dai rivoli del tempo. Qui seduto
ho voglia di restare assieme a te,
per parlare, parlare
di un’ora che sfuggì. Sotto questi archi
vedo immagini nuove,
di cui conosco poco. Tu con loro
come ti trovi, padre? Tu che sempre
hai fatto vita schiva. Ma stamani
io sono qui per chiederti perdono
di non averti detto mille
e ancora mille volte del mio bene.
Per non averti detto le parole
che son rimaste in aria per la furia
che tradisce la vita. E il tuo perdono
mi giunga, padre, per non averti chiesto,
fino in fondo, le piccole carezze
di bambino, cresciuto indifferente
nella selva degli uomini;
per non averti detto fino in fondo
vicino al fiume che scorreva lento
verso una foce che ingollava i giorni:
“Giochiamo assieme, padre!”.
Perdono padre se a volte le labbra
restarono serrate come pietre.
Nazario Pardini
Al passo
d'addio
a mio padre
Al passo d’addio venne l’equinozio
(obliqua e già ineguale
declinava
la curva della luce verso
l’erba).
Quello fu l’ultimo settembre,
padre,
costretto il tempo ormai nella
clessidra,
lo sciabordio tenace del
silicio
a fendere radici di memorie.
Non fu certo la morte il tuo
calvario,
ma il grano a crescere,
il pane da spezzare e le tue
mani
arrese ormai al loto ed
all’argilla
(noi cuccioli smarriti, e la
compagna
ad intrecciare lacrime e
ricordi).
Stagioni e lune intere
inconsumate
poste a dimora anch’esse
nel vuoto dei domani a
nascere,
nel vacuo rincorrersi del
vento.
Noi fummo vivi solo nel
dolore.
Eppure, adesso che chetato vivi
in un altrove chiaro e senza
inganni,
dove straniero è il dubbio
e ignoti sono il torto e la
ragione,
torna ti prego come quando, a
sera,
stremata sulla spalla anche la
falce,
mi portavi la rude tenerezza
delle tue braccia grandi,
immenso nido,
dove scricciolo implume
reclamavo
la mia dose d’amore e di
carezze.
Mi alzavi allora, piuma, verso
il cielo
a tendere le mani incontro al
sole.
Io quell’abbraccio più non so
scordare.
Regalami per questo un’altra
volta
il brivido degli occhi tuoi
felici
e il tuo sorriso, come il mio,
fanciullo.
Umberto Vicaretti
Nell'ora
rosata dei tramonti
Mario,
viene l'ora rosata dei tramonti.
Ti
sarebbe piaciuta, come quando
di
settembre ci vestiva lungo i sentieri
che
tagliavano il granturco
e
tu vedevi nei ricami delle nuvole
i
bagliori della vita, la speranza del domani.
Così
andavamo mano nella mano,
ombre
d'oro i nostri passi, sfumature
dall'ocra
al blu i corpi e le parole,
i
gesti persi nelle distese degli ulivi.
Voglio pensarti dove sei ora
chino
sui campi ad ascoltare
il
fiato sospeso delle foglie, entrare
metro
dopo metro nel solco arato della terra
ed
io tuo figlio sulle spalle del suo eroe
a
bocca aperta ad ascoltare
la
favola degli uomini e del cielo.
La
verità Mario
è
che mi sono mancati troppo presto
i
tuoi sorrisi, le tue dita tra i capelli
le
risposte ai perché dei dolori e della morte.
Dopo che te sei andato nel giro delle stelle
lasciandomi
al mio stupore di bambino
non
sai quante croci ho sopportato,
quante
persone e cieli interrogato
per
questo stare in un calvario di giorni, di città,
smarriti
i tornanti del nostro andare lieve
e
luminoso, persi il nitore degli orizzonti
tra
i cementi, i progetti nel macero dei sogni.
Tutta
un'altra vita amara padre mio, sai.
Ma
voglio immaginarti ancora tra fili d'erba
e
balzi di colline, rivedere noi due avvolti
nel
giallo dei covoni, nei silenzi delle piane
in
quest'ora rosata dei tramonti,
dolcissima
e inquietante.
Carmelo
Consoli
Con
mio padre
Olive:
la forma.
Olio:
l’essenza.
Freddo
che punge e che riscalda.
Ricordi:
le
mattine di dicembre,
con
mio padre.
L’attesa,
l’arrivo
dei primi tordi.
I
chicchi,
bianchi
per la brina,
le
mani insufficienti
con i
guanti
a
cogliere dai rami
l’esistenza.
Ho
quasi sessant’anni
e sto
nascendo
al
mondo
come
se fosse questo
il
primo dei miei giorni.
Sandro
Angelucci
Eppure
siamo uguali
Mi
rispecchio nel volto di mio padre,
la
stessa luce, il gioco delle rughe
attorno
agli occhi ed i capelli corti
nella
stessa canizie. Ed ebbe pochi
racconti
per parlarmi della vita,
amava
lo splendore del frumento
e
il tessere del canto di cicale,
ed
in silenzio ritornava, a sera,
lavava
le sue mani sulla soglia
prima
di entrare.
Il mio è un altro rito,
le
mie mani non sanno dell’ortica
né
della vanga. Srotolo conchiglie
per
la china degli anni, ammiro cieli
dentro
gocce di brina, sfoglio un libro
come
fosse un ciliegio da innestare.
Sono
in ansia per tutti i miei pensieri
così
fragili, esposti alle intemperie,
brucio
sterpi in autunno di parole
senza
germogli.
Eppure siamo uguali
nel
respiro del vento, nella pioggia
che
sorprende l’estate. Quanta grazia
ha
la luna tra i salici al tramonto.
Non
chiedermi perché sento il suo pianto
bagnarmi
gli occhi al suono d’una lacrima,
sto
come gli altri petali del fiore
stremato
tra le pietre. E guardo il cielo
nel
volto di mio padre ed il mio corpo,
simile
al suo, si piega come il pruno.
Giovanni
Caso
Padre
Questa
saggezza conquistata, padre,
sulla
fine, quasi, del giorno
è
preziosa moneta
per
memoria di tue parole
che in
quei frangenti allora non compresi.
Giungere doveva l’ombra assurda
di morte
inquieta in attesa di pace
per
sentire che il tempo è vento vano
senza
l’orma di fatti e di parole.
Senza
che l’uomo sappia il suo passaggio.
E non si può tornare
con
passi adolescenti ed incantati
ai
canti dolorosi di un amore
-tra
inganni di chimere-
ch’era
feroce vita che passava.
Non bastano memorie
a
dilaniare tempo e cose,
ma
sangue vivido e tempesta
da
furibondo mare
ad
annegare l’anima ed i sogni.
Sigillo di fango e ceneri
urlo
crudele della luce
giungevano
dall’al di là del tempo,
-acre
tormento di uno spazio sacro-
una
lusinga infida e mai voluta.
E svaniva così l’arcobaleno
di una
vita che percepivo avara
di
sogni e di certezze, che ancora
non
sapeva il vento della rivolta
e il
fuoco nell’anima.
Umberto
Cerio
Il
male d'oggi
Il
male d’oggi è chiuso in un recinto
di
plastificate muraglie,
ghetto
refrattario in una cupola
agli
spiragli di luce.
E
solo tenebre incontri
senza
più coscienza delle tenebre,
case
nere lungo i viali asfaltati
senza
più finestre,
un
dolore inconsapevole,
una
notte senza sbocchi
che
rifiuta l’impasto con le aurore,
un
nulla radicale in estinzione,
un
nero che più non genera nero,
un
incubo, un’oscura follia
superba
e paga di se stessa
che
rifiuta il bacio dell’alba
e
si occulta all’amplesso lievitante,
al
groviglio fremente della vita,
e
muore…
Quanti
gridi di dolore nelle notti
si
schiudevano all’alba in battiti d’ali!
Mai
mi dicesti
che
c’è un male che fa bene,
ma
lo capivo dai tuoi gesti,
padre
contadino,
dall’urlo
muto
delle
viti che potavi,
dal
sudore vivo della fronte,
dalle
doglie della terra partoriente
che
con amore coccolavi
affinché
tutto risorgesse
nuovo
e bello dalle brume invernali.
Quanti
gridi di dolore nelle notti
esplodevano
all’alba in battiti d’ali.
Franco
Campegiani
... e tu sorridevi
Ti ho visto morire ed eri
salvo.
Con la coscienza che mi resta,
senza
retorica ti dico
adesso, che non senti, o forse
puoi.
Una vita di stupri alla mia
anima
di ragione mancata alla
violenza,
morte che ogni giorno mi
donavi.
E tu...
tu, sorridevi
come angelo caduto
e io...
ti ho visto morire.
La mia mano ho poggiato sul tuo petto
e ho raccolto l’ultimo respiro
mentre con gli occhi
vuoti mi guardavi
e mi chiedevi : “quando?”
Quando? Ora, qui, tra queste
ciglia noi
siamo ricordi
un flash-back
che non perdona e strazia
le forme di un’umanità
perduta.
Ti ho visto morire ed eri
salvo
in me, che ho contato sai, i
minuti
del tuo patire,
padre.
Lontano, voci restano sospese
come la pioggia al vento a
primavera
che va leggera a migrare nel sole.
che va leggera a migrare nel sole.
Patrizia Stefanelli
Ti scrivo per ricordarti
Ti scrivo per ricordarti
l’anniversario della morte
di mio padre “11 gennaio 1993”
mia vibrante radice.
Un fiore di brina
una preghiera.
“ La crisi non risolve la
crisi……”
Ridiamo ci guardiamo di
sottecchi
ammicchiamo…..
Non sentiamo ancora il peso di
queste
sue parole.
Al primo canto degli uccelli
il treno
il pasto nella gavetta
il soffio secco del sole
la neve che inganna i passi.
Capisco ora i suoi pensieri
il suo dolore
per una vita troppo stretta.
In ogni viso di pendolare
vedo mio padre.
Un angelo
cammina
nel silenzio della neve.
Un
dolce ricordo di mio padre, uomo di grande onestà nel suo modo di vivere e nei
suoi pensieri. Presenti – spesso – i miei genitori nelle mie poesie; loro sono
i fari che illuminano la mia vita, soprattutto nei momenti tristi.
Anna Magnavacca
A,
Sesto, mio padre
Una
distanza come tra due sponde
perché
tra noi...
Una
parola almeno
un
modo come stringersi la mano
od
uno sguardo complice.
Ma
un uomo,
solo
se ha modi ruvidi e la voce
che
sa di fumo.
Non
so di te ma tu senza parole.
Severi
gli occhi e gli ordini
di
tuono.
Ma
é troppo tardi
e
non si impara a vivere che dopo.
Quasi
una sfida
o
poco più di un gioco.
Io
resterò al tuo posto
ch'é
rimasto vuoto.
Non
so di fumo
ma
ti somiglio un poco.
Giorno
per giorno un po' di più
ma
solo un poco
Rodolfo Vettorello
A mio
padre
il tempo ha spezzato quelle scale
dove il celeste bagliore si spense
con un grido
il tempo ha spezzato quelle scale
dove il celeste bagliore si spense
con un grido
fluidi calarono i
falchi sul sole
e fu ombra di parole pensate, mai dette
e fu ombra di parole pensate, mai dette
Tu ora non più
sembianza ritorni
voce azzurra di dentro e schiudi le mani
al mistero
voce azzurra di dentro e schiudi le mani
al mistero
(da "Trama verde sull’area" Edizioni Hellas, 1986)
Anna
Vincitorio
Con mio padre
(L'emigrante)
La mamma scende l'ultimo gradino:
parla con ombre amiche e silenziose,
non cura più i germogli nel giardino
lasciando la tua tomba senza rose.
Incontra sterpi e rovi il mio cammino,
percorro strade squallide, insidiose;
vorrei cambiar la rotta del destino
per coglier fiori e spine in giusta
dose.
Son chiusi dentro l'anima i momenti
vissuti insonni con la nostalgia;
perché le notti sciolgono i tormenti
se il vizio del fuggire è bramosia ?
Tu taci... questo pianto forse senti.
Ma è l'alba, e il nostro idillio porta
via!
Roberto Mestrone
Dentro
il brillìo d’argento di cornici
Arrivando in corriera ti vedevo,
seduto sulle panche della
piazza
tra i vecchi del paese,
a riposare gli anni in cripte
d’echi
piene di memorie e ripensavi
le passate emozioni andate in
fumo.
Mani callose e cuore di velluto,
tu conoscevi carezze d’erba,
dolci voci di pollini e
rugiade,
quando lo sguardo alzavi
a scandagliare il cielo
nei fuggevoli bagliori del
tramonto.
Il sapore dei passi tu sapevi
che allungano le piane
ripercorse
con ritmo lento per gettare il
seme.
Ampio era il gesto e cadenzato
il tempo del tuo andare.
Sorridesti al mio primo balbettare,
sostegno all’incertezza dei
miei passi,
pronto a fugare il peso delle
prove,
ad insegnarmi il senso della
vita,
la gioia del donare e del
perdono.
Ora sorridi
dentro il brillìo d’argento di
cornici
a me che vivo tra cenere di
sogni.
Dentro
parabole d’arcobaleno eterno
tu mi attendi, in un mondo di
luce,
dove ancora l’ingresso mi è
precluso,
tenebra sospesa sull’abisso
su cui poggia l’arcata dei miei giorni
– ormai quasi
completa –
mentre intreccio menadiche
danze,
volgendo il ciglio dove il
giorno muore.
Padre
Alleggerisco il peso della terra
col ricordo di mio padre
rimasto nella sua zappa
che come un crocefisso stringo fra le mani
Apprezzo tra sudore e svelti fiati
il dono che da essa ricavo
Il mattino dura molto in campagna
perché inizia quando l’aurora
ha appena ingoiato le stelle
A cielo aperto si prega senza parole
fra gli orti si instaurano tenerezze
con parole mute di gesti antichi
(da Un albero che nutre la terra di cielo)
Giovanni Dino
Un altro inverno
Vedi come il tempo ci muta
e come sprofonda per esso
l’illusione
d’aver per complice
l’eternità.
Non so dirti padre mio
dove ho posato l’antica ascia
e dove riposa l’animo
guerriero.
Un altro inverno si è adagiato
sul nido delle rondini
segnando così il mio volto
d’altra stanchezza greve.
Potesse ora il mio tempo
sostenerti.
Ora che il tempo è abitato dal
vero.
Sonia Giovannetti
Distacco
Pista morbida di voli e approdi
la superficie delle tue ginocchia.
Magico tappeto, da cui senza timore
ci libravamo in cieli arcobaleno.
E tu pilota mi facevi volare.
S’innalzavano le nostre fughe
e vuoto suolo lasciavamo a terra.
Sfiorando pavimenti di sole
invisibili ad altro sguardo,
complici atterravamo.
Impugnando le forbici della ribellione
e del contrasto,
l'adolescenza mia: fili recise.
Dal cielo l'aquilone cadde
dal vento trascinato.
Sopra un asfalto di realtà impastato.
Come uccello morto giacque.
Né più volò,
né tu con me,
né io con te.
Seppure sappia,
Padre,
che insieme
noi ancora voleremo!
(da Fiore di Loto)
Serenella Menichetti.
Un
istante prima
A mio padre.
Quel
giorno il sole bruciava
l’erba
assetata di piogge
che
dissolvono l’afa
negli
spazi del cielo grigio,
e le
ombre s’incontravano
lungo
linee diritte
a
disegnar paure di antichi anfratti.
Fu il
solco che separò
la
notte dall’alba,
pagine
bianche di un libro
già
scritto ma non letto,
oltre
la luna il sole si nascose,
ed il
grano cessò di maturare
per le stagioni distorte
e
s’arrese alla gramigna risorta;
forse
lo sgomento
del
futuro già presente
svelava
realtà concepite
nelle
notti d’inverno,
sotto
coperte intrecciate
di
lane grezze soffocavano
i
lamenti delle viscere,
ma la
mente si ribellava
ai
sogni infranti,
quasi
il domani s’allontanava
lungo
argini indefiniti,
l’acque
che bevevo
erano
lacrime mie.
Un
istante prima
di
gridare il mio nome
stringesti
forte la mano
a
legare per sempre
le
radici col tempo infinito
nel
silenzio dei fiati delle pietre.
Pietro
Catalano
Sonnambulismo
del cuore
a mio padre, Sergio
siamo dentro un improbabile mattino
c'è il sole e il cielo è più che azzurro
la svolta è là a un passo di cane
un ciuffo d'oleandro fiorito di rosa
s'intravede con la coda dell'occhio
mio padre guida la sua centoventisette
sono sul sedile di dietro e vedo la nuca
reclinarsi e tutto si ferma all'istante
chiedo se si senta bene o che cosa sia
ma lui riprende a guidare lentamente
è solo un barlume di follia a svolgere
la pellicola di un déjà vu mai stato
è solo l'emergenza di un sogno
mio padre è già morto da circa dieci anni
e la probabilità che io ancora non lo sia
è tutta scritta nel sonnambulismo del cuore
Maurizio Soldini
Padre
Il dito mi puntavi fra le stelle
o ad inseguire nomi
aguzzi di montagne.
E vola vola vola
regina dei giganti sulle spalle
Tra ciò che mi e' rimasto
e che non perdo
un orsacchiotto
con un occhio solo
il sole oltre la pioggia
in ogni giorno
la ruga sulla fronte
quella nostra
e l’ascoltare il mondo
rapiti
mordicchiandoci la bocca
ed ogni conquista nuova
da strappare
ridendo a capofitto
per la china
come l ultima goccia
amara e dolce
lasciata apposta
tutta da rubare
in fondo alla tazzina.
Anita Menegozzo
Non
del padre…
Non del padre che è sempre disponibile,
non di quel padre vorrei che parlaste.
Se dovesse capitarvi, figlie mie
parlate del padre di tutti i giorni
perché voi non mi avete scelto
vi è toccato in sorte di avere me
come padre:
un uomo impreparato ad accogliervi,
ma pur sempre un uomo vero.
E oggi, che di me conoscete forza,
debolezze, valori e pecche
non pensate che sia stato per errore o per incoscienza
che siete venute al mondo,
il vostro vivere
non è frutto d’egoismo…
Così, sciogliete lentamente
poco a poco
quei legacci che ci uniscono
prendete il volo, andate per il mondo
con l’unica educazione che ho saputo darvi.
Vedete, un padre non sa perché fa figli
però deve insegnargli a vivere una vita tutta loro.
Per questo credo che il più bel dono,
se un giorno scriverete una poesia al
padre,
sia che non parliate di me
ma che esprimiate la gioia di sapere
che c’è qualcosa in voi, che vi rende
uniche.
Claudio Fiorentini
Guida i miei passi
Guida i miei passi - ti
chiesi
fino a che piegare io possa
con l’anima libera da rimpianti
e vili suppliche
le lunghe ali d’ombra
i contorni perderne
nella dissolvenza dell’alba
presto - ti chiesi
- fai presto
le lame del cancello
tagliano il mare d’erba
e il suo possente smalto
che legati ci tenne
sì da impoverire la lista della sorte
travasa il tuo respiro
che l’aria cruda infuria
fa che dal lungo torpore
un grumo di calore
o la fiamma d’un cero
ravvivi il bosco inquieto
rapaci esangui afferrai
con mille mani
è tardi - mi dissero
(fradicio giorno!)
di là del vano indugio
oltre il passivo freddo
sopra cunicoli
e sull’ingorda terra
(suprema contraddizione)
alto si gloriò il sole
col viso nella polvere
passo su passo
m’allontanai
tra soffi di gelido tepore
scivolai lieve da chi
- pur se in vita -
al mondo tace
al tuo sguardo - padre
che l’infinita aurora sfiora
-
promisi
alcun verme si nutrirà
del bulbo di asfodelo.
(dalla silloge “SINESTESI (grida
e silenzi)” pubblicato nel 2008 dalla Bastogi)
Emma Mazzuca
Lettera a mio padre
(A più sereni cieli)
Ora che più
manchi/ più non manchi
e la tua memoria a
quest’ora
s’intride di luce
Anche qui, tra la
folla/ intossicata di vita
vocii richiami
applausi
mi tieni compagnia
Più presente di
quando/ al mattino
ti alzavi già
stanco e soffermavi
la mente/ prima
d’iniziare il giorno
Chissà com’è ora
il tuo giorno
che non sia
un’andata senza ritorno
un sonno privo di
risveglio
Qui nell’aria una
strana dolcezza
e non è certo
tutto quel che resta
e mentre
la calma acqua del Fiume/ continua a incorniciare la città
ho in me il tuo
abbraccio/ astratto, ma non per questo meno caldo
Sei tu che più non
soffri/ caro
o il ricordo di
te/ a rifiorirmi dentro
senza addio?
Ora che ti so
quieto/ adagiato sulla parte di me
che t’appartiene
ritorno
bambina, fresca e fragile
a
scrivere “padre mio, ti voglio bene”.
(Da "I Quaderni dell'Ussero - Valeria Serofilli",
puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2014)
Valeria Serofilli
Letter to my Father
(in skies more serene)
(in skies more serene)
Now that you are more missed/you are not missed
And the memory of you at this hour
Is steeped in light
Even here, amidst the crowd/drunk with life
Shouts cries applause
You keep me company
More present than when/in the morning
You arose tired already and stilled
Your mind, before starting the day
Who knows what your day is like now
May it not be a leaving without a return
A dream without waking
A strange sweetness here in the air
And certainly it is not all that remains
And while the calm water of the River continues to frame Pisa
I have your embrace in me/abstract but not less warm because of it
Is it you who no longer suffers/dear
Or is it the memory of you/that re-flowers inside me
Without a goodbye?
Now that I know you quiet/at ease on that part of me
That belong to you
I once again become a child, fresh and agile
To write, "My Father, I love you."
(Traduzione in inglese di Emanuel Di Pasquale da "I Quaderni dell'Ussero - Valeria Serofilli", puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2014)
And the memory of you at this hour
Is steeped in light
Even here, amidst the crowd/drunk with life
Shouts cries applause
You keep me company
More present than when/in the morning
You arose tired already and stilled
Your mind, before starting the day
Who knows what your day is like now
May it not be a leaving without a return
A dream without waking
A strange sweetness here in the air
And certainly it is not all that remains
And while the calm water of the River continues to frame Pisa
I have your embrace in me/abstract but not less warm because of it
Is it you who no longer suffers/dear
Or is it the memory of you/that re-flowers inside me
Without a goodbye?
Now that I know you quiet/at ease on that part of me
That belong to you
I once again become a child, fresh and agile
To write, "My Father, I love you."
(Traduzione in inglese di Emanuel Di Pasquale da "I Quaderni dell'Ussero - Valeria Serofilli", puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2014)
Ritratto del Padre
Sul
pianeta Mercurio c'è un cratere
quello di Dürer e negli Uffizi
olio su tavola il ritratto del
padre
a mezzo busto girato di tre
quarti
verso sinistra sfondo buio
colbacco di pelliccia una
maglietta scura
e una casacca viola larghi
segni sul viso
la quieta coscienza
ora provi tenerezza nel
guardare la figura
ti fa sentire più sicuro
ora sai quanto è difficile
parlarne
qui
per fortuna non ti chiedono parole
nemmeno di raccontare te
stesso
così non hai bisogno di
traslare storie
di un padre che sentivi come un salvacondotto
e di un figlio sedotto dalla
ribellione
contrapporsi scindersi tenersi
fuori separati distinti
nessuno slancio da parte sua a
svelare l'anima
forse se stesso rivedeva nel
figlio
era un suo diritto
nessun si sentirà di
biasimarlo
una volta i padri erano fatti
così
apparteneva il sentimento al
pudore
ritenevano giusto esercitare
la patria potestas
nessuna mancanza di generosità
adesso rimpiangi le tensioni
di allora
vorresti che tornasse
la sua mano il suo sguardo
volgesse
su di te perché
ora sai obbedire
e tutto ti appare rispettabile
ma in quel tempo bramavi
quanto c'era di aspro di
ribelle
non lo
amavi abbastanza
Lui suonava il clarino e tu
agognavi il pianoforte
l'Andante per corno e piano
concepito da Richard Strauss
non
sapevi a vent'anni che era un dono
del
giovane compositore al proprio genitore
eppure era stato lui a
guidarti
sui primi gradini delle scale
dei suoni
nei suoi momenti preziosi
sospesi sopra il mondo
attraversato
dalla tua impazienza
Fatica
il figlio ad entrare nel tempo
da
quando il padre non c'è più
e non
c'è nulla che possa bilanciare
il
tempo profano avaro di questa vita.
Ubaldo
de Robertis
Caro
papà
Com’eri
piccolo e indifeso
in quel
letto d’ospedale,
caro papà
mio...
Io la mano
ti stringevo
e un
freddo ghiaccio
ricevevo
e ti
dimenavi
in quel
letto...
il tuo
respiro
affannato
e la tua
mamma
sì, mamma
tu
chiamavi,
una sola
volta,
poi l’ultima... basta...!
9 febbraio 2011
(Emanuele Marcuccio,
Anima di Poesia, TraccePerLaMeta
Edizioni, 2014, p. 31. Menzione dʼonore al 2° Concorso Letterario Nazionale “TraccePerLaMeta”
(Recanati, 10 maggio 2014)
Emanuele Marcuccio
Padre, non t’odio
Via delle Volte
gioco di poche luci e molte
ombre
tra gli archi acuti e i rivellini
a vista,
strada da sempre di rubati
amori
nelle stanze nascoste dove
s’ode
soltanto il passo di un
furtivo amante
risuonare guardingo sul
selciato.
Si struscia un gatto sopra un
paracarro,
un’anta di finestra s’apre
appena ...
Via delle Volte silenziosa
vena
d’una città che affonda nel
passato.
Di fronte la gran torre a
protezione
da orde sconosciute di nemici,
via Capo delle Volte proprio
dove
qualche casa intestata era a
mio padre,
mio padre
per il doppio cognome che io
porto,
mio padre
per i tratti somatici del
volto.
Per il resto estraneo
anfitrione
alla mia mensa, non una
carezza
un saluto, un piccolo ricordo,
già pronto per un soldo a
rinnegarmi.
Padre, non t’odio e non ti ho
mai odiato
in quanto ciò presupporrebbe
amore
ma la parte del borgo in cui
vivesti
mi è invisa più di aspide
nell’erba.
Altre fonti mi hanno dissetato
altri lumi mi hanno dato luce
altri soli mi hanno riscaldato
e se un giorno un mio piccolo
vessillo
sopra un pugno di terra
sventolasse
d’altri avrebbe l’impronta e non la tua.
Carla Baroni Parmiani
Sulla soglia
Non so dire con parole
quel che per me sei stato
e quanto ti ho cercato
quando sono scappata
ora che sulla soglia
Non so dire con parole
quel che per me sei stato
e quanto ti ho cercato
quando sono scappata
ora che sulla soglia
tormentata dal vento
mi sai incutere insieme
mi sai incutere insieme
timore e tenerezza.
E tutto sembra adesso.
So che vorresti andare
per non dover subire
Il vuoto indescrivibile
E tutto sembra adesso.
So che vorresti andare
per non dover subire
Il vuoto indescrivibile
lasciato dalla mamma.
Non vale a confortarti
che il tempo é un'illusione
e che la vita é oltre. Ti resta
che il tempo é un'illusione
e che la vita é oltre. Ti resta
quell'immagine di lei
Sempre presente
tanto diversa da me
così inquieta e sfuggente.
E non puoi sopportare
che proprio lei sia andata
tanto diversa da me
così inquieta e sfuggente.
E non puoi sopportare
che proprio lei sia andata
quasi in punta di piedi ...
Ti prego di restare
ancora per un poco
fingendo che sia ancora tuo il momento
fingendo che sia ancora tuo il momento
in cui bambina ti correvo incontro
con la fiducia assoluta che in te avevo.
Comunque un finto tempo
con la fiducia assoluta che in te avevo.
Comunque un finto tempo
per poter ripensare l'infinito
come quel" nessun dove"
"dove " - puoi starne certo -
La mamma è lì che attende.
Anche se non ha senso
Anche se non ha senso
l'attesa senza il tempo...
Ma siamo sulla soglia.
Ma siamo sulla soglia.
Giusy Frisina
Nel nome del padre
Nel nome di mio padre è il mio
sorriso,
nel nome suo vi stringo forte
al petto;
lui vi direbbe “Entrate!” con
affetto
donando la sua gioia ad ogni
viso.
Nel nome suo, ogni giorno,
pianto e riso
ricorderanno al mondo quel
progetto
di pace, libertà, fede e
rispetto
che con passione e amore ha
condiviso.
Nel nome suo risplende la
bellezza
dell’arte che si fonde al
sentimento,
dell’anima che abbraccia la
purezza.
Nel nome suo mi è dolce ogni
momento
e nel suo nome scopro ogni
certezza.
Perché lui vive in tutto ciò
che sento.
Paolo Buzzacconi
La via del paese vecchio
Mio padre avvolto nel cappotto scuro
passeggiava con me
lungo la via del paese vecchio
quella che guarda il mare
distante
in fondo all’orizzonte verso nord
e c’era aria d’infinito in giro.
Dal colle si vedevano lampi
in lontananza
scendere sull’acqua
fulmini che ancora balenano
sulle nostre vite in attesa del sole.
Da Uno
squarcio di sogno di Daniela
Quieti (Tracce 2010 Collana Anamorfosi, Prefazione di Aldo Onorati, Introduzione di Ubaldo
Giacomucci, Postfazione di Giulio Panzani).
Daniela Quieti
Come un pulsare lento
Annotta l’ora sulla tua veste
buia,
l’ora dice il ritorno... hai
staccato
il biglietto del viaggio,
lentamente
varcando i cancelli, la soglia
del nulla
fin dentro le ossa
ed io tendo le mani scavando a ritroso
relitti d’ombre sul cuore
come a fermare i pensieri
sul volto tuo che improvviso si volge
verso il ritratto
che ancora abbozzo a memoria
come un sacrario d’ossa, un
tempio
franato nel fondo
e mi porgi le corde che legano
gl’istanti:
un pulsare lento che distilla parole,
gocce lucenti sul tuo corpo eretto
come un menhir totemico
che trafora il buio,
che rimescola tutto e infine
svapora
in una radiazione più lieve
fin oltre l’orizzonte,
nell’astratto.
Marisa Papa Ruggiero
La sedia di mio padre, tornato
dall’ospedale
Una
sedia nuova
braccioli
fermi e schienale impettito
cuscino
imbottito
una
sedia sempre un po’ storta
come
se avesse fretta
di
scappare con le sue gambe
una
sedia per amore e per destino
una
sedia per il riposo
d’un
guerriero ormai stanco,
un tramonto meraviglioso.
(Da I
segreti dell’universo, CFR 2014)
Nadia
Chiaverini
Sapessi, padre
Sapessi, padre, quanto ti ho cercato
col cuore trepidante di
speranza
e quante volte il pianto ho
soffocato
fra silenziose mura di una
stanza.
Le melodie che mi porta il vento
m’aiutano, talvolta, a trovar
pace
e si lenisce un poco il turbamento
mentre, la notte, sento la tua
voce:
“Sono
qui accanto a te. Come potrei
essere per un attimo distante?
Io sono il TEMPO. Non ti
lascio mai.
Pur se non puoi vedermi, sono
ovunque.
Nel NULLA ti trovai e con dolcezza
ti presi fra le braccia, figlia
mia.
Il vento fu la prima tua
carezza
e poi nel vento tu volasti via
fra le stelle del cielo o per le strade
di questa valle greve di
dolore
o nel fascino arcano delle
fiabe
per vivere le storie tue
d’amore.
Ogni momento ti sarò vicino
finché nel NULLA tu farai
ritorno
e guiderò, tenendoti per mano,
i passi tuoi finché avrà luce
il giorno.”
Maria Ebe Argenti
A mio padre
Stanno cambiando le foglie,
il bosco ha nuovi colori,
i ciclamini perdono i fiori,
le mimose si sfaldano nel
vento.
Tu hai qualche nuovo segno,
ombre care sotto lo sguardo,
resti di tenero argento
un po’ lento… per il caldo?
Un’altra stagione insieme,
il Dio dell’amore la concede:
stringi le nocche screpolate,
trattieni i dolori ormai
scontati.
Sfogliamo le nostre storie,
resto certa di averti accanto,
sai quanto ho sempre voluto
restar nel bene e nel male al
tuo fianco.
Stanno tornando le rondini,
il cielo, un acquarello in
fieri,
la vita presenta i suoi conti
noi, caldi di rabbia,
stringiamo i pugni.
Maria Rizzi
Preghiera al Padre
Vorrei essere
mite, come i paesaggi d’acque
che
consapevolmente hai tanto amato.
Vorrei essere
forte come il fuoco dell’officina,
quotidiana fatica
col quale hai convissuto.
Vorrei essere
generosa come gli inverni di neve,
di silenzi laboriosi
che per te gioivano.
Vorrei essere
silenziosa senza impoverirmi di parole
di cui come te
sono ingorda e innamorata.
Vorrei
salvare la compassione, di cui sei stato maestro,
senza stolte
inutili false indulgenze.
Vorrei amare, fare
voti come se ci fossero dèi,
risposte
certe, sogni ingenui come i tuoi.
Vorrei avere una
casa, una chiave tutta nostra
e te qui con me
per riempirla di felice senso.
Vorrei sognarti,
padre, sereno come quando
mattiniero
andavi ad erpicare, in solitudine…
Vorrei rivederti,
padre, felice, in un giardino a primavera,
scialo inutile
immotivato di luci e di colori.
Vorrei essere
terra in attesa, acqua che scroscia,
vento carezzevole
e bizzarro, indelebile carezza.
Vorrei perdonarti,
Padre, che troppo presto ho perduto,
del non accordato
permesso di andartene.
Mi sento vela
sbandata e cerco inutilmente il mare,
esausta pellegrina
senza spiaggia né approdo.
Ti penso guardando
le eterne onde che vanno e vengono
stanche e
gioconde, illuse di qualche senso di vita
Maria Grazia Ferraris
A mio padre
Ti ho visto soffrire in
silenzio
E morire pregando
Volevi entrare nell’altra
dimensione
Senza tristi lamenti
Ti ho visto morire
Così come eri in vita,bello e
sereno,
nulla chiedesti alla vita
se non un sogno famigliare
sei stato accontentato.
Ti ho visto morire
Coraggioso e fedele.
Ora spiega cosa vedi
dall’altro lato
A noi che non ti imitiamo
Ti ho visto morire,uomo vero,
e sulla dolente lapide il mio
sorriso
Flavio Vacchetta
Passaggi
Mio padre, stanco la sera,
con la schiena adagiata allo stipite dell’uscio,
al chiarore della luna nella quiete,
elargiva in dono ai miei anni vivi dettami di vita.
Impartiva alla mia coscienza, intatta allora,
il suo modo
giusto di vivere da uomo
con un amore che solo al ricordo mi commuove,
perché domani, sperava, facessi altrettanto.
“ Ama la vita, mi diceva, tutti e tutto,
la famiglia è sacra, tanti amici onore,
e ricordati che il perdono ti fa migliore e giusto,
il lavoro una benedizione e totale deve essere
il sacrificio per il tuo domani, per la casa e i
figli.
Divenne un rituale cui facevo fatica
tendere l’ascolto ogni sera
canzonando ogni dire tra me e me
di quei canoni astrusi al mio tempo di fanciullo.
Scivolarono d’incanto quei giorni e gli anni,
mio padre da tempo mi guarda dall’alto
e nel ritrovarmi anch’io con la prole
scopro che è pure fatica sedare di questi
il vivo del mio sangue fatto nuovo;
impartire stanco dopo cena, con la TV accesa
e il calore radiato fino al quinto piano,
massime e segreti perché domani anche loro
- figli senza
piume ancora nelle ascelle –
sappiano del giogo che li attende.
Ma
spesso eluso dagli eventi, dai miei simili deluso,
dopo aver messo quei dettami alla prova,
mi
faccio alieno ad ogni cosa,
e
nel guardare negli occhi i miei figli
che
hanno voglia di vivere e scoprire
(come
al mio tempo irripetibile)
non
so, non so proprio cosa dire.
Pasqualino Cinnirella
I Padri
Ci possono insegnare molte
cose i Padri,
cose che non hanno significato
compiuto
ma solo comunicazione emotiva,
hanno una dimensione teatrale,
cui aspiriamo o che
rifuggiamo.
Ah! Se potessero esistere
solo se li avessimo amati,
se loro ci avessero amato!
Non sempre offrono la mano
e aiutano ad attraversare
boschi oscuri,
ti accarezzano, spesso, con
tra le dita aghi pungenti.
Raccontano storie che
scricchiolano,
sono aironi con ali spezzate
che non sono in grado
né di volare alto in azzurri
cieli,
né di planare su pianure
erbose e fresche.
Abbiamo bisogno del loro
calore,
ma essi stessi non sanno come
scaldarsi.
Poveri Padri temuti ed odiati,
deboli Padri che ci hanno
deluso.
Padri che ci hanno spinto
fuori dal tepore della tana,
ma non ci hanno insegnato
strade nuove e sicure.
Pochi di loro conoscevano la
verità
e rispondevano al cenno della
nostra mano,
mentre ci allontanavamo.
Noi, figli, siamo quello che
i loro pensieri hanno
stampato.
Ivana Tata
Ode a
te, O padre
Ode a
te, O padre,
in
nome dei denti che tu sai,
del
setto deviato,
del
manubrio sganciato di bici nel roveto,
della
corteccia di ciliegio che da figlio dabbasso ammirasti,
in
nome della mano santa di madre che ti diede prontezza
quel giorno sul
ponteggio,
fra i capelli tuoi
ricci di selvaggia giovinezza
che mia madre amò
senza incertezze
con potenza di mare,
Ode a
te, O Padre,
io
riccia, marittima, roveto, ciliegia.
Aurora De Luca
di
padre in figlio
di padre in figlio s’ereditano
certe qualità, mentalità, ch’è un fatto di eternità
di padre in figlio s’ereditano
certi vizi e sollazzi, ch’è soprattutto un fatto di dna
stavo costatando che di padre
in figlio si fanno anche certe grosse scemità,
che lì è davvero sempre,
sempre questione di avidità, atrocità, terribili verità
e invece a dispetto di tutto,
di padre in figlio c’è chi esporta giusta moralità,
responsabilità, normalità e
molta, molta diversità che fa più bene, passarla lì
per le vene, nella lotta dei
cromosomi, le varie opportunità di essere come lui,
e nello stesso tempo e con lo
stesso rispetto di diventare proprio diversi da lui,
quando tutto ciò è soprattutto
per una sostenibilità fisica, degli stessi occhi,
stesse mani, stesse
sopracciglia, stesse allergie o per una sostenibilità mentale,
stessa delicata forza, stessa
solidità, stessa voglia di lottare e di lavorare
ch’è soprattutto un fatto di
rivalità, pensare che di padre in figlio succede che
certe generazioni si muoiono
le vecchie nelle nuove, e che continui la vita
senza o con bancarotte fraudolente con eredità di gestualità, meraviglie
dell’umanità, di padre in
figlio si commettono tante voracità di vedute,
e scarsità di sguardi,
nascosti sotto veli, avvolti da crocifissi, ma anche
quando non c’è proprio niente
di così grande da trasmettere, cioè nessuna
questione da spiegare la
funzionalità di certi massimi sistemi, allora lì
proprio qui, c’è un sorriso,
lo stesso misto a una lacrima che non ti lascia mai.
Ambra Simeone
Partire
alla ricerca del padre
Un
viaggio mi aspetta, lettore,
verso
lidi che non conosco.
Non
so come io sia giunta sin qui
dove
nulla mi sorregge
non
il mare, non la terra
non
dunque una qualche “verità”
quanto
piuttosto la menzogna dell’inchiostro
traccia
fili sottili in nodi di pensiero
a
tenere stretto un legame
come
una gomena tiene
al
molo un natante, così sciolgo
la
cima dei dubbi, uno alla volta.
Non
il mito sorregge la mia passione
quella
che parte dal nome, padre,
né
evita o lenisce gli ostacoli riemersi.
Dal
nome cerco il senso andando
nella
direzione dei venti. E parto.
Giuseppina
Di Leo
Lettera a mio padre
Non fosse altro
che per il cromosoma eletto
per me scelto
che ti sono grata, padre.
Mi hai voluta femmina
e femmina in tutto sono stata.
Sempre a cercarti
nei miei voli alti di
farfalla,
vestirti a festa,
sotto le ali confonderti nei
tratti.
Scovare in altri amori
parole e forza che pensavo non
avessi,
scoprire solo adesso il senso
del disegno.
Non era in te, padre, il
difetto.
Correre allora ad inseguire il
tempo,
quel poco che rimane
per prenderti la mano.
Ora ti prego
non farti in fretta
figlio,
è nell’anima tua bianca
che tanto, ti assomiglio.
Annalisa Rodeghiero
Il tuo ricordo
Esiste un silenzio fatto di
ricordi,
ricordi che ci accompagnano,
nei giorni legati con
l’eternità.
Mi piace raccontare di te
Padre,
adesso che sei un angelo,
posato sulla mia spalla.
Leggero volasti via in una
notte
silenziosa, in quella
solitudine
tua fedele compagna di vita.
Mi consola pensare che i tuoi
occhi
passarono nel sonno il piccolo
varco,
senza l’ultimo battito di
ciglia
Quando ti raggiunsi eri solo
aria
la crisalide vuota giaceva
serena.
Ritorni spesso, il tuo ricordo
mi accarezza i grigi capelli
avvolto nel tuo sorriso,
quel sorriso che regalavi
spesso
nei sussurri delle tue parole
spesso dicevi "devi avere
pacenzia"
per comprendere la vita.
Quel tuo sguardo
compassionevole,
lo avverto osservarmi in
silenzio.
Adesso, vai nel campo del
Signore
a spasso con i tuoi segugi,
e senti il profumo dei fiori
che circondano i tuoi passi,
in quel campo vorrei ritrovare
il tuo sorriso e il tuo
abbraccio paterno.
Vieni a trovarmi ancora nei
miei sogni.
Francesco Casuscelli
Foresta spoglia
“Ninna nanna
nanna bella
tesoruccio di papà
Ninna nanna
nanna dolce
la mia bimba
ora farà…”
Così intonava
per destar Morfeo
e l’esercito suo
di sogni.
Cullavan le
parole
un
abbraccio d’amore,
accogliente
rifugio
alle
intemperie
d’un mondo
ostile.
Fioche luci
s’accendono
su ingenui
ricordi,
poi
svaniscono,
radi,
come
foresta spoglia
a primavera.
© Giorgia Catalano
A
mio padre
I ceri silenti
nella vuota Cattedrale
piangono lacrime roventi
sui calici dei candelabri
per te e per me,
unica, vana speranza
di un impossibile legame
tra la vita e la morte
nell’assurdo delirio
che la tremula fiammella
possa illuminarlo
nella via dell’Eterno.
Null’altro ci resta
se non il ricordo
di una vita passata
e l’angoscia
di una verità negata.
Claudio Vicario
I miei complimenti al patron, l'amico Nazario, e a tutti gli Autori.
RispondiEliminaRitengo che sia una bella antologia. Si faccia avanti un editore per l'edizione cartacea.
Cari saluti
Maurizio Soldini
Caro Maurizio Soldini, mi vien da pensare che il tuo appello per un Editore che dia ancora credito alla Poesia, non lo troveremo mai più. Ma chi vuoi che s'interessi più della parola "reietta"? parola in uso e fortemente richiesta è: D.D (Dio Denaro) utilitarismo che credo non faccia più rima con nient'altro che con UTILITARISMO. Grazie per l'auspicio, ma siamo fuori tempo e luogo. Un abbraccio.
EliminaNinnj Di Stefano Busà
Mai dire mai...
EliminaÈ vero quel che dici, ma non tutti gli editori sono così.
Un abbraccio a te
Maurizio
L'ottimismo come la speranza sono duri a morire: meglio vivere ignari e ignavi. La vita di domani non ci restituirà il messaggio poetico come nel passato, ma noi faremo da baluardo xché non si esaurisca il seme che lo trasferirà al futuro. Auguri a tutti i partecipanti all'Antologia, che la Ns. grande "anima " letteraria: Nazario Pardini che ha saputo cogliere nei suoi più intrinseci significati, il valore di un testimonial alla futuro memoria della Letteratura. Un GRAZIE immenso vada al suo volontariato culturale che merita il ns. migliore elogio.
EliminaNinnj Di Stefano Busà
è un onore far parte di questa bellissima squadra! Grazie Nazario per questa iniziativa!
RispondiEliminaClaudio Fiorentini
Grazie ugualmente, Nazario!
RispondiEliminaGiorgina Busca Gernetti
Non ne ero stata avvisata da nessun messaggio, oppure invito per mezzo degli "Eventi" di FB o Bando o altro mezzo di comunicazione. Peccato, perché il tema del Padre è essenziale nella mia vita e quindi nella poesia. GBG
EliminaGrazie, ugualmente, caro Nazario!
RispondiEliminaGiorgina Busca Gernetti
Far parte di questa superba antologia poetica è la risposta a me stesso che i lunghi e laboriosi decenni di fare poesia non sono passati invano. Grazie Prof.Pardini e Grazie Pasquale. Auguri a tutti gli autori. Mi auguro, dopo tale esperienza più che positiva, che venga riproposta con cadenza a medio termine perchè più approdi avvengano sullo scoglio di Leucade. Pasqualino Cinnirella
RispondiEliminaUna intensa antologia, ricca di emotività che esonda dai versi fin dentro ai nostri cuori. E' un immenso piacere essere parte di questo splendido progetto. Grazie Prof. Nazario e complimenti a tutti gli autori.
RispondiEliminaUn caro saluto
Francesco
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RispondiEliminaBellissima iniziativa! Ottime le introduzioni di Balestriere, Ruffilli e Pardini. Ritrovo molti miei amici stimati e antologizzati: Spagnuolo, Balestriere, Pardini, Vicaretti, Soldini, Serofilli, De Robertis, Marcuccio, Caso, Cerio, Menichetti, Ruffilli, Papa Ruggiero, Chiaverini, Ambra, la mitica Giusy Di Leo. Molte voci che non conoscevo, tutte apprezzabili; alcune voci che conoscevo, meno apprezzabili. Ringrazio Nazario di non aver indirizzato la mia attenzione sul CFP del 6 Gennaio: con i miei modi di scrittura, difficilmente avrei recuperato i rapporti col mi' babbo. Bravi tutti (esclusi due/tre)! un abbraccio a tutti (tranne due/tre) :-) Ivan
RispondiEliminaStupenda antologia poetica dedicata ad una figura da rivalutare attentamente nella cultura attuale. Le introduzioni sono formidabili, i testi emozionanti e gli autori molto significativi. Spero anch'io vivamente che si possa arrivare ad un'edizione cartacea. Un plauso a tutti, in particolare al capitano del vascello, babbo di tutti, il Prof. Nazario Pardini.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Caro Nazario,
RispondiEliminaè stupefacente l'interesse che il tema de "IL PADRE" ha riscosso fra i poeti di Lèucade, poiché la figura di un padre, nel bene o nel male, è sempre e comunque densa di significati importanti nella vita dei propri figli.
Complimenti, dunque, per questo bellissimo progetto, frutto dei geni tuoi e di Pasquale Balestriere, grazie anche agli ottimi interventi di Paolo Ruffilli, di Giorgio Linguaglossa e dei coro di tanti poeti.
Chissà come sarebbe la risposta di ciascun PADRE se, dal luogo in cui si trova, potesse rispondere!
Cordialmente.
Maria Ebe Argenti
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RispondiEliminaLe poesie pensate per gli affetti più cari risultano spesso le più difficili da scrivere. Si ha la sensazione che le parole scelte, mai risultino all'altezza del profondo affetto, del legame puro e sublime che unisce le anime in questione.
RispondiEliminaIl Prof. Pardini ci ha invitato a farlo e lo ringrazio di cuore per questa opportunità.
Onorata di essere Voce tra tante Voci amiche, porgo i miei complimenti a tutti.
Annalisa Rodeghiero
Grazie a Nazario Pardini e Pasquale Balestriere per aver ideato questo splendido progetto e per avermi concesso l'opportunità di farne parte. Un' antologia interessante, anche dal punto di vista sociologico. Poichè la lettura di questo bel panorama ci fornisce alcune chiavi per l'interpretazione del rapporto paterno, un rapporto a volte non semplice da comprendere, ma determinante ai fini della personalità dell'individuo. Sono sicura che se ben usata potrebbe essere un valido strumento educativo. Apprezzo molto l'introduzione di Balestriere. Interessante il dialogo a tre voci di Ruffilli, Linguaglossa e Pardini. Un ringraziamento a tutte le voci di questo coro armonico.
RispondiEliminaSerenella Menichetti.
Potrebbe essere la prima di altre simili iniziative su temi diversi per ritrovarsi insieme in un unico canto corale che nasce dall'anima per divenire poesia che, varia nei versi e nella musicalità, trasmette emozioni e sublimi stati d'animo.
RispondiEliminaGran bella ANTOLOGIA. Nomi preziosi, parole inanellate in creazioni di affetti e tormenti. Un CANTO PATRIARCALE che tiene e associa.
RispondiEliminaProf. Angelo Bozzi
tutte interessanti le varie visioni di poetica e di poesia sia degli autori che dei prefatori; è il bello di questo blog, Nazario, ti ringrazio per questo spazio di libertà, non è da tutti serbarlo con tanta dedizione e attenzione, in altri blog succede spesso e purtroppo il contrario, che alcune voci (urli) cerchino di schiacciare le altre/gli altri, qui invece vige "una legge non detta" quella che garantisce la "diversità" come inizio e fine della scrittura.
RispondiEliminaCaro Nazario, è molto bello emozionarsi su una miriade di sfaccettature e immagini di poetiche diverse incentrate tutte su un unico tema. Una bella e ricca Antologia e grazie a te di tutto quello che fai.
RispondiEliminaEmma Mazzuca
Complimenti a Nazario Pardini e a Pasquale Balestriere per la bella iniziativa.
RispondiEliminaSì ch'io fui sesto* tra cotanto senno
Ubaldo de Robertis
* XXVIII esimo
La ringrazio veramente professore! Immagino che grande lavoro!
RispondiEliminaL'antologia in ogni caso ha un valore enorme, ha un tema immenso... La ringrazio per averci dato questa possibilità sublime di tirare fuori 'il padre'.
Temevo di non riuscire a scrivere nulla...poi le immagini che erano nella mia mente sono divenute parole, poi si sono distaccate dalla mia storia e sono divenute poesia...la mia poesia è poesia di pensiero!
Grazie per questo percorso nuovo che ho potuto sperimentare!!!
La abbraccio,
Aurora De Luca
Purtroppo nella realtà quotidiana la figura del padre sbiadisce piano piano ed i ricordi diventano nebbia impalpabile , nel mentre la memoria vorrebbe scolpire ancora una volta gli affetti che sono stati cardine. Ora che sono vecchio , vecchio padre , comprendo le mancanze che ognuno di noi lascia scorrere negli anni della gioventù e mi rammarico che non posso andare a braccetto con quell'uomo che forse avrebbe voluto il mio sostegno e non lo ha detto. Bravo Nazario ! Questa antologia illumina gli intelletti e dona pagine di tenerezza. Veramente sarebbe cosa buona un'edizione cartacea da distribuire a mille a mille ai giovani di oggi...Grazie - Antonio Spagnuolo
RispondiEliminaMi aggiungo, con tanto piacere, alle voci degli altri poeti e poetesse ed esterno a Nazario il mio riconoscente compiacimento per l'operazione alla quale - insieme a Pasquale - ha voluto dare vita.
RispondiEliminaOltre agli autori/autrici delle pregevolissime poesie, il mio plauso va anche ai curatori degli interventi prefativi, di sicuro e costruttivo impegno.
Concludo auspicando - come è stato detto - l'interessamento di qualche Editore alla realizzazione dell'opera cartacea.
Sandro Angelucci
I nostri padri, le nostre radici.
RispondiEliminaNoi. i tronchi i rami e le foglie
che insieme vanno verso il futuro.
Un grazie sentito a Nazario Pardini e a Pasquale Balestriere
Umberto Cerio
Che meravigliosa antologia! La figura paterna oggi è più che mai messa in discussione, ma dalle poesie emerge il sentimento profondo che lega ciascuno alle proprie radici. Grazie di cuore a Nazario (instancabile Ulisse) per essere in quest’isola felice, pregevoli l’introduzione e gli interventi che illustrano l’antologia. In ogni poesia si respirano sentimenti che appartengono a ciascuno di noi. Grazie a tutti.
RispondiEliminaPietro Catalano
Ho aderito con piacere a questa meravigliosa iniziativa proposta da Nazario Pardini, che ringrazio di cuore.
RispondiEliminaGiuseppina
Il Professore ha lanciato un appello al quale hanno risposto voci di ispiratissimi Poeti. E la figura del padre ne é uscita in tutta la sua completezza.Un'Antologia d'Amore e di valore, che potrebbe divenire divulgata se un editore ne cogliesse il senso. Abbiamo bisogno di versi come questi. Di dimostrare che i nostri cari sono radici perenni....
RispondiEliminaVi abbraccio tutti, ammirata e, concedetemelo, l'abbraccio più grande va al nostro Capitano, il Professor Pardini!
Maria Rizzi
Un grazie infinito a tutti i partecipanti, che ci hanno guidato nelle stanze più intime del cuore e un sentito grazie agli ideatori e ai curatori di questa bellissima antilogia. E mille grazie, infine, al professor Pardini, sulla sua Leucade siamo tutti un pò meno soli.
RispondiEliminaPaolo Buzzacconi
E’ molto bello essere, con il piacere comune, “tutti insieme, in un canto a più voci, in vari stili e tendenze” sulla nostra “plurale e accogliente, grande” Lèucade. Il mio grazie per Nazario Pardini è, ogni volta, infinito; come è grande il mio grazie per i curatori di questa antologia, che mi vede presente. Ho attraversato ogni sentiero paterno che mi avete permesso di leggere e mi sono trovata a percorrere l’ampio spazio su cui si distende la forza di quelle radici che accrescono il senso del futuro.
RispondiEliminaSonia Giovannetti
Carissimo Nazario. Come sempre stupisci. Hai raccolto le voci più belle della poesia italiana attorno alla figura del "padre" allestendo, attraverso il tuo formidabile blog e in tempo record, una vetrina preziosa di magnifiche liriche. Una dimostrazione ancora una volta delle tue grandi capacità e del tuo insostituibile apporto di cultura e umanità. Grazie di cuore.
RispondiEliminaCarmelo Consoli
Ringrazio Nazario Pardini per avere inserito in questo valido contesto la mia lirica "Lettera a mio padre" con la traduzione in inglese del poeta Emanuel di Pasquale,già traduttore della Vita Nova di Dante.Complimenti a Pardini per la valida iniziativa letteraria.
RispondiEliminaValeria Serofilli
Una bella sorpresa per tutti voi dal grande professor Nazario Pardini: un'antologia online a tema: "Il Padre" cui hanno preso parte molti autori contemporanei da lui selezionati. Lo ringrazio pubblicamente, per avermi scelta. Una meravigliosa opportunità...
RispondiEliminaGrazie, Nazario.
Giorgia Catalano
Per amore di verità va chiarito che non è stata operata alcuna selezione ma sono stati accettati tutti i testi pervenuti e, a mano a mano, disposti nell'antologia secondo l'ordine di arrivo.
EliminaLa precisazione che fornisco, in qualità di collaboratore nell'ideazione e nella realizzazione dell'antologia, vuole essere una testimonianza della validità dei poeti che, in vario modo e in tempi diversi, hanno fornito a Lèucade il loro contributo di pensiero, di cultura e di poesia.
Pasquale Balestriere
Grato al Prof. Nazario Pardini, per accogliere anche me in questa Antologia poetica a tema, "Il padre". Buona lettura!
RispondiEliminaEmanuele Marcuccio
Fantastica idea e bellissimo risultato! Per me un onore unico, visto il prestigio dei nomi che ho trovato e un modo per imparare a migliorare nel confronto, ma anche un'occasione incredibile che magicamente mi è venuta incontro in un momento molto difficile della mia vita.Grazie infinite,Nazario,grande poeta e grande amico che mi sorprendi sempre.
RispondiEliminaBene, bravi, bis!, verrebbe da dire. E anch’io mi associo al coro di consensi che accompagna questa iniziativa del duo Balestriere-Pardini. Bello il tema del Padre, come peraltro conferma il nutrito numero di adesioni; interessante il ventaglio delle proposte poetiche. Con questa antologia, dice Pasquale Balestriere, Lèucade ha voluto offrire “un momento di visibilità collettiva a tutti i poeti che, in vario modo, sono legati a questo blog. Tutti insieme, in un canto a più voci, in vari stili e tendenze. Perché Lèucade è plurale, accogliente, grande. Perciò chi legge avrà davanti agli occhi un campionario di testi talmente variegato che gli sarà difficile non trovare rispondenze al suo sentire”. Parole misurate, chiare, direi ecumeniche; e, alla resa dei conti, perfettamente verificate.I numerosi commenti, poi, rendono un quadro d'insieme del tutto positivo: un'iniziativa molto ben riuscita.
RispondiEliminaRestano tuttavia defilate, e del tutto inesplorate, le questioni di fondo poste da due dei quattro prefatori.
La prima la pone Paolo Ruffilli quando afferma: “Non cerco l’empatia ad ogni costo e (...) forse questa neanche mi interessa. No, l’empatia non mi interessa”. E ancora: “Non scrivo poesia pensando al lettore o mosso dal desiderio di accattivarmelo”.
L'affermazione di Ruffilli non è contestabile, perché appare del tutto evidente che il poeta, nel momento in cui si accinge a scrivere, non lo fa con intento “utilitaristico” (fatta eccezione, forse, per la poesia celebrativa), ma egli scrive unicamente obbedendo al dèmone della poesia. Non si scrive per “accattivarsi” il lettore; se così fosse, si tratterebbe di una sorta di “corruzione” di tipo estetico-sentimentale nei confronti del lettore stesso, di una “captatio benevolentiae” del tutto strumentale e, per ciò stesso, poeticamente inautentica. E, tuttavia, questa non è che una delle due facce della medaglia. Se infatti analizziamo l'altra affermazione di Ruffilli, per cui “In fondo non mi pongo il problema di far partecipare l’altro, il lettore, al mio vissuto, ma solamente di manifestarlo, di pronunciarlo”, è evidente che l'assunto precedente (“l'empatia non mi interessa”) perde il suo smalto e il suo accento perentorio. Si entra infatti, per così dire, nella fase due della produzione poetica, quella cioè che caratterizza il “battesimo” della propria creatura artistica, e che coincide con il desiderio, come lo stesso Ruffilli dice, di “manifestare”, di “pronunciare” il proprio “vissuto”. E' vero che sarà poi il lettore, con una sua “scelta individuale, come una forza attiva decisiva”, ad entrare in sintonia con il poeta e che, quindi, “provvederà lui stesso [il lettore] a realizzare l'empatia”. Tutto vero, ma ormai, nel frattempo, il dado è tratto: l'empatia è esattamente come un vaso comunicante, nel senso che anche il poeta, avendo “sdoganato” la sua produzione (sia pure come “pratica esoterica” condotta tra gli addetti ai lavori, peraltro anch'essi, a loro volta, “lettori”) l'ha cercata. D’altronde, se così non fosse, perché si chiederebbero prefazioni e postfazioni, recensioni e note critiche?...
(Parte prima)
Umberto Vicaretti.
(Parte seconda)
RispondiEliminaLa seconda questione, posta da Giorgio Linguaglossa e intercettata da Nazario Pardini, riguarda la “forma della poesia”, questione già dibattuta qualche tempo fa sul blog “L'Ombra delle Parole”. Afferma dunque Linguaglossa, nel commentare la poesia “Ars Poetica” di Czesław Miłosz, che “Il punto centrale della riflessione sulla poesia viene introdotto subito nei primi versi: «una forma più capace», che non sia «né troppo poesia né troppo prosa». Una forma ampia, dunque, che consenta l'ingresso nella forma-poesia della forza rigenerante della prosa”. E continua: “Oggi non è più possibile né ragionevolmente concepibile scrivere in endecasillabi tonici come faceva il Pascoli o nelle forme artatamente chiuse in base ad un programma elitario ed olistico della poesia”. E, rafforzando il suo concetto, conclude: “La forma-poesia (…) deve essere «una forma più spaziosa» che consenta la ricezione della «prosa». Il futuro della forma-poesia è in questa direzione”.
Una forma “ibrida” di poesia, quindi; una forma capace di coniugare versi e prosa, e “che contemperi (…) la storia degli uomini e i piccoli fatti del quotidiano”. Si tratterebbe di una rivoluzione non solo estetico-formale, ma anche sostanziale e contenutistica.
Questa, in sintesi, la “provocazione” di Giorgio Linguaglossa. Ma se tale è l’assunto, le domande da porsi sono le seguenti: in che misura la poesia può essere “contaminata” dalla prosa, senza per questo perdere i suoi specifici connotati, senza cioè snaturarsi? E se, ad esempio, una “modica quantità” di prosa può consentire alla poesia di conservare i suoi elementi costitutivi, cosa avverrebbe con l’ingresso nella forma-poesia di una proporzionale dose di prosa? Si avrebbe quell’azione “rigenerante” nei confronti della poesia, oppure quella “forma più spaziosa” altro non sarebbe che un contenitore indistinto di parole prive ormai di ogni specificità e appartenenza? In sintesi, si vorrebbe una forma-poesia “liquida” e aperta, oppure una forma-poesia più rigorosa, ancorata ai parametri che tradizionalmente la contraddistinguono?
Non avrebbe dubbi, in proposito, Nazario Pardini: per lui la poesia è sonorità, sogno, passione, mito. E non può esservi, per Pardini, che poesia pura, classica, onirica, fascinosa e visionaria; per lui, ancora, la poesia è musica, metrica, brivido, emozione...
Linguaglossa-Pardini, due concezioni assolutamente antitetiche per ciò che riguarda la “forma della poesia”. Un bel “duello”, non c’è che dire.
Ne riassumo il senso proponendo questo dilemma: “Poesia in forma di rosa” (il rimando a Pasolini è puramente nominalistico...), oppure “Poesia in forma di (p)rosa”?...
Umberto Vicaretti.
caro Umberto,
Eliminami sento di rispondere (per quanto mi è possibile su di un blog, troppo lungo sarebbe il discorso) alle bellissime domande che hai sollevato soprattutto per la parte che riguarda il “dilemma prosa/poesia” (quello che ho studiato maggiormente) come lo hai chiamato, che è in realtà un falso dilemma.
La forma “ibrida” di prosa-poesia in realtà ha origini antiche: perché non pensiamo mai che per esempio l’epica è scritta in forma di poesia ma tratta di una narrazione?
Ecco, capovolgiamo il tutto, perché non potrebbe essere il contrario? ovvero una prosa che parli di contenuti poetici? ovvio che stiamo parlando secondo una dicotomia ormai passata di “forma e contenuto”, in quanto il messaggio è trasmesso da un “impasto” e senza questo impasto sarebbe illeggibile, ma in questo caso ne parlo solo per intenderci in qualche modo, altrimenti non ci capiamo.
Inoltre il poemetto in prosa ha origini antiche non è una trovata odierna, perché dovrebbe quindi essere un qualcosa di snaturato? comunque chi parla di “forma-poesia” o “forma-prosa”, come purtroppo fa lo stesso Linguaglossa, si attiene a macrotesti normativi datati e vecchi; in fondo la “norma” è appunto tale se il tempo gli dà ragione, ovviamente il tempo cambia e cambia di conseguenza anche la norma.
Ciò che linguisticamente succede dalla base, dai mattoni di un testo ovvero dalle “parole”, succede per tutti i macrotesti (poesia, prosa, romanzo, ecc. ecc) alcune spariscono dall’uso, altre cambiano nell’uso, solo quando si cristallizzano per un determinato periodo di tempo, allora diventano norma, per cui la norma è fissata solo dal tempo e dall’uso.
Ma questo è un periodo da un lato di “ibridazione” sociale e culturale, dall’altro di “controllo” di tutto, forse per esercitare un potere? che sia politico, sociale, culturale, critico, estetico? cosa c’è di meglio della regolarizzazione per ottenere potere? non a caso l’ibrido fa paura, perché è poco controllabile.
Ecco perché la norma continua ad oscillare, non possiamo tapparci gli occhi e credere che non esista questo pendolo, esiste e spero sia accettato per quello che è, e soprattutto studiato, analizzato, discusso.
Per quanto riguarda me poi, vorrei aggiungere che scrivo seguendo un mio respiro mentale, e penso che tutti gli autori lo facciano, per cui dentro un testo, c’è sempre un ritmo interno che lo segue.
Gentile Ambra,
Eliminaè vero, come tu dici, che troppo lungo sarebbe il discorso. Incardiniamo, però, la questione "forma-poesia" (e di pari passo l'altra, la "forma-prosa") nella giusta prospettiva. Fatta tale premessa, credo si possa convenire che tutto ciò che riguarda la parola, intesa come privilegiato strumento e veicolo di corrispondenza umana e sociale (ma anche politica, economica, religiosa, sentimentale, estetico-artistica...) è, semplicemente, "narrazione", sottendendo con tale termine la volontà di chi parla/scrive (come dice Ruffilli nella sua nota introduttiva, peraltro di diverso merito) di "manifestare", di "pronunciare" il proprio "vissuto". Pertanto la "narrazione", da questo punto di vista, è da considerarsi una sorta di comune denominatore di ogni "forma" di comunicazione e di corrispondenza. Ora, sappiamo tutti bene (anche senza per questo scomodare Jakobson, la funzione della lingua, mittente, messaggio, destinatario...) che la narrazione/comunicazione viene di volta in volta "adattata" al contesto di riferimento, viene compressa, manipolata, "piegata" alle diverse finalità della narrazione stessa. Ed è per questo che le diverse funzioni della comunicazione assumono "forme" specifiche. Di tali forme a noi interessano, qui, la comunicazione in "forma di prosa" e quella in "forma di poesia" Ed è qui che si pone il problema sollevato da G. Linguaglossa: se cioè è vero (e io aggiungo se è possibile, auspicabile, necessario, inevitabile...), che "La forma-poesia, come ci ha insegnato Miłosz, deve essere «una forma più spaziosa» che consenta la ricezione della «prosa». Il futuro della forma-poesia è in questa direzione.”
Su tale affermazione concentravo la mia attenzione, chiedendomi (e chiedendovi) se è possibile la commistione/convivenza/collaborazione, tra la "forma-poesia" e la "forma-prosa"; e chiedendomi anche fino a che punto, e in che misura, l' "ibridazione" di queste due forme può "funzionare", senza che la poesia cessi di essere poesia (nella "forma" codificata che ci è stata consegnata e che permane nell'immaginario collettivo), senza cioè perdere le sue specificità (verso, strofe, "a capo", rima, metrica, ritmo, suono, figure retoriche...).
Ciò detto, "narrazione" e "poesia" non possono rappresentare i due poli del dilemma, essendo la prima un contenuto cui assegnare una forma; mentre la seconda rappresenta una forma cui assegnare un contenuto.
Da questo punto di vista anche il poema e il poemetto, che tu porti come esempio di riuscito connubio e di felice "ibridazione" prosa-poesia, cara Ambra, non dirimono la questione, essendo quegli esempi (come d'altronde il sonetto, la canzone, l'ode, l'elegia, la canzone, la ballata, la lirica...) niente altro che "narrazione" in "forma" di poesia.
Per quanto mi riguarda, sono indotto a ritenere che la "forma più ampia" di una poesia che consenta la "ricezione" della prosa rappresenterebbe, sì, una "comunione di beni", ma, al tempo stesso, una comunione di fattuale "separazione di beni", essendo le due forme irriducibili (in quanto appunto "formalmente" diverse) l'una all'altra. E non so se un "matrimonio" del genere possa dare frutti e possa durare durare a lungo...
Umberto Vicaretti
Caro Umberto,
Eliminapremetto che il discorso si sta facendo molto interessante e ti ringrazio per questo. Detto ciò andando oltre il concetto di “forma /contenuto” come ti dicevo rimane come hai detto tu, una “narrazione” che io chiamerei, "comunicazione" in senso ampio (perché in senso stretto sarebbe appunto ritornare a forme come: poesia, articolo di giornale, prosa, romanzo, poemetto… che non sono passate ma che coesistono all’ibridazione, e questo è un fatto) qui il problema si risolve non risolvendosi, ovvero se si vede la comunicazione in senso ampio come il frutto di un ambiente e del suo tempo, insomma dello scambio comunicativo legato a società, cultura e storia, non ha senso chiedersi - ne converrai con me - se “l’ibridazione” di una forma comunicativa possa o meno avere futuro o successo, esiste ed è un fatto storico-sociale, e questo succede all’infuori di quel che ne dice Linguaglossa, ma all’interno di quel che invece dice Miloz. Questo per dire che le forme letterarie non prescindono dalla loro Storia e non possono essere astratte da essa e analizzate come fossero bacilli in un vetrino, o meglio possono anche essere analizzate così, e a partire dal microscopio, ma non certo limitate a questa prima analisi. Se si conferma che la forma ibrida esiste, perché cercare a tutti i costi di applicargli un giudizio estetico? perché pensi che non possa durare a lungo? Io non lo so, non ho la sfera magica… al massimo vedremo! :-)
poi pensandoci ancora su, vorrei aggiungere che il poemetto in prosa esiste ormai da diverso tempo già dall'Ottocento possiamo notare le prime mirabili prove, quindi la domanda riferita alla sua lunga o corta durata non è proponibile, forse quasi duecento anni sono pochi? o sono tanti per l'attestazione di un forma artistica? boh, e chi lo sa! considera pure che nonostante ciò non si sono scalfite né la “forma poesia” né la “forma prosa” in quanto tali, perché continuano ad co-esistere, non sono di certo andate a morire dopo la nascita del poemetto, anzi a dire la verità si sta imponendo a livello editoriale proprio un certo tipo di poesia ben strutturata, precisa, se non nostalgica addirittura, fissata su schemi metrici rigidi, ma per carità non cominciamo a parlare di editoria di massa o di nicchia, che qui il discorso sarebbe davvero impossibile da trattare su un blog. Detto ciò secondo me la domanda principale che ogni poeta e ogni lettore (quando si appresta a fruire/scrivere un testo) devono chiedersi è: il messaggio che si è espresso/scritto con questo testo è ben riuscito tramite questa forma? ovvero la forma e il contenuto sono adatti l’una all’altro perché il messaggio sia fruibile, interessante, innovativo, artistico ecc ecc? Insomma è la domanda che ti chiedi tu, nonostante tutto quello che c'è dietro però la trovo di difficile risoluzione. Io mi faccio sempre questa domanda, ma la risposta sono sicura che per quanto spiegata e analizzata può essere solo il frutto di una mia soggettiva percezione comunicativa, però qui si entra in altri ambiti come la psicologia della comunicazione e anche qui si va troppo oltre.
EliminaGrazie Nazario e Pasquale! Avete realizzato un prodigio.
RispondiEliminaRadunare una manciata di perle sullo scoglio di Leucade ad onorare la figura dei nostri Padri!
Quale miglior tributo alla Cultura in questi giorni di brutture e nefandezze che impoveriscono la società?
Le parole che escono dal cuore e si trasformano in versi aiutano gli uomini a non rinchiudersi nelle proprie stanze anguste.
“La casa della Poesia non avrà mai porte” (Alda Merini).
Ed io sono orgoglioso di vivere in questa casa, accanto a voi.
Roberto Mestrone
38 interventi a commento. Non ci ho provato, tanto mi sento intimidita, rischiando di dimenticare che ringraziare è doveroso, oltre che giusto in una iniziativa tanto meritoria, soprattutto in questo caso di assoluta generosità e lungimiranza: neppure dopo la stimolazione di Umberto Vicaretti, che trovo interessante ed intrigante, e che rimette in discussione l’Assunto della poesia in forma di rosa/e di prosa. Mi sento di condividere però in toto l’affermazione illuminante nella sua chiarezza psicologica e logica, oltre che estetica, di Ambra Simeoni: “ tutte interessanti le varie visioni di poetica e di poesia sia degli autori che dei prefatori; è il bello di questo blog, Nazario, ti ringrazio per questo spazio di libertà, non è da tutti serbarlo con tanta dedizione e attenzione, in altri blog succede spesso e purtroppo il contrario, che alcune voci (urli) cerchino di schiacciare le altre/gli altri, qui invece vige "una legge non detta" quella che garantisce la "diversità" come inizio e fine della scrittura.” Grazie allora, a tutti.
RispondiEliminaCarissimo Nazario,
RispondiEliminadesidero porgerTi i più vivi ringraziamenti e felicitazioni per la realizzazione su Lèucade della significativa Antologia poetica online a tema “Il Padre” nella quale mi sento onorata di essere stata inserita.
Esprimo profonda gratitudine a Te e a tutti gli Autori per l'impegno profuso e per il risultato ottenuto nel segno della condivisione di emozioni, sentimenti e cifre stilistiche in cui mi sono pienamente immersa.
Il successo della partecipazione testimonia la valenza rilevante dell’opera per i forti messaggi trasmessi con cuore, capacità e passione dai bravi Poeti antologizzati. Davvero lieta di avere potuto aderire a questa straordinaria iniziativa, ti abbraccio con affetto augurandoti un buon proseguimento di lavoro... alla volta di sempre più splendenti approdi.
Aff.ma
Daniela Quieti
Felice e onorata di far parte di questa antologia così plurale, nei versi che al padre si richiamano. Grazie a Nazario Pardini e a Pasquale Balestriere per questa iniziativa che sicuramente ci dà una bella panoramica del poetare odierno. Interessanti gli interventi di apertura di Balestriere, Ruffilli, Linguaglossa e Pardini. Rifletto e con calma mi accingo a leggere tutte le poesie. Grazie
RispondiEliminaPotrebbe essere la prima di altre simili iniziative su temi diversi per ritrovarsi insieme in un unico canto corale che nasce dall'anima per divenire poesia che, varia nei versi e nella musicalità, trasmette emozioni e sublimi stati d'animo.
RispondiEliminaClaudio Vicario
RispondiEliminaMi aggiungo, buon ultimo (a causa della mia negata padronanza dello strumento tecnico che consente di “postare”), a quanti hanno espresso sinceri e affettuosi ringraziamenti per i curatori di quest’opera poetica davvero di spessore, opera a cui auguro uno strepitoso successo e, da qui all’infinito, una formidabile schiera di lettori, tutti ‘affamati’ di poesia, pur sapendo che viviamo in un tempo che sembra del tutto estraneo ed anzi negato ad ogni forma d’arte (e peggio sarà domani!). Sono finiti i bei ‘salotti’ in cui si declamavano poesie e si onoravano e celebravano i poeti. Oggi tutti scrivono e nessuno legge, e questo è davvero il problema!
Entro nel merito. Un’antologia monotematica corre il rischio di risultare monotona e ripetitiva, ma non è questo il caso, proprio perché, come dice Balestrieri, in questo florilegio vi è “un campionario di testi variegato”, quasi fosse un’apertura a ventaglio di ritratti (del padre), realizzati con pennellate di colori e suoni che appartengono all’intimità di ogni poeta. Dai versi si colgono vari stili e contenuti, in ogni brano vi è profondità di pensiero e di sentimento (nel senso più esteso e bello di questa usurata parola). Vi è anche verità? Insomma, il poeta è un fingitore, come sostiene il poliedrico Pessoa, o dice la verità nella libertà della sua espressione? Neppure Cristo rispose alla domanda di Pilato: “Che cos’è la verità?”. Non rispose perché egli stesso è verità. Il poeta è sempre al centro del mondo, naturalmente del suo mondo personale come egli lo rappresenta e vive attraverso la sua opera. E spesso si accorge che la verità lo sfiora e fugge via, benché ne percepisca, almeno per un momento, la luce. Ma se la verità è luce, non sempre la luce è quella radiosa del sole, a volte è quella pallida della lanterna che confonde i contorni delle cose. Così conosciamo la verità come fosse riflessa in specchi infranti o opachi che inducono all’inganno.
Quest’antologia è splendida di luce solare ed emoziona il lettore. In essa, a mio parere, trova compiutezza l’essenza del pensiero dei tre critici: 1) il “singolare” diventa “universale”, come sostiene Ruffilli; 2) la “forma ibrida” (né troppo poesia né troppo prosa), come vorrebbe Linguaglossa, sembra essere riscontrabile nell’insieme dell’opera; 3) la visione di una “poesia che cerchi di tradurre il perpetuo conflitto fra la terrenità dell’esistere e lo slancio dell’oltre”, come afferma Pardini, sembra trovare proprio qui la sua perfetta dimora. Davvero mirabile l’intervento di Umberto Vicaretti, che pone l’eterna questione della forma e della sostanza, raggiungendo una sintesi di pensiero personale molto condivisibile. Dunque, un bravo ai curatori dell’opera, ai critici, e ai tanti poeti presenti in antologia (ed altri ve ne potrebbero essere, avendone capacità e merito).
Giovanni Caso
Sono orgogliosa di aver partecipato a questa antologia , e ringrazio Nazario Pardini per l'ospitalità. Sento profondamente l'attualità del tema affrontato: oggi come non mai l'importanza della memoria e delle radici rappresenta un impegno da tramandare alle future generazioni. I prefatori propongono inoltre una ulteriore riflessione sulla forma e sul futuro della poesia, a cui sono succeduti vari stimolanti interventi. .Probabilmente non è possibile decidere a priori, perché la poesia può variare a seconda delle epoche storiche e della "genialità" dei singoli poeti... E come ha scritto la Szymborska "io non lo so, non lo so, e mi aggrappo a questo come alla salvezza di un corrimano". Nadia Chiaverini
RispondiEliminaCome mi sarebbe piaciuto esserci... è un tema che sento molto.
RispondiEliminaCongratulazioni ai presenti.
Carissimo Nazario, ancora grazie per aver inserito in questa
RispondiEliminaimportante Antologia la mia poesia sul "padre".
Un forte abbraccio da Anna Magnavacca