Prefazione a Paolo Statuti: La stella errante. G-E Edizioni. Roma, 2016. Pg. 112
Ogni giorno vai smerciando astuta
il logoro corredo dei tuoi stracci,
ti sforzi di ridere e scherzare
ma ogni sera l’ombra ti fa muta (Vita).
Mi piace iniziare da questa citazione testuale per andare da subito a fondo nell’anima della silloge di Paolo Statuti; nella sua poetica fortemente umana e semplicemente complessa, dacché trae alimento da tutti quelli che sono gli input esistenziali, da tutto ciò che muove questa nostra avventura terrena, e che si riverbera in un canto “splendidamente monotono”, come sapeva dire, da par suo, Cesare Pavese, della poesia. E qui ciò che domina è quella semplicità espressiva che i poeti raggiungono solo dopo anni di pensamenti, di meditazioni, di rielaborazioni di dati e suggestioni. Sta qui la grandezza del poeta: saper spiattellare su un vassoio d’argento un’anima zeppa di ogni conflittualità interiore; nel saperla proporre con spontaneità, e con un linguismo accessibile e conturbante; diretto e arrivante. La cosa più difficile per uno scrittore è quella di saper tradurre l’intimità culturale e intellettiva in semplicità verbale. E’ quella la continuità, la monotonia che un poeta deve raggiungere perché ne divenga il marchio di fabbrica, il suo copyright; a ché nel tempo si faccia originalità e compattezza del suo poetare. Vita, sì! Qui c’è tutta con il potere del sogno, dell’amore, del memoriale, dell’inquietudine, della saudade, e della coscienza del tempus fugit: “… ogni sera l’ombra si fa muta”. Luci ed ombre che nella loro simbiotica fusione offrono quel substrato di melanconia che fa parte del fatto di esistere. Ed è già presente, fin dai primi versi, la visione di un tempo che logora senza pietà, consumando le nostre speranze, le nostra illusioni:
(…)
La sera faccio il bilancio
della giornata:
non è mai poco
non è mai molto
è quello che mi aspettavo
Affrettatevi però
prima che mi scada
la licenza di vendita (La bancarella).
Un bilancio abbastanza triste che scaturisce da una visione obiettiva e oggettiva del mondo che attorno ci ruota senza sconti; un redde rationem ultimativo e finale sul nostro soggiorno umano; una licenza che non può essere rinnovata e che segna la scadenza del nostro esser-ci. Il Poeta parte da piccoli fatti, da realtà minime che ci stanno attorno, e con abilità metaforizzante, con giochi analogici, sa elevarsi al di sopra della stessa realtà per trarne conclusioni di generoso impatto emotivo; una fede che gli permette di trasferire all’azzurro le bellezze del Creato. Sono tante le configurazioni fenomeniche, e le vicissitudini esistenziali accumulate negli anni. E’ lì che hanno covato; nel suo animo; trasformandosi in immagini di valore ontologico. Ed è da lì che l’Autore attinge per fare della sua storia un “poema” denso di intimi riflessi, di giochi di melanconica terrenità:
Lo sai che senza di te
non potrei vivere
che senza di te
non potrei nemmeno morire (Malinconia).
D’altronde gli ingredienti più redditizi per un canto di effusione lirico-emotiva sono proprio la memoria e il sentimento: una fecondità con cui tornano in campo antiche primavere. E’ in quelle che il Poeta si rifugia per sfuggire alla tristezza della quotidianità. Ne fa un’alcova rigenerante, un mondo virtuale zeppo di volti e accadimenti di forte impatto umano:
A volte tornano immagini dimenticate
come nuovo stupore
a volte tornano parole dimenticate
come nuova scoperta
a volte tornano persone dimenticate
come nuova amicizia o nuovo amore
e ogni anno torna
il fresco odore della primavera
e il dorato sorriso dell’autunno
e ogni volta
l’anima ringiovanisce un po’
eppure è sempre più vecchia (Ritorni).
Ed è proprio la natura, con i suoi frammenti cromatici, con le sue parvenze simboliche, a farsi collaboratrice fedele nel ritrarre un esistere zeppo di sottrazioni, di autunni cadenti, o di soli imbronciati; nel farsi volume di un essere in cerca della sua consistenza:
Il fruscio delle foglie secche
punge il corpo
come vespa invisibile
sbatte una finestra
con monotona perfidia
oggi anche il sole fa il broncio
sbocconcellato da una grigia trina
che puzza di pioggia
se tu almeno fossi qui
mi diresti
che il fruscio delle foglie
è uno scherzo di Chopin
che la finestra che sbatte
è una tachicardia
e che una lettera non scritta
non è poi la fine del mondo (La lettera).
Ritratto perfetto di un mélange fra sentimento e ricordi che, col suo procedere monotono, sembra voglia potenziare l’epigrammatica condizione intimistica del Nostro: l’abito chiaro, gli occhi spenti, i saluti plastificati, le avide occhiate, il clic degli interruttori, i sogni ronfi, le coscienze archiviate. Tutto si condensa in una spietata successione di fatti e momenti, di sguardi e profumi, di suoni e gesti che dànno luogo ad una continuità scontata; ad un persistere di accidents vissuti e rivissuti:
… L’abito scuro della sera
gli occhi accesi delle case
le avide occhiate
il clic degli interruttori
il cigolio delle reti
i sogni i ronfi
le coscienze archiviate (Continuità).
Ma non è raro che l’attenzione e la sensibilità del Poeta si soffermino su visioni accattivanti; su oggettivazioni traslate con interventi di natura etimo fonica e simbolica di resa immaginifica per una sana poesia:
Roma, ogni notte
ti getti nei vortici
del tuo amante
e scorrete insieme
finché la draga dell’alba
non ti ripesca
grondante di luce
e di amore (Roma).
Una vera pittura suggestiva, una vera pennellata forgiata con ars inveniendi dove l’alba si fa draga grondante di luce e di amore: sinestetici tocchi ricamati di merletti fatti a mano; lavorati da mani artigianali aduse a tagli e ritagli; a fantasie di urgente creatività. Né mancano sorpresa e meraviglia dinanzi al mistero che avvolge e sconvolge un poeta cosciente della miseria umana quando prova a misurarsi col tutto; dacché c’è questo tentativo da parte sua di avventurarsi in navigazioni di difficile approdo; in contemplazioni di stelle e di infiniti che lo sperdono in mondi impossibili; in contemplazioni stranianti:
… Una strada buia
in montagna
camminando a testa in su
pensando
ora la Terra è inerme
sotto il fuoco incrociato
del Cielo
Stelle leggiadre e superbe
sprofondate nel baratro dell’infinito
sembrano sapere qualcosa
e di tanto in tanto strizzano l’occhio (Stelle).
E l’opera si dipana in confessioni di un lirismo accattivante ed energico, dove il verso, con plastica morbidezza, accompagna i picchi ispirativi, le vertigini paniche, e le meditazioni vitali:
da Ascoltando Bach
(…)
Il tuo sorriso
è il sorriso che Dio
ti ha rivolto
quando morendo
gli hai portato in dono
le tue armonie...
le Sue armonie! (Ascoltando Bach);
alla musica della pioggia:
(…)
Le foglie degli alberi
applaudono in silenzio
per non disturbare la musica
che scende dal cielo (La pioggia);
da La cantina dei ricordi:
A volte scendo
nella cantina dei ricordi
prendo una bottiglia
d’una buona annata
tolgo con cura la muffa
e levo il tappo
Già pregusto un sorso
di giovinezza –
il primo segreto
la prima promessa... (La cantina dei ricordi);
al Natale che ritorna:
(…)
- E’ Natale,
da oggi amatevi,
non fatevi del male! (Natale);
dall’Invito alla Vergine:
Vergine Santa,
sei libera stasera?
Ascolta, ho un’idea... (Invito alla Vergine);
alla Preghiera:
(…)
Lo so, tante volte ho peccato,
ma per la tua pietà
oso sperare, mio Dio,
che mi perdonerai
e mi sorriderai
nell’ora del supremo addio
alla vita mortale.
Amen (Preghiera);
dalle foglie piangenti dell’autunno:
(…)
La pioggia
dietro i vetri
le foglie piangono
lacrime – cristalli (Autunno);
A Il sorriso della rosa:
Ad Olga
Quando la rosa si schiude
sorride
e dai petali affiora l’anima,
come dal viso della Gioconda (Il sorriso della rosa);
dall’Amore:
A Rosy e a Claudio
Amore, oggi pensavo...
quante belle parole scritte su di te,
che riempiono più la bocca
che il cuore (Amore).
alla Musica:
E’ l’alba. La luce
bacia le tenebre
e il silenzio del cielo
accoglie il risveglio
della terra, (Musica).
Fino a: Il pianoforte:
(…)
Vecchio pianoforte così scordato,
pieno di acciacchi e così forato,
la polvere che copre la tua armonia
è la cipria del tempo che vola via (Il pianoforte),
che, affidando un sentimento di nostalgiche reminiscenze ad una ballata sul tempo che fugge, chiude una silloge pregna di amore per questo miracolosa esperienza che è la vita. Un caleidoscopio di perlustrazioni emozionali e di incontri onirici che rende questo “poema” plurimo, polivalente, disteso su scarti semantici e soluzioni linguistiche lontane da insidie di luoghi comuni e epigonismi.
Nazario Pardini
RispondiEliminaLa dolce calamita del blog : Alla volta di Leucade, oggi mi attira su “La Stella Errante” dell'amico Paolo Statuti, con la prefazione di un altro caro amico, Nazario Pardini. Detto così sembrerebbe che io di amici ne abbia a profusione, purtroppo è una tesi che non posso avvalorare.
Giornalmente nel proprio blog: Un anima e tre ali, Paolo Statuti si fa apprezzare come traduttore, facendoci conoscere poeti noti e meno noti, ma tutti di grande livello, esponenti di quella ricca tradizione che da lungo tempo caratterizza l'oriente slavo e bulgaro. Ora scende in campo con le proprie opere in punta di piedi com'è solito fare, e la sua proposta poetica è ripagata dall'esemplare lettura che ne da l' intelligenza critica di Nazario Pardini ricca di intensità e passione.
Sono fiero di essere stato il promotore del loro felice incontro letterario.
Li abbraccio entrambi.
Ubaldo de Robertis
Caro Ubaldo anch'io sono felice di esserti amico e di aver conosciuto Nazario Pardini grazie a te. Dedicherò alla Poesia le ultime
Eliminabattute della mia vita, sempre sperando di essere letto.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaNon so –pur nei limiti necessariamente posti dalla brevità della lettura e dalla scelta dei testi- se ammirare più i versi di P. Statuti o la presentazione dotta e partecipe di N. Pardini: insieme davvero creano una forza e una necessità di approfondimento ed ampliamento di lettura.
RispondiEliminaRitrovo in queste poesie il grande traduttore che conoscevo: alcuni versi mi riportano alla letteratura russa del primo Novecento, a un Pasternak cantore della pioggia. “Le foglie degli alberi/applaudono in silenzio/ per non disturbare la musica”, a un primo Majakovskji più espressionista che cubo-futurista: … “gli occhi accesi delle case/ le avide occhiate/il clic degli interruttori…/ i sogni i ronfi/ le coscienze archiviate..”
Poi il fascino dei sentimenti e della vita vissuta: la malinconia, il tempo che inevitabilmente logora e si logora, la quotidianità, la musica, il variare delle stagioni…La vita e il suo vanire, insomma.
Un impegno emozionante la lettura di queste poesie: “semplici” , sapendo di persona e come lettrice quanto costa la semplicità a uno scrittore e quanta storia personale e sociale si porta nel fardello.
Grazie.
M.G.Ferraris
Difficilmente si riesce a pasteggiare da una prefazione il sapore di un'intera poetica.
RispondiEliminaQuesta introduzione di Nazario fa eccezione perché, al contrario, fin dall'inizio, attira e ci invita ad assaporare una pietanza della quale, intenso, si espande il profumo.
"E qui ciò che domina è quella semplicità espressiva che i poeti raggiungono solo dopo anni di pensamenti, di meditazioni, di rielaborazioni di dati e suggestioni. Sta qui la grandezza del poeta: saper spiattellare su un vassoio d’argento un’anima zeppa di ogni conflittualità interiore; nel saperla proporre con spontaneità, e con un linguismo accessibile e conturbante; diretto e arrivante. La cosa più difficile per uno scrittore è quella di saper tradurre l’intimità culturale e intellettiva in semplicità verbale...".
Grazie, dunque, all'amico Prefatore ed a Statuti per aver ridato alla poesia il suo naturale posto,così spesso, oggi usurpato o rinnegato. Complimenti ad entrambi,
Sandro Angelucci
Ringrazio Maria Grazia Ferraris e Sandro Angelucci in modo molto sincero per i loro lusinghieri giudizi. Sembra anche a me che la semplicità espressiva e la chiarezza siano ingredienti necessari per consentire al lettore di partecipare all'atto creativo del poeta. Personalmente odio il sentimentalismo, ma voglio ricordare qui le parole del grande poeta polacco Władysław Broniewski: "Non so cos'è la poesia, perché esiste e a cosa serve, ma so che a volta qualcuno legge una poesia e piange". Naturalmente qui il pianto non è necessario che esca dagli occhi...Paolo Statuti
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