Il
campionato del mondo di dama
Leonardo Vetra scelse 35 –30 e la giocò.
Sperava fosse una mossa destinata ad originare
un’apertura che conosceva a memoria, allo studio della quale aveva dedicato
innumerevoli ore.
Aveva il nero ed era in prima scacchiera, se quest’ultima
parola può essere appropriata, perché le caselle che stavano dinnanzi a lui non
erano 64, bensì 100.
Sì, poiché la partita iniziata alle 16 e 45 dal suo
avversario, l’israelita Haim Ne’eman, era nientemeno che una sfida del
campionato del mondo di dama, in pieno svolgimento sulla riviera del Beigua in
quella fine estate del 2005.
“Ma anche a dama si gioca su 64 caselle!” direte
voi. Eh..no! Questa volta avete
torto. A dama, la dama delle competizioni internazionali, si lotta su un
quadrato di 100 caselle (che poi sarebbero 50, le nere).
Leonardo Vetra era dunque sulla prima damiera
(chiamiamola così) dell’Italia, la squadra B italiana, ed aveva appena risposto
con 35 – 30 alla 17 – 22 dell’avversario israelita. La partita si svolgeva a
Varazze dove, nel grande salone del palazzetto dello sport, erano appena
iniziate anche altre due sfide: Polonia – Lituania e Olanda – Haiti. Altre
compagini, come la favorita Russia, erano impegnate in luoghi limitrofi,
Arenzano, Albisola, Celle e Cogoleto.
Vetra, 23 anni, aveva alla propria sinistra, a pochi metri di distanza,
la prima scacchiera di Olanda – Haiti. I tulipani schieravano il Grande Maestro
Internazionale Harm Wiersma, l’idolo di Vetra, sì, proprio Wiersma, più volte
Campione del Mondo (la prima nel 1976), colui che aveva contribuito a rompere
lo schiacciante predominio sovietico nella dama polacca. “Perché si chiama
polacca?” pensò Vetra “Ah, già, questa
variante del gioco nacque in realtà in Francia intorno al 1723, e poichè la
tradizione vuole che fosse un ufficiale della guardia di Filippo d’Orleans a
proporre li gioco sulle 100 caselle con le attuali regole sperimentandolo con
un amico conosciuto col soprannome di polacco… beh, ecco il perché di quel nome”.
Vetra fu risvegliato dai suoi pensieri dalla 18 – 23 di
Haim Ne’eman, il suo rivale.
Pensò giusto una manciata di secondi prima di muovere 31-
27. Si volse sul fianco sinistro; l’olandese ed il suo avversario di colore, un
quasi sconosciuto Lennox Miller, avevano mosso solo qualche pedina. Wiersma
aprì, lentamente, la piccola bottiglia di aranciata posta accanto a lui e bevve
un breve sorso. Il suo antagonista
prese la brocca d’acqua alla sua destra e si dissetò anch’egli. Il pesce si mosse,
spostandosi un po’ in alto.
“Come si chiama?” chiese Wiersma.
“Oh..è vivacissimo, vero? Lo porto sempre con me. E’ un
pesce abissale di nome Wanda”.
Avete letto bene, dentro la sua bevanda c’era un pesce.
“L’Olanda vincerà sicuramente 8-0” pensò Vetra “Troppo forti
quei quattro Grandi Maestri dei Paesi Bassi per la debole squadra caraibica”
La sua compagine invece, la seconda squadra italiana,
avrebbe avuto i suoi bravi grattacapi per contrastare Israele e ben
difficilmente qualcuno dei quattro componenti sarebbe riuscito, alla fine del
pomeriggio, ad incamerare i due punti della vittoria od almeno il punticino
della patta.
Il suo avversario mosse ancora un’altra pedina, indi si
alzò per dare un’occhiata alla situazione sugli altri tavoli. Leonardo Vetra si concentrò, conosceva bene
quella continuazione, l’apertura stava prendendo la piega che più gradiva, ma
la prossima mossa sarebbe stata importante: si trattava di dare al prosieguo
della partita un’impronta decisamente aggressiva che avrebbe condotto ad una
configurazione molto complessa con la possibilità di vivaci scambi di pezzi.
Oppure avrebbe potuto optare per una mossa meno
coraggiosa, che conduceva ad un prudente centro di partita, una scelta
sicuramente più difensiva.
Scelse quest’ultima e, spostato il suo pezzo, si voltò
ancora verso il suo idolo.
Wiersma si era allontanato per studiare sulla quarta
scacchiera il gioco del più giovane dei quattro tulipani, un ventenne di
Amsterdam. Il simpaticissimo Miller,
l’haitiano, bevve un altro sorso dalla sua brocca, provocando ancora un
movimento di Wanda la quale, con le sue striature gialle e blu, dava un
indubbio tocco di colore alla noia delle grandi pareti del vasto locale.
Wanda si spostò a zig-zag ed il nero Miller, dopo qualche
secondo, mosse. Spostò l’ennesima pedina
bianca. Le sfide, sui vari tavoli, si
dipanavano con estrema lentezza: i polacchi contrastavano i lituani e gli
olandesi attaccavano gli haitiani mentre gli israeliani meditavano sulle trame
degli italiani.
Dopo circa un’ora di gioco Leonardo Vetra fu distratto da
un movimento.
Sulla seconda scacchiera l’olandese e l’haitiano si
strinsero la mano, fermarono l’orologio e firmarono i loro rispettivi fogli su
cui erano puntualmente annotate tutte le mosse effettuate e infine rimisero le
pedine nelle caselle iniziali.
Il sorriso del Grande Maestro Ton Sijbrands significava
una cosa sola: il giovane haitiano aveva sbagliato una valutazione e fatto un
errore. Si era, ovviamente, subito accorto dell’accaduto ed aveva abbandonato.
Del tutto prevedibile, pensò Vetra, lo squadrone olandese era davvero troppo
forte.
Egli ritornò con la mente e tutta l’attenzione di cui era
capace alla propria partita.
La posizione si era fatta complicata: dopo le serie di
mosse di apertura, mosse che quel manipolo dei migliori giocatori dei cinque
continenti conosceva a menadito, si avvicinava il momento del centro partita,
dell’analisi accurata, dove bisognava dar fondo alla capacità di calcolare le
conseguenze delle proprie scelte fin nei minimi particolari ed il più lontano
possibile, per poi decidere la strategia e le tattiche migliori da adottare.
Soltanto dopo sarebbe arrivato il finale, il momento
della sintesi, della resa dei conti, dove le dame (che nel giuoco polacco
muovono come gli alfieri degli scacchi) si sarebbero scatenate da un lato
all’altro del campo di battaglia, affamate di pedine.
Frattanto lo sparuto pubblico osservava con curiosità le
battaglie che infuriavano sui vari tavoli.
Dopo quasi due ore di gioco incertissima appariva la
sfida Lituania –Polonia, caratterizzata da un gioco scintillante, mentre
Israele era in vantaggio sull’Italia e l’Olanda risultava già vincitrice contro
Haiti avendo già prevalso in tre partite di quella gara.
Rimaneva in gioco, guarda un po’, solo Lennox Miller contro
il grande Wiersma: l’Olanda conduceva 6-0 ma il giovanissimo caraibico non si
era ancora arreso, anzi la posizione pareva di sostanziale parità, come poté
constatare Vetra quando si avvicinò ancora al loro tavolo.
Era di certo una sorpresa che Lennox Miller tenesse
ancora in scacco (pardon, amici damisti) il mitico Wiersma, che stava
concentrato, totalmente assorto sul campo di sfida.
Ancora una volta Wiersma svitò senza fretta il tappo
della bottiglietta ed assunse un poco della bevanda, per ristorarsi (un bravo
giocatore durante una lunga ed estenuante sfida può perdere anche alcuni
chilogrammi).
Fatto ciò, mosse una dama nera, schiacciò il tasto
dell’orologio e trascrisse poi fedelmente la mossa eseguita.
Leonardo era combattuto fra l’assoluta concentrazione che
ovviamente richiedeva la sua partita e la curiosità di seguire l’andamento
della gara alla propria sinistra. Con la coda dell’occhio, ogni tanto, non
poteva fare a meno di distrarsi per sbirciare l’altra sfida. Miller stava
meditando, sollevò la brocca di acqua per dissetarsi e si rimise a
riflettere. Wanda ebbe un altro, leggero
sussulto.
La mente di Vetra iniziò anche a distrarsi con altri
pensieri.
In quei giorni, ancora di una dolce estate, erano
concentrati sulla Riviera ligure i più esperti e bravi damisti del
pianeta. Ma il miglior giocatore del
globo, tra pochi anni, sarebbe ancora stato un essere umano?
Leonardo si ricordava di aver letto della sensazione che
destò, nell’ormai lontano 1988, la sconfitta del Grande Maestro di scacchi danese
Bent Larsen ad opera del computer Deep Thought, Pensiero Profondo.
Era la prima volta che un G.M., cioè la massima categoria
riconosciuta dalla Federazione scacchistica internazionale perdeva un’incontro
con un calcolatore, era la prima volta che una macchina aveva surclassato
l’Uomo in una attività coinvolgente le funzioni più peculiari della nostra
specie: ragionamento e creatività. Deep
Thought avrebbe poi impegnato, nell’ottobre 1989 anche Garry Kasparov, allora
campione del mondo, ed una versione migliorata di quel computer, Deep Blue, lo
avrebbe infine sconfitto.
A differenza degli scacchi, per la dama internazionale si
era rivelato più difficile approntare programmi che potessero rivaleggiare in
bravura con i più forti Maestri.
Ma ormai il tempo era giunto: il prossimo campione del
mondo sarebbe ancora stato in carne ed ossa?
Oh, è vero, ci sarebbero pur sempre state competizioni
per soli uomini, distinte da quelle per calcolatori, due categorie differenti
insomma, però impressionava Vetra il fatto che lasciando galoppare
l’immaginazione si poteva fantasticare di creature metalliche capaci di
comporre sinfonie, diagnosticare complesse patologie, progettare astronavi
interstellari, dipingere quadri, pianificare al meglio l’economia o dimostrare
teoremi di logica matematica.
Era un pensiero suggestivo: queste macchine, pur senza
consapevolezza, sarebbero state dotate di rilevantissima intelligenza, si
sarebbero dimostrate per noi come sorelle senz’anima ma più sagge, incapaci di
compiere il male, prive di quel tarlo, quell’aggressività insita nella parte
più profonda di noi, quel residuo atavico che ci accompagna da sempre.
Questi pensieri profondi sulla filosofia degli automi
furono interrotti da un rumore a pochi metri da lui. Intorno all’altro tavolo
(ormai solo due partite non si erano ancora concluse, la sua e la sfida
Miller-Wiersma) si era formato un gruppetto di giocatori che studiavano il
finale di gara. Lennox Miller sembrava,
agli occhi esperti di quei Maestri, addirittura in vantaggio, con una
disposizione di pezzi leggermente migliore.
Vetra, guardando Wanda che con un’attenzione estrema, non
usa in animali di quella specie, sembrava studiare la scacchiera dinnanzi ad
essa, si ricordò di colpo di una frase ascoltata dal suo professore di
Meccanica Razionale all’Università, qualche anno prima: “Questo teorema non è
per nulla intuitivo, ed effettivamente per noi non è semplice farci un’immagine
mentale, non potendo noi raffigurarci spazi a quattro o più dimensioni, essendo
immersi fin da piccoli in uno spazio con sole tre dimensioni. Forse
un’altra specie vivente avrebbe una percezione immediatamente intuitiva di
questo enunciato, forse dei pesci abissali, chissà, abituati ad enormi
pressioni e ad ambienti del tutto estranei al nostro, avranno sviluppato
conoscenze istintive di topologia, forse questi pesci degli abissi potrebbero
comprendere in una sola occhiata il teorema di Banach-Tarski o “vedere” spazi
di Calabi-Yau a sette dimensioni, tanto in voga oggi nella Teoria delle
Supercorde. A Leonardo Vetra venne un
pensiero pazzesco: forse Wanda, quel pesce giallo e blu del mar dei Sargassi,
quel pesce abissale immerso in una brocca d’acqua tridimensionale, aveva
una visione spazio-temporale del gioco, forse era capace di vedere
istantaneamente tutte le possibili continuazioni di una mossa impilate, per
così dire, in un parallelepipedo a tre dimensioni con il tempo in verticale, in
un solido dove sulla faccia superiore c’era un disegno della posizione attuale
e, mossa dopo mossa, nei vari strati della figura vi erano le posizioni future,
ognuna delle quali era uno spaccato, una sezione del parallelepipedo. E sulla base inferiore la raffigurazione
della fine di quella sequenza, con la vittoria, la patta od una brutta
sconfitta.
Forse Wanda, abituato agli abissi, sondava con calcoli
abissali le varie continuazioni in pochi attimi, comunicando a Lennox la dama
da spostare con un semplice movimento; forse un piccolo spostarsi del pesce a
destra significava 19-23 o uno zigzagare
verso l’alto a sinistra voleva dire 24-29, o cosa altro? Dopotutto, non si era forse Wanda spostata
sempre poco prima che il suo padrone effettuasse la mossa? Vetra era stupefatto, questa idea lo aveva
colpito con una violenza estrema, ne era istintivamente certo: WIERSMA STAVA
GIOCANDO CONTRO WANDA !!!
E, a giudicare da come erano collocati i pezzi, il grande
olandese non era certo in una situazione invidiabile!
Era sicuro di essere nel vero, anche se non avrebbe
potuto mai dimostrarlo, ed era anche certo di un’altra cosa: non avrebbe mai potuto confidarlo ad alcuno.
Perlomeno non a Wiersma.
Quest’ultimo avrebbe certamente accettato una sconfitta dal grande
Gantvarg, il russo pluricampione del Mondo, forse anche da un supercomputer
appositamente programmato, ma da un vivace e colorato pesce femmina, per giunta
di nome Wanda?
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