Luciano Domenighini
Quarta di copertina
Luciano Domenighini: Saggio di traduzione (da Valery a Verlaine). TraccePerLaMeta
Edizioni. Segrate (MI). 2016. Pg. 120. € 11,00
Luciano
Domenighini si cimenta in una nuova fatica letteraria di acuta valenza
musicale. Un vero melologo, una vera combinazione fra melodia e verbo, “dove
l’attenzione al testo sa di rispetto”, come riporta Marzia Carocci nella nota
interpretativa: “Un viaggio letterario che Domenighini con abilità, osservanza,
e grande dominio letterario riesce a “leggere” fra quei richiami di chi ha
lasciato grande eredità di versificazione. Una traduzione che rende pregio a
qualcosa che di per sé ne ha grande
quantità dove l’attenzione al testo sa di rispetto, di amore e grande
comprensione alla radice del pensiero autoriale”; una presentazione che fa da
antiporta a traduzioni su cui tanto si è scritto e tanto ancora c’è da
scrivere: Saggio di traduzione (da Valèry e Varlaine), il titolo; dato alle
stampe per i caratteri di TraccePerLaMeta Edizioni, tratta di due Autori contrapposti per poetica e intendimenti
emotivi: per Paul Verlaine la musica anzitutto; la musica ancora e sempre;
rendere la nuance e non il colore; afferrare l’eloquenza e torcerle il collo;
trasmettere, coi sortilegi della musica, impressioni fuggitive e “états d’ȃme”. Per Paul Valery ripudiare
“le cri de la sensibilité”;
“l’effusion”, “tout ce qui est élan”; la poesia è tutta “volontaire e
cérébrale”.
Due
mostri sacri della scrittura poetica della Letteratura francese. L’Autore affronta con piglio deciso e sicuro
un compito non facile, considerando i tanti interventi fatti sulle opere dei
due autori transalpini. E lo fa con personalità e stupore emotivo di rara
potenza suggestiva: un vero saggio poetico. Si può, di sicuro, affermare che lo
scrittore unisce in una voce unica le sue tre abilità fondamentali: quella
poetica, quella critica, e soprattutto verbale, filologica, formale: il suo
grande amore per la poesia lo porta a scegliere autori di generosa resa
estetica; la sua indipendenza concettuale lo porta a scavare per rendere il più
possibile originale e al contempo personale il testo; il suo intendimento
letterario lo nutre di una visione
precisa e ben definita della funzione critica; non occorrono evasioni,
né voli pindarici o sentimentalismi di bassa lega; nessuna forzatura emotiva; è
sulla parola che si deve lavorare, sui suoi nessi, sulle sue combinazioni,
sulle figure stilistiche atte a dare effetto concreto alla visività del canto;
al suo messaggio lirico o civile che sia. Non è raro nei suoi interventi il
prevalere della cura alla forma piuttosto che al contenuto; e in questo caso al
rispetto per l’originale, per la sua grammatica metrica, per gli intrecci delle
rime; ma il risultato è sempre estremamente puntuale, personale, nuovo, e
incisivo. Queste abilità si assemblano
quindi in un unico input metodologico: quello domenighiniano
riconoscibile, da subito, per l’attenzione al testo da tradurre, al suo essere
contenitore, corpo di emozioni immediate o decantate. E quando si parla di
melodia, di eufonica andatura, di euritmica sonorità, si tratta di un
ingrediente insostituibile del “poema”. L’uomo fin dagli albori della sua storia ha sentito questa esigenza; si
è servito di legni, di pietre, o di ossa; li ha battuti fra loro o su altri
corpi per concretizzare il ritmo che da sempre ha avuto dentro. La musica è
nata con lui, col suo essere umano e ultra; ed è quel sentire che lo ha reso e
lo rende animale inquieto con lo sguardo rivolto al cielo “le parole mostrano il loro legame con la musica... La parola
nasce dal ritmo, come la musica. La poesia utilizza il ritmo in modo letterale
e la filosofia, che non canta, si muove sulle tracce del ritmo e attraverso di
esso vede. Vede il Ritorno. Vede l'Enigma" (Carlo Sini). Il nostro Autore
ne conosce il valore; la portata sul verbo; e nelle sue opere lavora in base
al gioco di note che arricchiscono un
pentagramma, rendendolo spartito da romanza operistica.
Come afferma Cleope Comandulli: “… Luciano Domenighini interpreta
in forma personale questo poema (Romances
sans paroles, di Paul Verlaine), senza per questo sconvolgerne il contenuto
essenziale. Egli procede alla comprensione profonda del testo, interrogandosi
sull’opera poetica e riflettendo sui meccanismi linguistici…”. E
quello che più convince del suo operato è la grande capacità di rinnovo.
Sembra che abbia fatto covare in animo sentimenti e passioni che poi ha saputo
visualizzare nei versi dei poeti prescelti. In poche povere Domenighini ri-fa
un’opera di poesia; ri-crea; legge ma sa di trasferire il suo amore o la sua
malinconia in versi nuovi, da lui forgiati ex abundantia cordis, da realtà
vissute. Questa funzione di rinnovamento, di adattamento al suo mondo
vicissitudinale, caratterizza l’impianto saggistico-poetico di tutta l’opera.
Le traduzioni di Le jeune Parque e Le
Cimetière di Valéry; e di Les Romances sans paroles di Verlaine
non sono altro che delle vere creazioni; dei veri stati d’animo che hanno
urgente necessità di trasferirsi nel BELLO per farne il contenitore di una
storia.
Ce toit tranquille, où marchent des colombes,
Entre les pins palpite, entre les tombes;
Midi
le juste y compose de feux
La
mer, la mer, toujours recommencée
O
ricompense après une pensée
Q’un long renard sur le calme des dieux!
Questo
tetto tranquillo in volo di colombe,
in
mezzo ai pini batte, palpita tra le tombe;
e
Mezzogiorno il giusto dissemina di vampe
il
mare, il mare tutto, ognora rinascente
o
ricompensa grande dopo d’aver pensato
un
lungo steso sguardo sulla calma divina!
Nazario Pardini
Nessun commento:
Posta un commento