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giovedì 1 settembre 2016

PATRIZIA STEFANELLI: "PENSIERI DI LETTURA




Patrizia Stefanelli


Pensieri di lettura di “Ginevra” . Autore Franco Cilia

Dalle pietre antropomorfe al canto di stelle il passaggio è lungo eppure breve quando la poesia si fa colore e luce e cos’è una poesia se non il ritratto di una storia d’amore? Amore per la parola che dice e conduce in un percorso d’anima che per Franco Cilia è piena espressività di forme, sguardi, intimità. Ginevra campeggia in questo ritratto d’amore, è pura poesia.
Immaginare un futuro da morto è quanto di più anacronistico possa accadere. L’idea della nostra morte mi fa pensare a una cernita, al momento in cui si può dividere il grano dalla pula, tutto ciò che non è necessario a un buon pane. Amore come pane quotidiano che rende all’Uomo il suo vero volto.
I ricordi di Ginevra ormai grande, si intrecciano ai ricordi che sono dell’autore. E’ lui che l’ha vista così. Ginevra torna in Sicilia per la morte del nonno; Franco torna in Sicilia attraverso Ginevra, il suo alter ego, la memoria candida delle sue stanze di vita.
E come un memoriale Ginevra riporta le opere a lei dedicate dal versatile autore, l’intervista realizzata da Andrea Guastalla nel “lontano” 2014.
Ironia e disincanto che allontanano il tempo della morte. Nessuna paura nell’utilizzare questo termine. Non distacco o dipartita, né scomparsa ma morte: naturale declinazione dell’Essere. E quante volte mi torna il senso della vita!
…” ma ora sacciu c’a ricchezza ciù ranni ca putia aviri sii tu, niputi miu. Tua ha vinciri nà vita puri pi mmia! “ Così gli diceva suo nonno Francesco.
Così Franco torna alle origini, alle corse tra i vicoli della sua infanzia tra le pietre di Ragusa Ibla.  Il lavoro di Franco Cilia è emblematico della necessità poetica di leggere sia la forma che il contenuto per la piena contezza di un’opera. Ginevra è luce che rischiara il percorso intero della vita di Cilia che immaginando la sua morte terrena sa di averla già vissuta in cuore con l’arrivederci a suo figlio Gianluca. Credo che parlando della sua morte, sia riuscito a parlare di quella del suo amato figlio. 
In questo momento sono stesa su un’amaca tra un noce e un ulivo. Su di me un cielo terso tra le fronde che s’incrociano e il mare che vedo se abbasso appena lo sguardo. Un concerto di cicale accompagna la mia lettura mentre mando un saluto a un amico, un sms, che chissà perché voglio fare adesso. Mi cullano, le parole di Franco Cilia, le sue immagini, i quadri e le fotografie. Ragusa Ibla somiglia ad alcuni vicoli della mia infanzia. Quando la visitai, lo scorso anno e l’altro ancora, pensai che mi sarebbe piaciuto viverci. Ebbi in dono una magnifica litografia di Cilia in occasione di un premio letterario e ancora non sapevo della sua Bellezza. Ricordo che mi colpì  la sua riservatezza. Non sapevo neppure amasse così tanto il Goya (la   contessa D’Alba, la sordità, i mostri della mente) il quale ho incontrato attraverso strani accadimenti in passato. Tutto ci lega attraverso sensibili fili  d’arte, attraverso la sublimazione dell’idea dell’arte stessa.  Uno di questi fili è l’amicizia, come quella tra Franco Cilia e il filosofo Antonio Stella, da lui chiamato affettuosamente Totò. Totò Stella non scrive un necrologio sulla morte di Franco ma ne traccia la vita nel racconto della sua avventura artistica, meglio, nel suo viaggio con i Poeti Dante e Virgilio attraverso i canti del Purgatorio. E’ questo il viaggio di Cilia verso la Luce della Fede che il dolore immenso per la morte di Gianluca seccava come fieno d’estate. Quel fieno sarà cibo per l’inverno della sua anima affamata. Apre le finestre all’infinito, Franco, per giungere a Lui. Osservando i suoi lavori, da profana, non posso non notare l’indistinto etereo fatto di luci e ombre in un grande spazio-tempo d’aria, acqua, cielo, attraverso il sacro fuoco dello Spirito Santo. I primi otto canti dell’antipurgatorio sono il mezzo attraverso il quale l’artista giunge alle soglie della Fede ad incontrare i colori e le sfumature di suo figlio. Il caso ha voluto che gli venissero  commissionati dipinti per la Casa di Dante in Abruzzo. Nel dipinto “Prima dell’uscita” , la scura caverna in cui il suo spirito si trova riproduce sulla grigia parete l’ombra dell’artista. Il suo dolore, sempre uguale moltiplicato probabilmente all’infinito. Credo che Franco abbia voluto parlare del tempo dopo la sua morte per ricercare in sé stesso il viaggio di suo figlio. Difficile e doloroso strazio di un Uomo, di un poeta che sublima la parola nella scultura e nella pittura: unica possibile catarsi.


Patrizia Stefanelli

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