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venerdì 21 ottobre 2016

CARMELO CONSOLI: PREFAZIONE A "PERCORSI EFFIMERI" DI GIUSY FRISINA

                                            
Giusy Frisina collaboratrice di Lèucade

                  Percorsi effimeri  di Giusy Frisina




Prefazione

Strane, dove l'effimero ci porta, si mettono radici, rami, foglie recita Mario Luzi nei suoi versi e quanto mai appare calzante la citazione del grande poeta toscano per introdurci nei meandri di questo ultimo libro di Giusy Frisina, la cui titolazione apre  
Carmelo Consoli, collaboratore di Lèucade 
  scenari tanto inquietanti quanto evanescenti, illusori, ma intimamente insiti ed essenziali al ciclo vitale umano, tanto da mettere in gioco l'esistenza stessa ed il sogno che ognuno di noi percorre nel tempo della propria presenza in questo mondo.
Qua l'effimero assurge dunque a dato sostanziale,  materia primaria e privilegiata da evidenziare, identificazione  vitale e quantum energetico per un percorso temporale onirico e rigenerante da spendere.
Del resto, come non ammettere che noi tutti siamo perennemente soggiogati dalla sintomatologia dell'effimero, misura transitoria a cui ricorrere per un domani privo dell'incertezza, per un sostare in un indefinibile presente che nasce e muore ogni giorno.
Dunque effimero ci appare l'uomo nella sua fragile consistenza, come anche lo scenario della natura, effimeri appaiono i giorni della vita ed il tempo tutto della nostra esistenza si consuma nella sua caducità. 
Premessa questa di incantamenti e rigenerazioni esistenziali, sottofondo poetico in cui si esalta la poesia della nostra autrice perennemente alla ricerca di una propria e altrui catarsi che poi in fondo è sostanzialmente ricerca d'amore, meglio identificato come amore eterno o per sempre.
Ma l'effimero in Giusy Frisina è ben altra cosa che pura divagazione che travalichi il dolore, elimini il peso dell'esistenza e la domanda di un Oltre dogmatico e drammatico e faccia alla fine accedere ad isole di sogno in cui risiedere.
E' invece depurazione, purgatorio, via ascetica per la ricerca della verità.
Questa poetessa è eternamente in itinere in un forzato esilio senza approdi e senza confini e i suoi percorsi effimeri sono ulteriore testimonianza di quel suo vagare tra cielo, terra, mare e seguono, illuminandone e rafforzandone i contenuti, le linee poetiche precedentemente tracciate con i libri :Onde interne “,  “ Il Canto del desiderio”  eDove finisce l'amore.
Proseguendo dunque sull'onda poetica dei suoi precedenti lavori la nostra  si sintonizza con sé stessa e con i lettori nella sua interminabile ricerca d'amore, oggetto più alto del suo desiderio, nell'attesa spasmodica del momento divino, del mitico Kairos.
La  caratteristica principale di questa nuovo lavoro appare sin dal suo inizio una navigazione tra velature e chiarezze dell'esistenza con una emblematica apertura,  annunciata dalla prima lirica, che debutta con ragguardevoli  considerazioni circa lo scenario delle guerre e la figura del divino.
Davvero un' avvio notevole su cui poi innestare un estatico percorso contrassegnato da una costante inquietudine in cui il bisogno dell'evasione dal tempo, mortificato dalla falsità e dal dolore, è costante.
Vi è in questa autrice un perenne bisogno di appaganti rifugi, una infinita  ricerca di protezione nella natura, particolarmente nell'elemento marino, quasi fosse questo ancora un cordone ombelicale mai distaccato a cui aggrapparsi  e viaggiare per isole e lidi luminosi, lasciandosi trasportare in un eterno ondeggiare di fragilità e godimento dell'attimo vissuto.
L'interminabile viaggio dunque contraddistingue la sua poetica tanto profonda di contenuti quanto straordinariamente visionaria e magmatica nell'irruenza del suo manifestarsi, come se il versificare fosse dettato da un continuo stato di trance compositiva in cui, liberarsi dagli stadi dell'insofferenza  e dal quotidiano riconoscersi in una mancanza di vitalità esistenziale, diventa esigenza assoluta.
A questo si aggiunga che molto risentono i suoi versi degli  studi filosofici a cui si è sottoposta in gioventù e poi dedicata con l'insegnamento presso gli istituti superiori; particolarmente si alimentano del dettato platonico con il quale la poetessa  è in comunanza d'anima, in sintonia esistenziale.
Come ama sempre dire e, come scrive con evidenza sul suo sito web, Platone nel Fedro poneva tra le quattro follie la poesia visionaria.
Dunque proprio la sua poesia e da qui una scelta poetica di vocazione e carattere.
Quella di creare una parola lirica estremamente liquida e irrefrenabile nelle emozioni, urgente e liberatoria nella  rappresentazione.
Insomma una impellente necessità di trasferire sul foglio immagini e concetti allo stato puro che fuoriescono dalla sua sensibilità di artista.
Modalità di processo lirico rappresentata con un prolungato, lucido, armonioso delirare.
Da notare che la bella copertina del libro è opera dell'autrice la quale si rivela anche abile disegnatrice nel rappresentare la dimensione di un percorso onirico in continuo movimento.
Come vediamo riproduce una sognante fanciulla che segue un surreale itinerario di nuvole, fiori, note musicali in un tripudio di cromie e fragranze.
Sensibilissima, caratterizzata da innumerevoli nervature umorali le cui estremità  vanno da immersioni in abissali profondità di silenzi e oscurità a elevazioni in solari abbagli, a luminarie altezze, la sua scrittura ci appare dibattuta e combattuta costantemente  tra realtà e fuga dalla realtà, alla continua ricerca di ripari segreti in cui proteggersi e ritrovare la serenità, l'intimo concetto della bellezza, ossia quella della magnificenza del mondo greco al cui culmine si pone l'immagine della divinità.
Cinque le sezioni che compongono questo corposo volume di cui una, l'ultima, dedicata alla canzone e al cantautore-poeta preferito e amato, suo nume protettore per eccellenza e cioè il grande Leonard Cohen, l'artista canadese che ha incantato generazioni di uomini e donne con le sue rappresentazioni graffianti della vita e al quale l'autrice ha dedicato il suo libro:   “Il Canto del desiderio”.
E non è un caso che l'effimero si coniughi perfettamente con la musica esaltandosi nell'attimo virtuoso dell'ascolto, nel cogliere preziose sfumature, sussulti tumultuosi, abbandoni emozionali. 
Del resto la poetica di Giusy Frisina risulta pregnante di musicalità e sulla sua scrittura  ha influito in modo significativo la figura e l'arte del notissimo artista.
Sezioni, le cui titolazioni simbolizzano subito ed efficacemente come l'autrice si muova in continuità in una dimensione tra luminosità e oscurità, tra morte e rinascita, ( Ombraluce, Squarci, Rinascite) mettendo in moto poi una “Ricerca interminabiledi terre, luoghi, condizioni esistenziali  in cui giungere e sostare in idilliaca dimensione.
Dunque continua il suo viaggio errabondo iniziato con le sue “Onde interne”  e sulla scorta di quel  “Canto del desiderioche annunciava una  stagione alla ricerca degli scenari del desiderio, immaginato come  Amore simbolo di Verità e luminosità,  proseguito poi con la sillogeDove finisce l'amoreuna quéte amorosa, secondo la definizione di Gavina Cherci nella sua prefazione, alla scoperta dell'isola senza tempo come se un destino oscuro ma inesorabile la destinasse a quella stella che la attrae da sempre, con la forza di un potentissimo aimant”.
La prima sezione Ombraluceapre le danze di questa ultima raccolta, dopo una prima    poesia di apertura dedicata allafata madrinaGrazia; un delizioso e delicato quadretto.
E subito fanno capolino le tematiche care all'autrice e per gran parte avvolte dal filo rosso dei ricordi.
Innanzi tutto la visione o per meglio dire l'apparizione visionaria degli elementi che si posano sul suo sguardo sia che essi siano quelli del gelsomino o di un piccolo uccello sul fiume, oppure la figura del poeta amato Leopardi, a cui dedica una lirica che si ispira al recente film di Mario MartoneIl giovane favoloso”.
L'elemento acqua dilaga come anche il senso dello smarrimento e dell'inganno.
A chiudere la prima parte del libro due poesie che riportano la scrittrice  e il lettore all'attualità della nostra amara realtà odierna, con la dolorosa denuncia delle atrocità della guerra, ( tematica alla quale si mostra molto sensibile) ma anche ad un confronto/ identificazione con e nella sostanza divina di Gesù nella lirica “A un certo Gesù condotta magistralmente tra il donarsi al Salvatore e il ritrarsi in umanissima dimensione.
Seguiamo alcuni passaggi significativi di questa prima parte del volume.
“Ogni inizio è visione “ scrive in apertura della lirica “Via del Gelsomino” e le visioni poi si susseguono nei percorsi memoriali di marine, uccelli sul fiume., acque scroscianti, con cambi di luminosità che vanno dalle solarità più accentuate ai grigiori della pioggia, mentre si affacciamo gli amori inafferrabili, quelli che se ne vanno in un interminabile addio, in:    ” smarrimento di sterminate prigioni di stelle e vasche traboccanti di pensieri” in cui vanamente ritrovare il suo principe.
Ma forse l'aspetto più inquietante di questo inizio è il senso dell'impotenza della propria ricerca e dell'inganno della luce che fa ripiegare l'autrice in una dimensione sfuggevole  e sfumata; significativi sono i versi della poesia “Nella Penombra” :  “ / Ma la penombra è pur meglio del buio/Non so più se in entrata o in uscita.../ l'importante è che il dubbio ci sia/ E sfumato ritorni poesia/ .
Sarà questa incerta luce di amori e verità che accompagnerà  la nostra Giusy per tutto l'arco della silloge la protagonista assoluta nel suo esistenziale ritrovarsi.
Ricerca che continua in  “Squarci” , tipica dimensione di improvvisa luminosità , con incroci tra gli elementi naturali come il sole e lo scirocco e la sottolineatura degli stadi umorali che vanno dall'estasi, alla passione, dalla sofferenza, all'incanto alla vista dei quadri di grandi pittori come il “San Pietro e Paolo” di Caravaggio e la “Visitazione” del Pontorno.
Altre liriche di rilievo sono “Destinazione dell'infinito”, una sorta di definizione dello spazio con la  impossibilità di opposizione al vuoto dell'infinito e di navigazione senza meta  e  : “dove lo spirito aleggia/ e ti conforta/ con il suo pianto ridente/ e  “ Impossibili ricordi ” in cui ritorna prepotentemente la tematica dell'amore; come sempre in Giusy Frisina un “amore-non amore”, una nascita come scrive “ Alla vigilia di una delle mie tante morti”  e dove l'amato ha la perenne maschera delle tristezza.
Amore che assume spessore rilevante nella successiva sezione “La ricerca interminabile” la cui poesia d'apertura è una sorta di manifesto in cui si rivela l'annuncio di un infinito itinere per terre, mari e cieli alla scoperta come scrive del “dolce amore”.
Da qua in poi la poetessa vaga per località come Roma, Bruxelles, Istanbul, Dublino, l'isola di Hydra e la città di Napoli, passando in rassegna luoghi, immagini, storie, momenti estatici e aurei alla ricerca di sé stessa, di approdi felici e di un lui aspirato e sognato, arrivando al termine alla sua “Favola Kantiana”:  “la sublime favola di luna e mare”, in una sorta di trovata certezza quando recita in chiusura della poesia: “E corri ora corri/Non farti più fermare/Non temere la morte che non c'è/ Per il tempo che resta- se tempo c'è/ Con il cielo stellato su di te-ora si/ E la coscienza di sé- sola coscienza morale/ La stessa luce del cielo/ Ancora in te/”.
In chiave ricostruttiva l'ultima parte della silloge titolata “ Rinascite”.
Dopo le ombre, gli squarci di luce e la ricerca interminabile ecco che arrivano le rinascite, siano esse racchiuse nei ricordi di una giovinezza solitaria o dentro un Novembre dai frutti d'oro, oppure affidate ad un poeta ” Mago dell'immaginazione” e “pescatore di anime con la sua rete” e ancora consegnate ad una pioggia purificatrice, ad un sonno che sia propedeutico ad un risveglio di rigenerazione.
La raccolta si conclude con l'ultima sezione intitolata “ Canzoni per L.C ” un omaggio, come già accennato all'inizio, a quel grande cantautore e poeta, figura  per  l'autrice  altamente rappresentativa di bellezza artistica e spirituale, di cui essa è anche la traduttrice dalla lingua madre.
Liriche appassionate, di cui tre in inglese, come  dialogo, confessione, liberazione con e attraverso il suo angelo custode, incursione nel suo canto, immedesimazione nella sua musica.
Insomma depurazione che si fa gioia con questi versi esemplari tratti dalla sua lirica:
Canzone dell'attesa infinita: “ / Veleggiando ai confini del mondo/ ho incontrato la tua canzone/e ho cambiato la tristezza/ e il mio pianto congelato / in un inno di dolcezza.../”
Concludendo si può certo parlare della poesia di Giusy Frisina come di una parola  innovativa e audace, irruenta e spasmodica nel suo manifestarsi, difficile da imbrigliare nei canoni della classicità  poetica sia per la versificazione iper-libera nella sua impostazione che per la costante assenza della punteggiatura.
Ma proprio per queste caratteristiche essa ci giunge assolutamente originale e coinvolgente , direi meglio travolgente e tale da provocare  cumuli di emozioni e umanissime fragilità; una fonte  in cui il  riconoscersi diviene spontaneo, necessario, stimolante  per far affiorare  i limiti delle proprie certezze e percorrere sentieri del tutto visionari ma affascinanti e ricostruttivi, prima sconosciuti.
  
Carmelo Consoli



DAL TESTO



Inizio

E’ rimasto davvero poco tempo
Se davvero tempo c’è
Se i bambini feriti piangono
Sempre più  inconsolabili
Nei bui teatri di guerra
Se  tu sei fermo o cammini
Sopra cumuli di macerie
E  non è la comune realtà
Che potrai mai  percepire
Attraverso il tuo desiderio
Sotto la cupola di stelle
Che ti inventi ogni notte
Basta solo che  la guardi

Ma ti hanno parlato di un Dio
Troppo lontano per esistere
E ti hanno parlato di Buddha 
Che non ti chiede nulla
Se non di liberare il cuore
E ti parlano di Gesù
Troppo scomodo sulla Croce
Del suo coraggio e della sua paura.

Ma ora guardiamo più  dentro
Il cielo vuoto che sale piano
E non sappiamo che chiamarlo
Col sacro nome del silenzio
Nel sussurrare una  canzone
Quasi fosse un nuovo Inizio.




Via del gelsomino

Ogni inizio è visione.
Una notte insonne
Un mistero da svelare.
Meraviglia di cristalli e oro
Sulle  azzurre distese marine.
Assordante silenzio
Di  una sacra sera estiva
Quando appaiono le prime stelle.
Ed è attesa di un tempo inconsueto
Un dolore che si scarta piano
Rivelando  il suo cuore di perla,
Una  mano che accarezza il nulla,
Una  siepe che si chiude invano,
Uno  sguardo complice alla luna
Che ora corre sulle rotte del vento
E del profumo di gelsomino.


Naufragio

Disastro
è una pioggia di stelle
sul mare salato,
sola risposta possibile
se luci fioche
avanzano  dalla  terraferma
per l’inutile salvataggio.
Grondanti
approderemo così
sull’ isola  dei morti,
se mai saremo pronti
a rinascere.



Quasi  novembre

Era il tempo dei frutti d’oro
Gialli kaki invasi dal sole
Lì rifugiato per l’inverno
Era la notte dei frutti di bosco
Intrappolati nelle tragiche conserve
Era l’ora dell’Angelo spaurito
Ripiegato sulle foglie sfumate
Nelle  rosse brume dell’alba

Non era più tempo ma c’era
Ancora  tempo

E tu correvi sempre
incerta  se mai  fosse ancora giorno,
Oppure  già tramonto  viola,
In una mano solo perle azzurre
Nell’altra  neri rovi
E quasi sempre vento

E tu correvi verso te
o verso lui indecisa
Mentre  l’Oriente bruciava
- E  noi con loro -
In un’Apocalisse annunciata
E mai finita in mare
Ma in una pozza di sangue
Che  mai potrai prosciugare
Con quel tuo piccolo guscio di noce
Con cui speravi trovare risposta
Dal mattino in cui sei nata
Sotto una coltre di neve
Quando già pure volavi
Sulla tua  spiaggia assolata



Ancora la pioggia

Ancora la pioggia,
se il rosso vivo delle foglie ci accompagna
nel cieco  mattino senza sconti di pena,
se lucida annebbia tutti i tuoi pensieri
e  segna effimeri percorsi  musicali
con le sue vuote  dita  di ghiaccio.

Ancora la pioggia
con i grani preziosi dei tuoi gesti
di amato amante  e di noi,
senza  alcun  domani,
tra gli alfabeti di candide corolle
sulle apparenze di oscuri cerchi d’acqua.

Ancora la pioggia,
e siamo quasi salvi,
nella selva dei fili argentati,
senza alcun ordine geometrico rimasto,
con  mare e lacrime confusi nello sguardo
e  ancora cielo caduto tra le mani.



Lullaby

Quale silenzio
 Si nasconde dentro  questa musica
Così dolce
Ben  diverso dal silenzio
 Della notte murata
Oscillante e profondo
Come un abissale abbraccio
 del Nulla
E con  la tua voce che graffia leggera
Alle  calme porte del mistero
Forse potrò  avventurarmi
Fino  a commuovermi
Nei deserti del tuo miele
E  seguirò la tua scia
Fino a morire tra le braccia
Di una  luna nuova
E sulle orme della mia ricerca
Tramuterò  questa goccia
Di me
In una  piccola fiamma d’argento
Vuota  luce di angelica presenza
Grazie a questa muta voce
Dell’infinito  desiderio
Trasmessa nell’etere
Grazie alla parola che non giudica
E  che trasforma piano
Parlando  solo al Silenzio
Nascosto dentro a una canzone
Che dolcemente  si conclude
Col mio respiro
Nella  notte aperta

  
Nelle nere stanze della luna

Nelle nere stanze della luna
Si agitavano sonni inquieti
E  passavano  ombre di sogni
Su tappeti di filigrana.

Ho ricamato quei tappeti d’oro
Con bianche mani da pianista
E intessuto con fili di perle
Le parole che scrivevo
Negli altopiani del dolore
E della gioia senza nome.

Tu eri lì, vestito di rame
Sulle porte del mio deserto
Tra le mani un volto di pietra
Nello sguardo acqua di mare. 

Aspettavi nel sacro silenzio
la luce rara che arriva dal monte
nella notte dei mille timori.
Io aspettavo il tuo canto lontano
Nelle nere stanze della luna
su  tappeti di filigrana .


Giusy Frisina 


























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