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domenica 16 ottobre 2016

M. GRAZIA FERRARIS: "LA SCUOLA CATTOLICA DI E. ALBINATI"




Maria Grazia Ferraris collaboratrice di Lèucade

La scuola cattolica di Edoardo Albinati.
 
Non conoscevo Edoardo Albinati, se non per alcune poesie, come Elegie e proverbi,  pubblicate nel lontano 1989 e mi interessava soprattutto il rapporto che tale scrittura andava ponendo tra poesia e prosa, tema che emerge consapevolmente già dalla scelta del titolo. I componimenti lunghi pongono infatti il rapporto con la prosa che ridiventa, privilegiando la forma poematica, una decisa scelta verso la narrazione. L’adozione di un verso lungo e di un andamento sintattico discorsivo, argomentante, tenta di raccontare delle 'storie', magari minime, espressioni di una realtà decadente, deturpata, a tratti trucida, granguignolesca, macabra, che irride il mondo contemporaneo.
L’ interrogativo che attraversa queste elegie è:quanto, del quotidiano monotono, informe, orrendo vivere  può farsi poesia? Oppure: quanto, fino a che punto la poesia può testimoniare?
Che Albinati ami la prosa, la descrizione minuziosa  non c’è alcun dubbio, basta leggere alcuni versi del suo poemetto
Cinismo e poesia:

…Entrò. Era il momento in cui la gente
Stava ancora arrivando, in cui faceva il pieno
Bevendo, in attesa, tra le quinte, delle parti
Che la propria individualità inebriata
Avrebbe interpretato nella festa:
Il lunatico, il languido, la ragazza sprezzante.
Tutti a scolarsi letali Martini e Negroni, e c’era un tremendo
Via vai nei bagni, mentre le sigarette
Fumavano da sole nei posacenere rubati…

E i personaggi presentati sono quelli della Roma borghese, la Buona Borghesia e la sua pseudo-Cultura  che ci descriverà nei romanzi successivi: banali, aridi, cinici, ipocriti, deboli, insensibili… il sentimento presentandosi accettabile solo a bassissime temperature e anche squilibrato: una sobria e prosaica e demoniaca epopea dell'infelicità borghese:

…C’erano musicisti, un giocatore di scacchi solitario che armeggiava Una scacchiera elettrica; c’era un poeta che da un palco, nelle serate Di un’estate lontana, aveva declamato poesie assordanti
Come barattoli di latta (allora
Chissà perché, parvero a tutti pura musica)
C’erano, si capisce, intellettuali vari, scialbi e vistosi
Timidi o sfacciati.
Il poeta imperversava come una tempesta di neve.
Nessuno sapeva chi fosse…

È già l’ambiente borghese, il tema privilegiato, che diventerà protagonista de La scuola cattolica.

Estate 2016: l’ho dedicato alla lettura di La scuola cattolica, premio Strega, di Edoardo Albinati. Ho detto bene-dedicato-: un tempo lunghissimo.  Si tratta infatti di un romanzo sconfinato, straripante, talvolta ridondante  di 1300 pagine (distribuite in 10 parti) che l’autore impiega almeno dieci anni a scrivere, dopo essersi documentato con un numero imprecisabile di fonti di ogni genere, e che richiede tempi quasi infiniti di lettura.
Un romanzo? no, un insieme di romanzi: infatti c’è posto per il romanzo di formazione, quello psicologico, quello sociologico-politico,  il thriller, il libro di memorie, i racconti di scuola, il mondo religioso cattolico, l’educazione giovanile degli anni Settanta, la critica della borghesia,  l’autocritica spietata, la condizione maschile, un mondo setacciato attraverso un’acribia scrupolosa, esatta, minuziosamente accurata- sociologica, filosofica, storica, letteraria-, e soprattutto attraverso la strumentazione che gli viene dallo studio del femminismo…; una serie di riflessioni che procedono per ramificazioni, divagazione e riprese,  avvitamenti sulle letture e le esperienze biografiche di Albinati: la scuola romana del quartiere Trieste, il San Leone Magno, invenzione e fedeltà in cui i ricordi si fondono senza specificare precisamente le dosi dell’amalgama: adolescenza, sesso, religione e violenza; il denaro, l’amicizia, la vendetta; professori mitici, preti, teppisti, piccoli geni e psicopatici, fanciulle enigmatiche e terroristi… raccontati con il coraggio di affrontare a viso aperto i grandi quesiti della vita e del tempo, e di mostrare il rovescio delle cose.
“Per certi versi, nel Quartiere Trieste era come se fossimo nel Medioevo. Una cittadella turrita, protetta dentro le sue mura, una crema di professionisti mercanti e funzionari dalla mentalità ristretta, che temono sopra ogni cosa il disordine e qualsiasi intemperanza venga a turbare lo svolgimento dei loro affari. Segreti ben custoditi, quieto vivere…”(p.800)
Erano gli anni in cui la borghesia italiana preferiva mandare i propri rampolli alla scuola privata dei preti, pensando che potesse essere un segno di distinzione, oltreché una garanzia di educazione.
“Non so, ancora non so, ancora non ho capito cosa penso dei preti. Cosa provo verso di loro... per parecchi anni nascosi il fatto di essere andato al SLM, a scuola dai preti, come si nasconde un difetto fisico…” Ma in questa fucina di ceto borghese che aspira a diventare la classe politica e intellettuale di domani, si rivela l’aggressività, la cupidigia, le paure degli anni ’70 italiani.

“ È sempre difficile rapportarsi alla scuola, in senso critico o con intenzioni narrative, pressoché impossibile mentre vi si soggiorna come studenti, quasi sempre in modo rassegnato o risentito se vi si insegna,  inevitabilmente melenso se ci si limita a ricordarlo dopo anni, come parte integrante della propria gioventù… il paradosso vuole che di un’istituzione così fondamentale e universale e durevole si possa dire con quasi matematica certezza  che l’unico memento vero di gioia che provoca è quando ci si chiude la sua porta alle spalle sempre. E se non è gioia, è sollievo”
“..cosa facevamo, nel frattempo, a scuola? Aspettavamo. Aspettavamo ruminando formule, poesie, teoremi, elenchi, trascrivendo, cancellando con la gomma bianca e quella blu, ingessando lavagne, lanciando palloni della salute, infilando il temperino nei solchi del banco, guardando gli alberi fuori dalla finestra…”

L’eccezionalità di questo libro deriva dai dieci anni di lavoro necessari alla stesura, ma soprattutto dal non voler lasciare nulla di nascosto, nella volontà di dire, come in una confessione, alla Agostino, alla Rousseau… di recuperare il passato come in Proust, e la propria dubbiosa  identità.
“L’ideale astratto di virilità, be’, è quasi impossibile centrarlo, la stragrande maggioranza degli uomini per tutta la vita non lo consegue neanche di striscio, rimane ai margini del modello… Be’, io non ho mai conosciuto nessuno che corrispondesse a questa figura ideale.”
La prosa di Albinati esibisce una continua serie di limiti e barriere, ripensamenti, rivisitazioni, di fronte alle quali la letteratura si interroga seriamente su se stessa, e la felicità letteraria si confronta con l'infelicità esistenziale, senza mediazioni. Il tema è nondimeno sicuro, onnipresente ed invasivo, saggistico: cinquant’anni di storia personale e comune italiana.
La fonte storica-cronachistica da cui scaturisce l’intera narrazione è duplice.
 La prima è la coincidenza per cui Albinati è stato compagno di scuola dei tre protagonisti del delitto del Circeo – Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira (Angelo, Subdued e il Legionario, nel libro) – che violentarono e massacrarono Rosaria Lopez e Donatella Colasanti; e quest’ultima si salvò miracolosamente, fingendosi morta. Era il 1975: l’autore aveva vent’anni, gli assassini avevano pure vent’anni.
La seconda è l’altro delitto di cui si è reso colpevole Angelo Izzo, nel 2004: l’omicidio feroce di una donna e di sua figlia di 13 anni a Ferrazzano, un paesino vicino Campobasso nel quale Izzo scontava la pena in una cooperativa, affidato di giorno ai servizi sociali.
Nel 2004 Albinati, che non aveva mai scritto del delitto del Circeo nonostante la conoscenza diretta, sente una sorta di vocazione a raccontare questa storia, a doverla dire completamente senza parentesi o velami. Una ricostruzione anche letteraria.
“Il DdC è strutturato come una fiaba e della fiaba possiede l’ingannevole semplicità .
Due ragazze vengono attirate in una casa nel bosco…Una catena di causalità guida il passaggio da uno stadio a quello seguente, quasi uno slittamento. Le sedute di sevizie sessuali sono basate sul principio, tipico, della ripetizione intensificata, come nell’Acciarino magico di Andersen, dove i cani da incubo che custodiscono il tesoro hanno gli occhi progressivamente più grandi, sempre più grandi-  prima come piatti, poi come ruote, poi come la torre di Copenhagen; la violenza è graduata in crescendo, per mettere alla prova la capacità di resistenza  della vittima, il suo corpo testato come un motore sul banco di prova, scosso e percosso, schiacciato, slogato. la pulsione astratta del torturatore che vuole penetrare attraverso la sua vittima fino al punto dove questo cessa di resistere…” Il racconto del delitto esigeva però tempi lunghi, soprattutto  a lui, che è stato immerso nell’ambiente in cui è maturato….
“L’ho presa un bel po’ alla larga? Avete ragione: ma era la natura stessa del delitto a richiedere che se ne raccontassero i preliminari; o piuttosto, i cerchi concentrici che lo avvolgono, gli anelli che da un lato vi conducono, dall’altro se ne allontanano, come in certe insegne luminose…Potrebbe darsi che al centro del bersaglio non vi sia alla fine quel delitto, ma qualcos’altro… (che se avete la pazienza di seguirmi scopriremo insieme)”…
Forse il pensiero conclusivo del maestro riconosciuto in tutto il romanzo, il professor Cosmo, può ben illustrare le emozioni di Albinati:  “ Quando la nostalgia scompare, non lascia posto alla serenità, ma al vuoto. Aver dimenticato molte cose del mio passato non mi reca particolare sollievo, anche perché nulla giustifica la bizzarra selezione per cui continuo a ricordare vividamente alcune, soltanto quelle ..L’arbitrio della memoria è un fenomeno ironico e sconcertante…”

Non conoscevo la prosa di Albinati, né le sue capacità di indagine così dure e spietate da essere rese col termine coniato dai nazisti vergeltungawaffe, (arma di rappresaglia in italiano).
Oggi so che Edoardo Albinati, scrittore e insegnante nel carcere romano di Rebibbia dal ‘94, da giovane ha suonato in gruppi pop e jazz e  che la musica gli ha insegnato, come dice in un’intervista, a improvvisare, a variare su un tema e che tutti i suoi libri hanno una struttura musicale.
E' nato a Roma, nel 1956. Ha esordito nel 1988 con una raccolta di racconti, Arabeschi della vita morale. È autore del romanzo Il polacco lavatore di vetri (1989), Maggio selvaggio, 1999 a cui hanno fatto seguito Sintassi italiana (2001), Il ritorno (2002). Con il romanzo Svenimenti, ha vinto il Premio Viareggio nel 2004. Del 2009 è la raccolta di racconti Guerra alla tristezza. Ha pubblicato volumi di versi: Elegie e proverbi (poesie, Mondadori, 1989); La comunione dei beni (poema, Giunti, 1995); Mare o monti (poemetto, ed. L’Obliquo, 1997, con Paolo Del Colle).
So che descrive con lucidità, durezza  e consapevolezza personaggi nevrotici, malati, morsi dai propri appetiti sessuali in monologhi spietati di severa denuncia:

E non sopporto questa falsità… così romana
Tutto il cinismo, la malafede, gli inganni.
Guarda ad esempio quel critico teatrale: a quasi
Cinquant’anni, sta lastricando di libri letti e non letti
La strada per condurre una fanciulla bionda
A casa sua. La stringe in un angolo come un ragno
E con la bava le fila intorno un bòzzolo di cazzate.

Intende abbattere il dualismo tra prosa e poesia, “così implicito in formule stereotipe che richiamano un abbassamento della poesia verso la prosa. Negare la contrapposizione tra le due forme espressive serve a ridare centralità alla poesia all’interno della letteratura”.
«La poesia deve figurare accanto all’articolo di guerra, ma attenzione, non per forza una poesia di guerra, altrimenti siamo di nuovo all’adaequatio, a ridurre il problema a uno scambio di contenuti […]. La poesia vince la prosa solo su un terreno condiviso da entrambe» . (E. Albinati, Appunti su poesia e prosa, in La parola ritrovata,Venezia, Marsilio).
Interessi vari, vasti. L’idea di una letteratura mai evasiva o puramente estetica.
Uno scrittore da seguire con attenzione.

 Maria Grazia Ferraris








2 commenti:

  1. Non sono mai riuscito ad apprezzare la poesia di Albinati. Un conto è la poesia un altro è la prosa. Troppo lungo sarebbe il discorso. Quello che invece apprezzo e che seguo continuamente su questo blog è la scrittura di M. Grazia Ferraris (poesia, prosa, saggistica); la sua cultura, i suoi messaggi, la sua incisività.
    Complimenti per questo approfondito saggio

    Prof. Angelo Bozzi

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  2. La vivacità culturale di Maria Grazia Ferraris sorprende in continuazione. Trovo molto suggestivo questo saggio su Edoardo Albinati, per gli interrogativi che suscita e per le tematiche trattate. Albinati è poeta discutibile, ma condivido l'idea che sia "uno scrittore da seguire con attenzione" per "l'idea di una letteratura mai evasiva o puramente estetica". Da tempo mi interrogo sulle differenze tra prosa e poesia, ma ritengo che non possiamo capire le differenze se non teniamo conto del terreno su cui si muovono entrambe: l'arte, ovvero l'incontro fra spirito e ragione. Va da sé che, nel rispetto di questo incontro (incontro dell'universale con il particolare), le miscele possibili siano infinite, e tutte degne di pari attenzione.
    Franco Campegiani

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