Emma Mazzuca: Caos. BastogiLibri. Roma. 2016. Pg. 72.
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CAOS
Altra
notizia non voglio
eccetto
te
qualunque
altra è briciola
in
cui la memoria affanna
e
ancora scava per continuare
a
cercarti divenendo folle d’oscurità
s’incendia
il sangue ma solo a flussi arde
guarda
il tuo guardare mancante
-specchio
dentro il quale non mi specchio
tu
sconvolgi quest’ombra - tu crepiti
e
quando credo di udirti – raggelo
gelida
d’amore vivo nel centro mio di te
mai
finito di finire
-chiaramente
intendo che non intendo.
Questa
la poesia eponima che da subito ci introduce in quelli che sono gli abbrivi
emotivi della plaquette: amore, tristezza, memoria; insomma vita in tutta la
sua portata, in tutto il suo accoramento, in tutta la sua epigrammatica vicenda,
e vita significa amare, soffrire, sognare, dacché essa è fatta di realtà,
nostalgia, illusioni, delusioni; e dacché l’esistere della Mazzuca equivale ad
una vicenda di polivalente valenza, di plurali connotazioni, è necessario un
sintagma nuovo, ora espanso ora rattenuto, ora forgiato su accorgimenti
stilistici che acchiappino le macerazioni dell’anima; le sue sporgenze verso un
mondo che la identifichi. Ed è già qui il suo messaggio fresco e innovativo; in
questi versi che si servono di stratagemmi stilistici personali e creativi. La
lingua ha bisogno di correre per seguire e indossare la fiamma che arde
nell’animo della scrittrice: accostamenti insoliti, (guarda il tuo guardare; specchio…
non mi specchio; raggelo gelida; finito di finire, intendo che non intendo), paronomasie,
metonimie, metaforiche esposizioni, assonanze in un discorso libero e svincolato
da ogni costrizione formale, dove tutto viene naturalmente; un fluire
interrotto a singhiozzi da lineette significanti; insomma un linguismo che con
tutta la sua portata innovativa cerca di rendere visivo un mondo di passione e
di riflessione: coscienza di esistere, fugacità, brevità, sottrazioni al
patrimonio del nostro esistere:
…
Schiarisce la foglia e vermiglio
s’innalza
un colore, da dove?
-non
è sintomo di vigore.
Poi
il tempo.
Già
di morte crudele il giallo sfavilla (Il tempo è il sangue luminoso).
La
natura si rende interprete principale degli impulsi emotivi che si addensano
nel pentagramma. Le note assecondano il fluire del canto. Colore, dove, vigore:
assonanze, rime; il tutto sembra dia un
tono bucolico alla versificazione mentre essa, al contrario, scivola verso una
visione ontologica della realtà; una visione personale di una storia e di una
filosofia: la brevità della vita, la crudeltà della morte, e l’interrogativo
dopo quel dove che tanto sta a significare la nostra impotenza di fronte alla
totalità dei tutto; di fronte a quegli orizzonti che demarcano il nostro
esistere. Sì, accorgimenti che dicono quanto la Nostra sia adusa alla scrittura
e ai suoi marchingegni; basta fermare l’attenzione sulla poesia dal titolo
senso, sul suo complesso significato ma soprattutto sulla forma che si articola
in una geometria a trapezio che, per aumentazione, dal senario iniziale,
attraverso misure crescenti, finisce con un raddoppiamento di due settenari. Una
portata metrica che accompagna il
diacronico “senso umettato di vita”. Insomma una silloge varia e articolata che
dà una chiara idea di quanto siano in equilibrio il dire e il sentire; di quanto
la Nostra giochi sugli accorgimenti sinestetico-stilistici per assecondare la
fuoriuscita di un pathos che sgomita per rendersi vero e visivo. E sono le
tante intrusioni verbali, i tanti vezzi iconici a dare corpo al sentire, a
sfoggiare con soluzioni semantiche i ritmi del cuore e della mente: giorni
smarriti, profumo ingannevole, briciole di ticchettii, estate mendace, il
gazebo del rimpianto, isola mentale, le labbra del sole, macerie di luce…
D’altronde
è l’amore che incalza la vita; che ne fa giorni felici, attese snervanti,
dolori e inquietudini, voli e svoli. Ed è quello il sentimento che ci dice che
esistiamo e che ci porta memorie di primavere, illusioni e delusioni, speranze
ed autunni, mentre la vita scorre all’insaputa delle nostre azzurrrità:
Per
quale offesa, per quale collera
con
la sua lama di foglie morte
l’autunno
ci pugnala?
(…)
di
volta in volta
hai
avuto in dispregio le buone stagioni
strappandone
con vigore le gioie accoccolate
adesso il giorno può oscurarsi
l’inganno
ti ha apposto le ali (Autunno).
Nazario Pardini
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