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martedì 4 ottobre 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "CAOS" DI EMMA MAZZUCA


Emma Mazzuca: Caos. BastogiLibri. Roma. 2016. Pg. 72. 
Euro 8,00

CAOS

Altra notizia non voglio
eccetto te
qualunque altra è briciola
in cui la memoria affanna
e ancora scava per continuare
a cercarti divenendo folle d’oscurità

s’incendia il sangue ma solo a flussi arde

guarda il tuo guardare mancante
-specchio dentro il quale non mi specchio

tu sconvolgi quest’ombra -  tu crepiti
e quando credo di udirti – raggelo

gelida d’amore vivo nel centro mio di te
mai finito di finire

-chiaramente intendo che non intendo.

Questa la poesia eponima che da subito ci introduce in quelli che sono gli abbrivi emotivi della plaquette: amore, tristezza, memoria; insomma vita in tutta la sua portata, in tutto il suo accoramento, in tutta la sua epigrammatica vicenda, e vita significa amare, soffrire, sognare, dacché essa è fatta di realtà, nostalgia, illusioni, delusioni; e dacché l’esistere della Mazzuca equivale ad una vicenda di polivalente valenza, di plurali connotazioni, è necessario un sintagma nuovo, ora espanso ora rattenuto, ora forgiato su accorgimenti stilistici che acchiappino le macerazioni dell’anima; le sue sporgenze verso un mondo che la identifichi. Ed è già qui il suo messaggio fresco e innovativo; in questi versi che si servono di stratagemmi stilistici personali e creativi. La lingua ha bisogno di correre per seguire e indossare la fiamma che arde nell’animo della scrittrice: accostamenti insoliti, (guarda il tuo guardare; specchio… non mi specchio; raggelo gelida; finito di finire, intendo che non intendo), paronomasie, metonimie, metaforiche esposizioni, assonanze in un discorso libero e svincolato da ogni costrizione formale, dove tutto viene naturalmente; un fluire interrotto a singhiozzi da lineette significanti; insomma un linguismo che con tutta la sua portata innovativa cerca di rendere visivo un mondo di passione e di riflessione: coscienza di esistere, fugacità, brevità, sottrazioni al patrimonio del nostro esistere:

Schiarisce la foglia e vermiglio
s’innalza un colore, da dove?
-non è sintomo di vigore.

Poi il tempo.

Già di morte crudele il giallo sfavilla (Il tempo è il sangue luminoso).

La natura si rende interprete principale degli impulsi emotivi che si addensano nel pentagramma. Le note assecondano il fluire del canto. Colore, dove, vigore: assonanze, rime; il tutto  sembra dia un tono bucolico alla versificazione mentre essa, al contrario, scivola verso una visione ontologica della realtà; una visione personale di una storia e di una filosofia: la brevità della vita, la crudeltà della morte, e l’interrogativo dopo quel dove che tanto sta a significare la nostra impotenza di fronte alla totalità dei tutto; di fronte a quegli orizzonti che demarcano il nostro esistere. Sì, accorgimenti che dicono quanto la Nostra sia adusa alla scrittura e ai suoi marchingegni; basta fermare l’attenzione sulla poesia dal titolo senso, sul suo complesso significato ma soprattutto sulla forma che si articola in una geometria a trapezio che, per aumentazione, dal senario iniziale, attraverso misure crescenti, finisce con un raddoppiamento di due settenari. Una portata metrica che accompagna  il diacronico “senso umettato di vita”. Insomma una silloge varia e articolata che dà una chiara idea di quanto siano in equilibrio il dire e il sentire; di quanto la Nostra giochi sugli accorgimenti sinestetico-stilistici per assecondare la fuoriuscita di un pathos che sgomita per rendersi vero e visivo. E sono le tante intrusioni verbali, i tanti vezzi iconici a dare corpo al sentire, a sfoggiare con soluzioni semantiche i ritmi del cuore e della mente: giorni smarriti, profumo ingannevole, briciole di ticchettii, estate mendace, il gazebo del rimpianto, isola mentale, le labbra del sole, macerie di luce…
D’altronde è l’amore che incalza la vita; che ne fa giorni felici, attese snervanti, dolori e inquietudini, voli e svoli. Ed è quello il sentimento che ci dice che esistiamo e che ci porta memorie di primavere, illusioni e delusioni, speranze ed autunni, mentre la vita scorre all’insaputa delle nostre azzurrrità:

Per quale offesa, per quale collera
con la sua lama di foglie morte  
l’autunno ci pugnala?
(…)
di volta in volta
hai avuto in dispregio le buone stagioni
strappandone con vigore le gioie accoccolate

adesso  il giorno può oscurarsi
l’inganno ti ha apposto le ali (Autunno).


Nazario Pardini

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