Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
Dopo "Il Ritorno"
"Aspirazioni di un adolescente"
nuovo romanzo storico di Giorgio
Vindigni
In "Aspirazioni
di un adolescente" (Helicon editrice),
Giorgio Vindigni continua il racconto della sua vita iniziato con l'opera precedente,
intitolata "Il ritorno". Anche questo è un romanzo autobiografico
cucito sullo sfondo di vicende internazionali di fondamentale importanza per la
storia del XX secolo. Non si pensi pertanto al diario di intonazione
intimistica. Non lo consente anzitutto l'uso della terza persona, anziché della
prima, come è consuetudine in quella forma letteraria. Qui l'autore, Vindigni,
prende le distanze da Giorgio, che è lui stesso, il protagonista dell'azione
narrata.
C'è poi da
considerare l'uso del tempo passato, anziché di quello presente, come accade
nel diario generalmente scritto a caldo. E, si sa, il tempo passato, il tempo
del ricordo, differisce l'azione narrativa collocandola all'indietro nel tempo,
il che consente di osservare le vicende narrate da una certa distanza, di
filtrarle dunque, senza adulterarle, rendendo in qualche modo oggettivo il
racconto e stemperandone il calore intimistico. Dove si collocano i fatti? Geograficamente in due Paesi distinti,
la Libia e l'Italia; storicamente in quel lasso di tempo che
va dalla fine degli anni Trenta alla fine dei Cinquanta, il ventennio cruciale
del XX° secolo.
E' il periodo postbellico, caratterizzato dal dilagare
della società di massa dei tempi attuali, con la fine della società contadina,
da un lato, e la ricostruzione civile dall'altro. Il periodo che vede la
nascita, ma anche la graduale relativizzazione, di tutte le ideologie: il
marxismo proletario da un lato e il cattolicesimo borghese dall'altro (Camillo
e don Peppone, per intenderci), sullo sfondo di quel sogno americano che viepiù
viene scivolando verso l'omologazione e il dominio tecnologico. Gli scenari
descritti da Vindigni non riguardano tuttavia il mondo occidentale in senso
stretto, ma vi si affiancano e lo completano, con l'affresco di quelle vicende del
mondo arabo che sono parallele ad esso e con esso si fondono in un unico quadro
storico.
Si è parlato
giustamente di Neorealismo a proposito dello stile di Giorgio Vindigni,
sostanzialmente veristico e filmico, caratterizzato da vivacità, colore e presa
diretta sulla vita pubblica. Lo ha fatto in modo specifico Carmelo Consoli, parlando
del precedente lavoro dell'autore, "Il Ritorno", e sottolineandone l'umanità,
la schiettezza e il vigore narrativo, con quelle "ampie aperture epocali
politiche, sociali, storiche, e quindi antropologiche, ad ampio respiro, tali
da farlo risultare un grande affresco della nostra storia del '900 pre e post
bellica un po' come lo sono stati in campo cinematografico i film del neo
realismo italiano da Fellini a Visconti ad Antonioni".
C'è da specificare
che il neorealismo di Vindigni non si esprime nei termini di una
rappresentazione della vita popolare e del mondo operaio, ma è piuttosto una
zumata sulla ricostruzione civile, sull'industrializzazione e sul cosiddetto
miracolo economico che allo stesso titolo ha caratterizzato la storia di quegli
anni. Non a caso il giovane Giorgio, dopo mille peripezie (fra cui quella di
una vocazione sacerdotale incompiuta) si dedicherà a studi di indirizzo tecnico
commerciale che lo introdurranno nel mondo delle banche. Tant'è che nel 1987, lui
oramai cinquantenne, darà addirittura alle stampe un testo, "Bancaria",
con il proposito di divulgare la tecnica del funzionamento di banca.
Sta qui il realismo,
o il verismo, della scrittura vindignana, una scrittura che nasce dalla vita e
che ha fede nella vita. Orizzonte, questo, che tiene lontano l'autore da ogni
tentazione estetizzante o retorica, da ogni risucchio nell'orbita decadentistica,
che pure attrae tanta letteratura dei nostri tempi. L'autore racconta in queste
pagine i primi ventuno anni della propria esistenza, particolarmente
avventurosi, con le incertezze sulla strada da percorrere, con i repentini
cambi di rotta e di intenzioni, con i continui viaggi tra l'Italia e l'Africa,
con i primi contatti con l'altro sesso, eccetera. Stupendo è quanto scrive
nell'introduzione, a proposito di questo aprirsi del giovane alla vita.
Egli scrive: "L'adolescenza
è l'età più bella... Usciti dal periodo della pubertà, ci si lancia verso nuove
esperienze. Tutto è novità; la famiglia, la scuola, i compagni e gli amici. Un
fiore che sboccia, apre lentamente i suoi petali; assaporando l'aria fresca del
mattino, si schiude al sole che sorge e si scalda ai raggi che lo inondano
dandogli colore e luminosità... Il fanciullo cresce, apprende, imita, scopre un
mondo nuovo di cui si sente partecipe... Indaga su coloro che attirano la sua
attenzione, sulle professioni da essi svolte... Si confronta con i suoi
coetanei e comincia a progettare cosa mai farà da grande... A corredo della sua
formazione concorrono tutti quegli avvenimenti che lo circondano, e fanno da
cornice alla sua esistenza, durante il percorso degli anni del suo
sviluppo".
Il racconto inizia
con Giorgio poco più che bambino, quando insieme alla mamma Emma raggiunge il
padre Antonio, trapiantato a Tripoli durante il periodo bellico. Madre e figlio
vengono dalla Sicilia, da Modica per l'esattezza, in provincia di Ragusa, dopo la
morte della sorella di Giorgio, Assunta, avvenuta in seguito ai bombardamenti
inglesi. Questa fase iniziale della sua vita è davvero triste, ed è oltretutto aggravata
da un incidente occorsogli per essere investito, mentre torna insieme al padre,
in tandem, in bicicletta, da un camion
di soldati inglesi che fuggono dai musulmani insorti contro gli invasori. L'incidente
rappresenta l'inizio di un vero e proprio calvario per il bimbo, costretto a
subire ripetuti interventi chirurgici alla gamba, con lunghissimi ricoveri
ospedalieri.
Bersagliato da tante
sofferenze, il ragazzo è stimolato a crescere rapidamente, maturando un
carattere forte e antagonista, ricco di determinazione e di sana voglia di riscatto
(non di rivalsa, ma di riscatto). In tutto quel tempo, egli medita
profondamente su quanto potrà fare da grande, vagliando varie opportunità, a
partire dalla sua spiccata attitudine canora, che gli procura notevoli
soddisfazioni pubbliche. La scelta che sembra prevalere, anche se poi abbandonata,
è tuttavia quella clericale, come già detto, spinto dal desiderio di aiutare la
gioventù e di educarla, sull'esempio di Don Bosco e dei padri salesiani. Si
iscrive pertanto nelle scuole salesiane di Napoli, in Aspirantato,
dolorosamente consapevole di doversi allontanare dalla famiglia e soprattutto dall'autoritario,
ma amatissimo padre, figura quasi miticizzata.
"Aspirazioni di
un adolescente" diviene così il racconto di una saga familiare le cui
vicissitudini s'intrecciano sullo sfondo della storia generale del Novecento,
riguardante in particolare i travagliati rapporti del mondo occidentale con il
mondo arabo, in piena trasformazione entrambi. L'autore, narrando le proprie
vicende, ritesse abilmente la trama delle difficili relazioni tra i due mondi,
che, nate in quel tempo, o forse peggiorate in quel tempo, sembrano destinate a
restare irrisolte, e fino ad oggi lo sono, deteriorandosi. Particolarmente
illuminanti sono gli spaccati di vita politica e sociale che sapientemente egli
innesta nell'esposizione romanzata delle proprie vicende e di quelle della sua
famiglia. Ricapitoliamole.
Prima della Seconda
Guerra Mondiale, la Libia è colonia dell'Impero Italiano, fin quando le nostre
truppe non sono scacciate dagli Alleati nel '43. Da allora
la Libia viene dominata dalla Francia e dal Regno Unito,
fino a quando l'ONU
stabilisce che la Libia deve diventare indipendente con regime monarchico,
offrendone la corona a Idris Senussi, Califfo di Cirenaica e
Tripolitania. Siamo nel '52, e poco dopo il Paese aderisce alla Lega Araba.
A quel punto gli scenari si ampliano su tutto il mondo arabo: dall'ascesa di Nasser
in Egitto, nel '54, fino all'inizio di quelle ostilità con Israele e con
l'Occidente, che non verranno mai più risolte e si complicheranno fino ai
nostri giorni. E' ancora lontano l'avvento del colonnello Gheddafi, che pure
viene nominato nel libro, il quale nel '69 abbatterà la monarchia di Idris per
imporre in Libia il suo regime.
Interessanti sono,
oltre agli aspetti storici, gli aspetti antropologici del testo, dai rapporti
frizzanti e vivaci con l'altro sesso ai contrasti generazionali, in particolar
modo con l'autoritarismo paterno. E qui mi piace estrapolare un passo particolarmente
emblematico: "Non fu facile per Giorgio ottenere dal padre il permesso per
la notte di Capodanno a casa di Rosy, una compagna di studi che abitava nei
pressi di casa sua, insieme con altri amici della stessa classe. Non lo avesse
mai chiesto. Antonio reagì dicendo che egli non era un pipistrello e che non
sarebbe dovuto stare fuori casa oltre le ventidue. Alle insistenze di Giorgio,
il padre alzò il braccio per imprimere forza al suo discorso.
Il giovane,
spaventato, gli afferrò il polso e gli suggerì di non usare quel metodo che
riteneva sbagliato. Lo fissò negli occhi e salì di sopra, mentre Giorgio usciva
per recarsi alla festa di fine anno; non voleva sfigurare con gli amici, a
vent'anni si sentiva abbastanza responsabile delle sue azioni. Il padre non
aveva forse tutti i torti; di notte avrebbe potuto imbattersi in qualche
indigeno male intenzionato, il che non era cosa rara. Egli poté riprendere il
dialogo con il padre non prima di una settimana; quest'ultimo non si sarebbe
aspettata una tale reazione da parte del figlio che tanto stimava per la sua
educazione e bontà d'animo.
I contrasti con il
padre erano del tutto accademici; s'incentravano sugli avvenimenti riportati
dalla radio italiana o da qualche giornale che giungeva dall'Italia, sempre il
giorno dopo la sua uscita, per via aerea. Era il 1958 quando la radio
trasmetteva notizie riguardanti un non lontano futuro in cui l'uomo avrebbe
messo piede sulla luna; avvenimento da lui definito pazzesco ed
irraggiungibile, ma Giorgio lo contraddiceva essendo più speranzoso nella
scienza". Ci troviamo alla fine di un'epoca e all'inizio di un'altra. Tutto
ciò avrebbe condotto alla costituzione di quella vita giovanile autonoma e -
fatto nuovo nella storia - distaccata da quella degli adulti, destinata a
produrre tra non molto i movimenti giovanili degli anni Sessanta.
Per concludere, la
scrittura di Vindigni è minuziosa e limpida, con quella tramatura ricchissima
di episodi privati e pubblici che ne fanno un grande affresco corale, ricco di
umanità e di umori etici. Mirabile il paziente lavoro di ricostruzione
memoriale, nonché l'acribia della ricerca storica. Un'ampia e documenta
rappresentazione retrospettiva dell'età giovanile dell'autore, innestata nelle
fasi conclusive di una cultura popolare che andava immolandosi sull'altare
della grigia società di massa dei tempi attuali e che di lì a poco avrebbe
prodotto la "società liquida" di cui parlerà Bauman, con i feticci del
Postmoderno e le conquiste dell'era tecnologica. Ma di questo è prematuro
parlare e immagino che sarà argomento di un prossimo libro dello scrittore. Lo
aspettiamo con grande curiosità.
Franco Campegiani
Nel leggere questa recensione dell'Amico Franco, rivivo il testo di Giorgio Vidigni e mi arricchisco di particolari che, pur avendo scritto la prefazione, non ho saputo cogliere. Il sommo Franco mette in risalto aspetti epocali e lessicali di grande importanza. E sottolinea quando l'Autore abbia saputo evitare l'aspetto diaristico del testo, adottando la terza persona e prendendo le distanze dal Giorgio del testo. E pensare che proprio l'Autore nel parlarmi del suo stile si definì 'giornalistico'. Franco ha letto il libro, la storia del nostro Vindigni e i sessant'anni di storia del nostro Paese. Ha saputo creare l'affresco di una grande saga neo -realista, che induce a riflettere ed è profondamente didattica.
RispondiEliminaRingrazio l'Autore e m'inchino a tanta recensione....
Maria Rizzi