Maurizio Donte, collaboratore di Lèucade |
Umberto Cerio, collaboratore di Lèucad |
Si ferma a ventidue versi “E QUELLA SIEPE” di Maurizio Donte, per l’omaggio a Leopardi DA LEUCADE. E non poteva essere che così, trattandosi appunto di un omaggio. La bravura di Donte qui viene sottolineata da alcuni rimandi alla poesia leopardiana e ad alcuni suoi testi. Già dal titolo si rivela immediato il primo rimando e poi dall’incipit “E quella siepe ho visto e l’infinito (….) e quello spazio/ interminato”. Nella memoria le immagini e le sensazioni dell’ “Infinito”. Così “il supremo inganno mio” che rivela tutta la memoria del “Perì l’inganno estremo / ch’eterno io mi credei”. Ed ancora “i voli delle rondini a sfiorare / la torre antica” richiama inequivocabilmente il “D’in su la vetta della torre antica, / cantando vai”. E così via. Un collage ben riuscito per la perizia del verseggiare di Donte, in quanto gli elementi letterari e le immagini, sono ben fusi e amalgamati, fra l’altro, quasi sempre, in endecasillabi alternati a settenari, come spesso lo stesso poeta di Recanati amava comporre i suoi testi. Indubbiamente un buon lavoro questo di Maurizio Donte, al quale rivolgo i complimenti.
Umberto
Cerio
E quella siepe
(A Giacomo Leopardi)
E quella siepe ho visto e l'infinito
oltre di lei, là dove il tempo mormora
silente nel passato, e quello spazio
interminato che dilata il clivo
dolce dei colli, e i campi arati dove
viaggia l'eco d'un giorno ormai remoto.
Ed i lontani monti,
che nell'azzurro sfumano
l'ignoto, come un flusso che si muove
lento nell'onda d'intorno e risuona
ancora al timbro lieto di campana,
rivedo, senza avere più lo sguardo.
Se fosse nuova come allora l'estasi
dell'Aurora dinanzi al chiaro aprirsi
dello splendore della vita...ah, vita,
supremo inganno mio,
che d'eterno non hai se non la pena,
perché non torni qui, alla dimora,
al natio borgo in cui di me soltanto
la memoria si perde tra le case,
e i voli delle rondini a sfiorare
la torre antica, non più si riposano
al verone? Disfatta
sei tu, mia giovinezza,
unico fiore amaro,
amato e pianto. Non è questo il giorno
del divenire ancora,
non fu la vita mia se non un cerchio,
in un giro di passi sotto il sole.
oltre di lei, là dove il tempo mormora
silente nel passato, e quello spazio
interminato che dilata il clivo
dolce dei colli, e i campi arati dove
viaggia l'eco d'un giorno ormai remoto.
Ed i lontani monti,
che nell'azzurro sfumano
l'ignoto, come un flusso che si muove
lento nell'onda d'intorno e risuona
ancora al timbro lieto di campana,
rivedo, senza avere più lo sguardo.
Se fosse nuova come allora l'estasi
dell'Aurora dinanzi al chiaro aprirsi
dello splendore della vita...ah, vita,
supremo inganno mio,
che d'eterno non hai se non la pena,
perché non torni qui, alla dimora,
al natio borgo in cui di me soltanto
la memoria si perde tra le case,
e i voli delle rondini a sfiorare
la torre antica, non più si riposano
al verone? Disfatta
sei tu, mia giovinezza,
unico fiore amaro,
amato e pianto. Non è questo il giorno
del divenire ancora,
non fu la vita mia se non un cerchio,
in un giro di passi sotto il sole.
Maurizio Donte
Grazie, davvero grazie. Troppo onore
RispondiEliminaGrazie, davvero grazie. Troppo onore
RispondiEliminaMi appare inedita e felice l'intuizione di Donte di rappresentare in questa lirica il ritorno "in spiritu" del Poeta racanatese sui luoghi della sua vita terrena. E non credo di sbagliare se in alcuni versi individuo addirittura una qualche sovrapposizione/identificazione tra chi scrive e il personaggio rievocato. Complimenti a Maurizio che è stato capace di calarsi sentimentalmente in tanto personaggio e di dargli voce, e bravo a Umberto Cerio nell'individuare agganci e riferimenti all'opera leopardiana.
RispondiEliminaUn solo, piccolo appunto al poeta: se si interpreta Leopardi ( e si fa parlare, come di fatto qui accade), non gli si possono mettere in bocca forme metriche da lui mai usate, a mia memoria, almeno nella sua produzione maggiore. Alludo all'endecasillabo sdrucciolo che qui occorre tre volte; e anche al settenario sdrucciolo ( qui una sola occorrenza) che mi ricordo usato dal Leopardi migliore solo nella poesia "Il risorgimento".
Ma si tratta di un peccato molto veniale. O di un nèo che, magari come quelli usati dalle donne in passato, finisce per dare maggior grazia al tutto.
Pasquale Balestriere
Grazie, è vero. L'ho fatto giustappunto per evitare la sovrapposizione-identificazione totale col personaggio rievocato. Una nota personale, dato che i versi sdruccioli mi piacciono e li uso spesso e volentieri. Chiedo venia per la licenza.
RispondiEliminaGrazie professor Balestriere della sua attenzione
Grazie, è vero. L'ho fatto giustappunto per evitare la sovrapposizione-identificazione totale col personaggio rievocato. Una nota personale, dato che i versi sdruccioli mi piacciono e li uso spesso e volentieri. Chiedo venia per la licenza.
RispondiEliminaGrazie professor Balestriere della sua attenzione
Un bel mosaico rifinito con precisione e passione certosina, un sincretismo verbale e sentimentale tra l'autore di oggi e quello di ieri, un innesto attecchito efficacemente. Complimenti. Pasqualino Cinnirella
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