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venerdì 24 febbraio 2017

N. PARDINI: "DA SAFFO A ANACREONTE"


Da Saffo a Anacreonte
Agape di vino e poesia

DA PREMIO RABLAIS
1998

Vedevamo il corimbo luccicare
al sole pregno di sapore egeo
dalla lucida spiaggia. Un fresco refolo
(all’ombra degli ulivi è il lauto pranzo)
ci arrivava ceruleo. Attraccò
la cantatrice. In rossa seta avvolta
dai barbagli del porto naturale
verso di noi incedette. Accompagnava
il dolce suo profumo di lavanda
dell’isola di Lesbo un auleta
avvinto allo strumento impreziosito
con icone divine. Si sedettero.
Le coppe gli riempimmo di buon vino
delle crete di Candia. Ora il convivio      .
fu finalmente degno sia di Saffo
che d’Anacreonte in quel concerto
di suoni monocordi e di evasione
tra terra ed infinito. Ed iniziarono
tra l’assenzio rosato di marina
ormai al calare ed i riflessi d’oro
sui luccicanti coppi: “Le mie vigne        
perdevano il colore vespertino
di una stagione estrema nel perlaceo
scolore della luna. Era soffuso
il palpito di brezza sopra il seno
voglioso di carezze e impallidiva
ancor di più nel cielo il corpo vago
ai nostri abbracci.” “Come si potrebbe
pensare ad un banchetto senza canto,
senza il suono del flauto così querulo
ma subito propizio con il suono
a dare gioia all’anima.” “Volevo
che tutto il mio sentire si spegnesse
nella notte soffusa e che l’immagine
non guastasse la luce. Era la morte
ch’io bramavo nell’attimo superbo
della gioia di eternare l’amore. 
La poesia e il canto il grande dono
furono degli dei  per il deforme
involucro dell’anima. Nessuno       
pronuncerà di certo il verbo furono      
per i miei versi. Aleggiano con piume    
leggere dell’Olimpo in questo incontro. 
Moriranno gli eroi, le bellezze
di cortigiane effimere e procaci,
ma un cantico se eccelso volerà
oltre gli spazi frali degli umani.
E se restò il ricordo di un’achea
bellezza o ancor di più di gesta eroiche
di un teucro si deve al grande aedo.
Il luccichio del mare accompagnato
dai trilli lamentosi dei colimbi,
il frangersi dell’onda sulle rocce
logorate dagli anni, le tempeste
che spruzzano la bava della schiuma
sui volti scolorati e poi i riposi
delle bonacce sulle vele ai porti
saranno giuste note che stasera,
incise in poesia, legheranno
il convivio all’eterno.” “Che piacere
il gusto, o Anacreonte , del tuo vino
spremuto dalle vene di quei dorsi
a strapiombo sui gorghi. Già i tuoi vecchi
ne gustarono il timbro e certo agli avi
riconoscenza dobbiamo che tra
i colùbri e le serpi sradicarono
sterpaglie e rovi per si fulvo nettare.”
“Che accompagni divina la poesia!
Fine non avrà mai sui nostri suoli
l’unico mezzo d’eternare l’uomo.”
E chiuse Anacreonte: “Dei crepuscoli
ancora canteremo se i convivi
si terranno nei campi o dei meriggi
per le vendemmie. è allora che apriremo
il seno alle cantine e gusteremo
le liquorose annate ormai invecchiate.
Per noi si farà vino anche il tramonto   
quando d’autunno il colle denso esala
di grappoli afrorosi già di tino
lungo le strade. Tra le pietre brune                                         
evadranno le vigne e si faranno                   
i pampani vermigli  ai sogni d’oro                
se l’animo brioso coglierà               
del nettare il sapore giovanile
a rinverdire gli anni. Brinderemo!   
Ricolmi i coppi antichi degli avi      
di rosso o di trebbiano paglierino
saranno forza ipnotica. Alzeranno  
i venti nelle valli metafisiche
dei sogni. Sveglieranno i fumi d’Eros
a spegnere gli affanni e gli abbandoni
dal tavolaccio povero. Alzeremo
di cantina il bicchiere già macchiato
dall’ultima stagione. E sarà amore
il cantiniere eterno che l’oblio
negli agri aromi caccerà di grume.”

Nazario Pardini

4 commenti:

  1. Caro Nazario, lo sai che, pur essendo una tua fervente ammiratrice, non amo commentare le tue poesie perché non possiedo la terminologia adatta ad elogiarle. Ma questa volta non posso esimermi dal farlo.
    Oltre la tessitura metrica di una perfezione esemplare - che neppure gli slittamenti del blog riescono a rovinare - anche tutto il linguaggio risulta estremamente scorrevole e di ampio respiro, eppure di una modernità assoluta senza tutti quegli sdilinquimenti ottocenteschi che i poeti legati alla forma spesso hanno. Bellissime anche le traduzioni.
    Non temere: la duttilità del tuo canto estremamente prolifico "volerà /oltre gli spazi frali degli umani".
    Carla Baroni

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  2. Grazie amica; sei sempre estremamente gentile e generosa verso un "maledetto" toscanaccio. Quanto a melodia mi sono allenato con le tue opere...
    Nazario

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  3. Il grande Nazario riesce a far partecipe anche me, che sono refrattario verso l'armonia dei simili, ad amare il canto - qui niente affatto sdolcinato - di chi, attraverso le mollezze dei simposi, tenta di volare "oltre gli spazi frali degli umani". Il fatto è che l'armonia dei contrari s'insinua ovunque, anche dove non ti aspetteresti di trovarla mai. Non è a senso unico, perché il mare in tempesta ed il mare in bonaccia sono lo stesso mare: "il frangersi dell'onda sulle rocce / logorate dagli anni, le tempeste che spruzzano la bava della schiuma / sui volti scolorati e poi i riposi / delle bonacce sulle vele ai porti / saranno giuste note che stasera, incise in poesia, legheranno / il convivio all'eterno...". Grande saggezza e grande poesia.
    Franco Campegiani

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    1. Grazie, carissimo amico, del tuo perspicace commento, rispettoso del tuo pensiero filosofico, e generoso verso la mia invenzione poematica.
      Nazario

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