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mercoledì 1 febbraio 2017

PATRIZIA STEFANELLI: "INEDITI"


Patrizia Stefanelli,
collaboratrice di Lèucade



Vi propongo queste poesie di Patrizia Stefanelli, che, con estensioni varie e articolate, sprizzano maestria nell’ elaborazione di strutture metriche volte a farsi  valori significanti;  un’ars inveniendi di personalissima resa poetica. E non è che i molteplici contenuti risentano di questa attenzione alla forma; anzi direi il contrario, dacché certe malizie tecniche non fanno altro che dare risaldo: ora al dolore per una società  inaridita, dove la sofferenza e l’uccisione delle donne sembra non avere mai fine: Le donne sono uccise anche su strada/per troppa colpa o troppo amore dato; ora alla coscienza  di un tempo che tutto annulla, tutto ingoia senza tener conto dei patrimoni empatici accumulati: E s'apre e chiude il ciclo delle cose/così semplicemente le stagioni, quasi un metaforico richiamo a madre Natura, al destino nel suo perpetuo divenire: la vita  da te dipende il tempo e la fattura/ preziosa o malcreata,/ eterno divenire; ora a una amara e nostalgica confessione, affidata a luci di lucciole di un chiaro  simbolismo esistenziale:  Non sapevo allora, fossero lucciole/ e comunque sia/ più non li vidi brillare; ora a una rivisitazione di leopardiana memoria affidata a versi di squisitezza lirica: Era del maggio tremulo la sera/ e le rose annunciavano il profumo/ in ritardo agli anni belli/ ché le viole già stavano ai capelli; e ora a rimpianti memoriali, a ferite di un passato, a ricorsi baudelairiani di Achillee e Assenzi: Fu d’Achillea l’essenza,  a curare/ ferite di memorie/ e l’Assenzio/ verde fata di franti desideri/ a darci un roteare di magnifiche immagini. Il tutto in   endecasillabi animati da misure accessorie di effetto contrattivo ed estensivo: reiterate rime fra fine e inizio di sestine per dare rilevanza continuativa a un dolore immarcescibile; dittici di quinari racchiusi in armoniche sponde endecasillabe; alessandrini di doppi settenari per dare respiro al perpetrarsi di un travaglio esistenziale.
Insomma tutto ciò che serve a dimostrare la perspicace potenzialità creativa di un’artista a tutto tondo, che, con i suoi mezzi prosodici, riesce a far andare di pari passo forma e contenuto, ricorrendo ad una plurivocità emotiva di disagi, memorie, illusioni, delusioni, aporie sociali, graffiature esistenziali; e affidando il tutto alle polisemiche significanze di un’arte senza tempo.

Nazario Pardini


Per troppa colpa o troppo amore dato


In questa stanza: chiusa eppure aperta
io canto con la gola inaridita
e il petto floscio di chi latte ha dato
ai giorni suoi sperando nel domani.
Nessun'eco ritorna dalla strada
se tace il vento del coraggio al pianto.
La voce è chiara, dove sola pianto
chiodi d’indifferenza, e sale, aperta
la porta dei miei sensi si fa strada
tra la coscienza ormai inaridita.
Grido con forza adesso e non domani:
noi siamo donne e madri non un dato
della violenza cieca di chi ha dato
morte e morte versando il nostro pianto
inchiostro per giornali del domani
nella ferita intinto, sempre aperta
come una terra scura o inaridita
o il manto nero e rotto di una strada.
Le donne sono uccise anche su strada
per troppa colpa o troppo amore dato
sul chiuso della bocca inaridita
mai toccata dal loro secco pianto
nell’urlo muta a denti stretti o aperta
perduto lo stupore del domani.
Cos’è davvero poi questo domani
E’ quel che hai dentro? Un vicolo di strada
di paese, una vecchia chiesa aperta
alle voci bambine che hanno dato
carezze e baci a Madonna del Pianto?
L'anima nostra è forse inaridita?
Le donne dalla gola inaridita
stringono ancora i figli di domani
immuni all’odio dopo tanto pianto
col capo basso al passare per strada
e il corpo stanco solo d’aver dato
fiducia e scorno a una sentenza aperta
da una giustizia inaridita, aperta
a rimandare al domani ogni pianto
ogni strada per chi la vita ha dato.


Canto dell'arcolaio e buoni giorni


...ma dentro ho spesso il senso del destino,
come una Norna
che il filo taglia
mi siede accanto tutta la mia vita.
E s'apre e chiude il ciclo delle cose
così semplicemente le stagioni;
rinnova Terra profumi nei muschi
e tra le spezie si abbandona e dorme
il sonno delle fate buone. Sento
del guindolo il fruscio nel dipanare
dei giorni le matasse intorno al perno
e pare voce antica sempre bella:
"Buon filatore porgi
in giusta quantità alla torsione
quella tua seta, il suo vermiglio canto
e muovi il piede in battere e levare
da te dipende il tempo e la fattura
preziosa o malcreata,
eterno divenire."


Dal collegio il mare...

Sono certa d'averla fatta
una corsa tra le vigne
di un giardino che per piccole scale
ci portava al mare.

Voci dal campanile
orfane di tempo
chiosano il canto
di cento ragazze con occhi rossi
e costumi da bagno troppo grandi,
per altre fattezze a venire.

La sera sui gradini
era solitudine di volte,
peripezie di desideri
a cadere
sulle siepi e tra i rami del ginepro.
Non sapevo allora, fossero lucciole
e comunque sia
più non li vidi brillare.



Di sere andate e di virtù

Mi sedetti al fosco cielo
e credetti nelle luci
che pure non vedevo.
Nella sera sostavo 
poco prima del tramonto;
sul labbro il canto del recanatese.

Dalla strada, giungeva un carretto
nella scoscesa via, lento, infossava
che dal borgo scendeva verso il mare.
Era del maggio tremulo la sera 
e le rose annunciavano il profumo
in ritardo agli anni belli
ché le viole già stavano ai capelli.

Lì, dal fondo veniva un passo strano
dietro al carro la voce dava invano
un comando o una prece:
“Fermo Nerio,  e tu aspetta Celestina
ho da raccoglier legna per il fuoco.”
Mi dissi è maggio, l’odoroso maggio *
e tu buon uomo neppure ti avvedi…
Poi mi voltai e vidi l’orizzonte
non era rosso il cielo del domani
e lui sapeva il tempo da venire
ma io cicala ero e così cantavo.

* cit. A Silvia


 Les fleurs



C’era di buono un sapore. Un odore
misto di afrori
ma sì,  l’estate ci mise l’essenza.
-Quella dei glicini?-
-Non quella, non fiorirono quell’anno
sbagliammo potatura, così fu delusione.
Fu d’Achillea l’essenza,  a curare
ferite di memorie
e l’Assenzio
verde fata di franti desideri
a darci un roteare di magnifiche immagini
bevute tutte d’un fiato da noi
bohémiens
appesi ai nostri sguardi.
Ci dissero del male, e  ci lasciammo andare
ad altre più aspre misture, finanche
alla deriva di ogni sogno.

Noi fummo mezzosangue;
fummo: Les fleurs du mal-


7 commenti:

  1. Grazie infinite, Maestro mio. L'isola dei grandi è sempre l'isola dei sogni. La tua introduzione, semplice e puntuale, arguta e colta, permette anche a me stessa di rientrare nei versi e riascoltarli nelle loro possibilità. E' un grande regalo! Grazie.

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  2. Così è l'amore un ruscello che di salto in salto diventa fiume e si veste di donna e madre, adolescente e innamorata nei versi della vita trasparenze sincere di luce e sottintese malinconie dove il tempo per un attimo si ferma e parla.

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    1. Grazie, Nicolò Luccardi. La tua poesia è così: trasparenza di luce, come il tuo cuore.

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  3. I tuoi versi sprizzano scintille. Sirena nuoti ,nel vasto mare della poesia,a scoprire sempre nuove meraviglie. A farla breve:"A me mi piace !!!

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    1. Grazie anonimo :) ma credo d'aver capito! E sai, quanto sei bravo tu? Tanto. Ultimamente ne ho letta una tua di grande impatto emotivo-filosofico

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  4. Ma quanta musica, Patrizia mia! Dopo l'introduzione -recensione superba di Nazario, mi vergognavo di dar voce ai miei umili pensieri, ma la musica mi ha travolto e sono rimasta in una bolla di luce. Tocchi tematiche importanti: "Le fleurs du mal", Leopardi, ma il volo è tuo, il volo si sempre, tra i fiori, gli azzardi, i dolori, le cadute e le speranze. Il grembo di noi donne, più forte d'ogni bieca violenza, nido di nascita e di ritorno; la saudade dei giochi fanciulleschi; Le esperienze da bohémiens, che ci hanno accomunato tutti.... E quale originalità tra i versi di velluto. Gli elementi del ricordo compongono un quadro e la morte, visibile tra i versi, si può leggere come 'un vecchio capitano che pilota la nave della vita verso un ignoto porto'- Baudelaire. Un Poeta maledetto, che Patrizia mostra di amare e di voler avvolgere nella sua musica. Sono estasiata e ancora e sempre la ringrazio e abbraccio lei e il mio Nazario!
    Maria Rizzi

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    1. Maria, la chiave! Come sempre la tua chiave di lettura riesce ad aprire tutte le segrete porte, dei miei versi, se tali sono. Riesci a trasmettermi la forza e la fiducia in me, che spesso mi manca. La prima poesia: Per troppa colpa o troppo amore dato, non so perché, è nata da sola come una sestina lirica. La parola rima, sembrava poter reiterare il dolore e la sua gabbia infausta.Da donna a donna, ti ringrazio per la tua sensibilità e per la tua critica intensa, piena d'amore, a me, come a tutti, molto cara. Grazie.

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