Luciano Domenighini, collaboratore di Lèucade |
Luciano
Domenighini: Poemi didascalici latini.
TraccePerLaMeta edizioni. Segrate (MI). Pg. 304. € 14,00
"Non ego
divitias patrum fructusque requiro
quos tulit antiquo condìta
messis avo:
parva seges
satis est, satis est requiscere lecto
si licet et solìto membra levare toro.
Quam iuvat immites ventos audire
cubantem
Et dominam tenero continuisse sinu
aut, gelidas hibernus aquas cum fuderit Auster,
securum sommos imbre
iuvante sequi!
HOC MIHI CONTINGAT"
Io non voglio per me le ricchezze e i
guadagni dei padri
che i raccolti procuravano agli avi
antichi; un modesto raccolto
mi basta e, se mi è lecito, mi basta
riposare nel mio letto e rinfrancare le membra nel consueto giaciglio.
Com’è bello starsene a letto e ascoltare
il soffiare impetuoso del vento
stringendo dolcemente al petto la donna
amata,
oppure, quando l’Austro invernale rovescia
gelide acque, addormentarsi al sicuro, consolati dal rumore della pioggia che
batte.
QUESTO MI TOCCHI IN SORTE.
Sicurezza,
amore, sperdimenti panici, vertigini invernali, camini rassicuranti, tempus
pacis…
Che
cosa di più attuale; che di più parenetico nel mondo in cui viviamo, fatto di
materia, di guadagno, di una globalizzazione spersonalizzante e avvilente dove
l’uomo ha perso la sua identità, la sua naturalezza; quanto bello sarebbe poter
seguire i progetti campestri della poetica tibulliana di parole rasserenanti, di
gesti semplici a misura umana; di meditazioni amorose accompagnate dal ticchettio
di una pioggia che scongiura la guerra: hoc mihi contingat! Quanto attuale
questa apologia della serenità; di suoni e sentimenti lontani dalle zuffe di
viandanti sperduti in una società liquida e incapace, nemmeno, di aggrapparsi alle
proprie memorie.
L’arte
del tradurre non è di certo cosa semplice e da scrivani; occorre sapersi
tuffare nell’opera affrontata, capire gli intenti dell’autore, la sua
filosofia, la sua poetica, il suo modo di scrivere, le misure metriche, il
linguaggio, dacché la parola può cambiare a seconda dell’uso e dell’impiego di
un progetto riflessivo; di un contesto artistico. Insomma si tratta proprio di
rifarlo un testo, dopo che la lettura ci è rimasta nell’anima a parlarci, a
rammentarci, a nutrirsi delle nostre peculiarità, dei nostri sentimenti e delle nostre preferenze.
D’altronde è già indicativo il fatto della scelta: perché questi brani invece di altri? perché questi autori? Senza dubbio dipende
dal fascino che hanno e che hanno avuto nei confronti della sensibilità del traduttore;
dipende da un contesto politico-culturale che lo stesso si ripropone di
illustrare in maniera storico-filologoca risalendo ai contenuti principali di tale periodo. In questo caso della
classicità augustea; dei grandi poeti che diedero splendore al secolo che prese
nome da Augusto: Lucrezio, Virgilio, Ovidio, (in Appendice: Orazio, Catullo,
Properzio, Tibullo, Marziale) che, pur sotto diversi aspetti, rappresentano
quanto di più perfetto abbia prodotto Roma: “… Questo libro contiene la
versione di una raccolta di estratti da tre celebri poemi latini dell’età
augustea. L’operazione letteraria, lungi dall’essere organica ed esaustiva, ha
più che altro avuto un intento conoscitivo ed esplorativo volendo cogliere,
lungo le tre prospettive tematiche, quanto basta per definire gli stili poetici
e i caratteri dei tre autori al fine di configurare una rappresentazione
sufficiente del pensiero e della sensibilità di quell’epoca storica, di quel
mondo, di quella civiltà…” (da: Nota di presentazione del traduttore). Con
questo non si vuol dire che Orazio possa aver superato col suo limpido stile l’arte
focosa e ardente di Catullo, né che Virgilio possa dirsi spiritualmente al di
sopra di Lucrezio. Il fatto sta che né prima di Augusto né dopo fu mai
raggiunto quell’ideale di armonia classica, che è insuperabile nei grandi di
questo periodo che, coi loro scritti, hanno ben delineato la filosofia
epicurea, gli spunti di un sentito panteismo, o il bisogno di una pax che ben
ritrattava lo spirito di un’età, forse l’unica, in cui il mondo romano era in
quiete in tutti i suoi confini. Tanto è vero che la storiografia cristiana ne
fece motivo fondante per l’avvento di Cristo. Scrive Domenighini: “… Da parte
mia è stata un’esperienza coinvolgente e sorprendente riscoprire e confrontare la
severa e ridimensionante concezione lucreziana del mondo, il frizzante e talora
comico senso pratico del realismo ovidiano e infine la dimensione luminosa,
olimpica e immortale, della poesia virgiliana. Per quanto ho potuto e saputo,
nella mia traduzione vorrei che questa emozione fosse condivisa anche dai
futuri lettori di questa breve antologia…”. Questo si ripropone Domenighini:
trasmettere entusiasmo e passione; amore e emozione. Gli scrittori, tradotti
con mano esperta e con gusto per un
verbo che in parte tradisce l’aspetto letterale a favore di un senso vòlto alla
chiarezza, sono i cardini di una storia letteraria esauriente. D’altronde è
così che si fa; questo è il metodo giusto per illustrare e ben definire un
quadro culturale di un’epoca: le chiacchiere le porta via il vento, gli scritti
sono di appoggio e di grande valenza esplicativa per chi li sa leggere. E non è detto, neppure, che tali scelte, e certe
motivazioni non dipendano dal fatto che le
letture siano stare fatte in particolari momenti, anche scolastici, e magari
insieme a compagnie di antiche primavere. E’ così che, contornate da stati d’animo
che le ri-lucidano e le rinnovano, assumono i connotati dell’immagine. Non
credo nella traduzione oggettiva e impersonale; come non credo nella critica
obiettiva. C’è sempre il mondo di uno scrittore dietro, lì, in quei versi, in quei sintagmi, in quelle
immagini, in quelle figure messe in campo con vitalità e trasfusione di
“sangue”. Ma a parte sentimenti e nostalgie ciò che più conta è essere in
possesso di conoscenze, abilità, cultura, preparazione linguistico-prosodica,
grammaticale, morfosintattica; virtù letterarie e critiche di cui è dotato il
nostro Domenighini. Lui è un professionista del verso, del verbo, dei
marchingegni che lo connotano, e la sua ricerca è tecnica, precisa, autoptica; la
sua competenza deve essere a puntino prima di intraprendere il lavoro; procede
con acribia intellettiva ed emotiva per giungere ad una conclusione di esegetico valore. “… D’altronde non è azzardato definire artista in questo
caso il traduttore, dacché, dopo aver fatto sua la materia macerata dal tempo,
l’ha ri-data alla pagina con tutti i crismi emotivo-esistenziali di cui tali
testi si sono impreziositi: varie tappe di un’esistenza che tornano a vivere
con la voce di autorevolissimi interpreti…”,
così mi ero espresso a proposito di una recensione sulla sua Petite Antologie. TraccePerLaMeta
edizioni. 2015. Qui gli autori tradotti
sono Tito Lucrezio Caro (De rerum natura –
introduzione e brani scelti); Publio Virgilio Marone (Le Georgiche – Introduzione
e brani scelti); Publio Ovidio Nasone (Ars amatoria – Introduzione e brani
scelti); in Appendice Orazio (Carmina, Liber quartus, VII); Catullo (Carmina,
CI; Carmina, XXXI); Properzio (Elegie, I, I); Tibullo (Elegiae, I); Marziale
(Ep., X, 74). Un excursus di classico impegno; di cultura latina che tanta
influenza ha avuto sulla nostrana letteratura, non solo rinascimentale.
Basterebbe citare Catullo: tutta la sua vicenda erotico-emotiva con Lesbia; le
sue contrastanti e ossimoriche relazioni di una modernità sconcertante, dacché
Catullo vive l’amore in tutte le sue sfumature; in tutti i suoi sobbalzi
interiori: piacere, dispiacere, gelosia, morboso attaccamento, dolore,
idealismo, realismo… Lesbia non vuol sapere di essergli fedele ed egli si
ribella, pur pregando. Prima i suoi rimproveri sono misti ad una accorata
speranza di ritorno, poi egli scende ad insulti volgari e in una serie di versi ipponattei, spezzati a singhiozzo, comanda a se stesso di non
amare mai più quella donna. Possiamo certamente affermare che le scelte prese
in considerazione da Domenighini non solo sono lo specchio della mentalità di
un periodo storico sotto i molteplici aspetti
di vita e di filosofia: anima e corpo, vita e morte, amore come motore del
mondo (Arte Venus nulla dulce peregit opus), virtù, uomo e Natura, l’arte del
Bello, il rapporto con l’aldilà, il fatto di esistere con tutta l’inquietudine
che comporta, l’impianto didattico e didascalico-alleforico che tanta influenza
avrebbe avuto sul poema dantesco; ma anche un ontologico gioco di corsi e
ricorsi che si ripetono nel tempo, fino ad assumere aspetti di estrema attualità
nel mondo in cui viviamo:
Multas per gentes set multa per aequora vectus/
advenio has miseras, frater, ad inferias,/ ut te postremo donarem munere
mortis/ et mutam nequiquam alloquerer cinerem…
(…)
Nazario Pardini 21/04/2017
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