Maria Grazia Ferraris, collaboratrice di Lèucade |
Maria
Grazia Ferraris: Volevo scrivere. Saggio
sulla letteratura femminile del primo Novecento. Edizioni Helicon. Arezzo.
2017. Pgg. 114. € 12,50
Sono
donna, ho vent’anni, e vengo da lontano assai onde vederVi
Con
un libro che sa tanto di romanzo per legami, intrighi, e personaggi ricchi di
pathos e di fascino, Maria Grazia Ferraris torna alla scena letteraria con una
voce nuova, fiorita, culturalmente avvincente, efficacemente propositiva di affondi
umani, poetici, e anche autobiografici, se ci si avvicina alla sua personalità volta
a temi a lei consoni e nei quali ritrova
se stessa: passione, entusiasmo, malizia, amore, poesia, vita, cultura… Forse
proprio perché ognuno di quei personaggi contiene una parte del suo mondo. La scrittrice vanta un curriculum di
grande spessore: narratrice, saggista, poetessa, critico letterario, collaboratrice prolifica
e versatile del blog Alla volta di
Lèucade, che ha alimentato e alimenta con le sue ricerche letterarie cariche
di inventiva, e valenza esegetica. In questo saggio affronta un argomento di
rara bellezza, e di perspicace novità: contenuti su cui ha ricercato, studiato,
e indagato per renderci partecipi delle sue infinite potenzialità
intellettivo-emotive. Un libro ben fatto, di pregio, dal titolo “Volevo scrivere”, sulla letteratura
femminile del primo Novecento. In copertina l’opera di Silvestro Lega, La lettura, che già ci dice assai sugli
interessi della Ferraris; sul mondo attorno al quale ruotano appunto i suoi
valori: la lettura, la curiosità, la scoperta, l’interesse. Fa da introduzione
alle vicende, alle storie di scrittrici che hanno azzardato i loro sentimenti in
salotti non ancora pronti a ingressi femminili, uno scritto introduttivo dell’Autrice
che, in parte, riportato in quarta, ben ci avvia all’opera: “In questo saggio mi sono proposta di dare voce alle parole e
agli scritti di donne dimenticate o mal conosciute per condividere una
scrittura “altra” il cui valore artistico-letterario può dare al lettore la
possibilità di accedere ad orizzonti nuovi, dal sapore inedito. Questi piccoli
tributi alla scritture femminili si concentrano sul primo Novecento perché
proprio gli inizi di questo secolo vedono, per la prima volta, le narratrici
intraprendere un cammino che va delineandosi con chiarezza nell’alveo
dell’universo letterario e ad affermare con incisività una propria identità
difficilmente conquistata. (…)”. Seguono: Omaggio
a Grazia Deledda; Le prime scrittrici italiane d’inizio Novecento; L’ultimo
volo. Omaggio a Mura; L’Orco e la farfalla.
Omaggio ad Annie Vivanti; Il lago. Omaggio al paesaggio: Liala; Le protagoniste;
Schede biografiche. Un testo che, oltre ad arricchire non poco una biblioteca,
farebbe, di sicuro, da buona compagnia a studenti di scuola
superiore o universitaria, per il contenuto nuovo, originale, e informativo. Si
inizia in prima persona, come se la prima
scrittrice incontrata, Deledda, si narrasse, raccontasse la sua storia,
la sua passione, la sua conquista, le sue perplessità, il suo coraggio: Roma
come meta: “Mi guardano incuriositi. Sono i personaggi noti, famosi scrittori
della Roma di questo inizio di secolo. I più bei nomi della letteratura
italiana. Mai avrei pensato di conoscere Antonio Fogazzaro, Gabriele
D’Annunzio, Giosuè Carducci… Non sanno quanto io sia determinata e coraggiosa,
dietro la mia modesta presenza…”. E continua a parlare del suo essere o non
essere sarda, del suo rapporto col Verismo, della sua fuga dall’isola, timori,
tristezze; il suo secondo romanzo Cenere,
la vita, la morte, l’uomo, il destino; ricordi d’infanzia, di paese, addii
manzoniani, una piccola provinciale, sprovveduta culturalmente, che, per i
grandi, aveva finalmente imparato a scrivere.
Su, su fino al Nobel, l’invidia inevitabile. E il semplice discorso
fuori da ogni retorica ampollosa: “Io non so fare discorsi. Mi contenterò… di
ripetere l’augurio che i vecchi pastori di Sardegna rivolgevano ai loro amici e
ai parenti nelle occasioni più solenni: Salute”. Il saggio prosegue con Sorelle in arte (Mura, Annie Vivanti, Flavia Steno). Il Feuilleton, Carolina
Invernizio e il suo Il bacio d’una morta.
La casa editrice Salani e i romanzi di Petit Jean, e Frédéric de la Rosière, la
narrativa rosa e la borghesia umbertina. Scrittori frettolosamente relegati nel
capitolo “paraletteratura” “rosa”. Ed il
giornale, strada principale di acculturazione, che vede emergere scrittrici del
calibro di Carolina Invernizio, Amalia
Guglielminetti, nella Torino d’inizio secolo; Matilde Serrao, al sud e al
centro; Sibilla Aleramo attiva a Roma e Firenze; Mura, collaboratrice del
“Passerotto”; Annie Vivanti, anche fuori del contesto italiano; Flavia Steno a Genova; Liala coi suoi ben 70
titoli, venduti anche oggi. Vengono presi in esame il rapporto amicale tra le
scrittrici in “rosa”, le loro vicende letterarie, i testi, i contesti, con
acume interpretativo e esegetico di cui la Ferraris è particolarmente dotata. Un
capitolo che, focus del saggio, si distende su maggiore spazio data la vastità del tema, e l’incontro coi vari personaggi
trattati.
In
L’Ultimo volo. Omaggio a Mura, il racconto si fa dettagliato, intimo, personale: le vicende private si alternano a
quelle letterarie in una successione di fatti emotivamente contaminanti; fino
alla conclusione dolce-amara dai risvolti pucciniani: “… La morte era arrivata.
Prima di perdere i sensi pensò che non aveva rispettato, per la prima volta, il
contratto con la sua casa editrice. Chi avrebbe finito il suo romanzo?”.
L’Orco e la farfalla è un
vero romanzo d’amore, di missive, di emozioni, di incontri, di amorosi sensi;
di accadimenti che servono a ricaricare l’anima per voli poetici, per azzardi
verso vie nuove, nuovi orizzonti, verso umani impatti, vòlti a isole di
fantastiche illusioni, dove l’animo si impolpa di quelle emozioni di cui ogni artista
sente il bisogno: “Lui amava la
montagna… Amava le montagne piemontesi, quella incantevole valle dell’Orco… i
luoghi amati dove componeva le sue odi patriottiche: “Su le dentate
scintillanti vette/ salta il camoscio, tuona la valanga da’ ghiacci immani
rotolando per le/ selve scroscianti….,”. “Lei era una farfalla, gentile,
aggraziata, vivace, bella e luminosa, incapace di quiete, di calma e di
riposo…”. “Sono donna, ho vent’anni, e
vengo da lontano assai onde vederVi. Non sono italiana, ma profonda ammiratrice
del Vostro linguaggio e di Voi, il più forte dei poeti…”…. Ed Annie,
malinconicamente e dolorosamente, così rievoca l’ultimo incontro in una lettera
da Londra: “Io vi scrivo questa povera lettera piangendo…. Piangendo come
quando vi lasciai quella sera a Madesimo… io spero che solo <<al di là
del ponte>> ci ritroveremo! Così sia sempre. La Vostra Annie.”. Una narrazione emotivamente avvincente, fatta
di accenni amorosi e di fugaci trasvoli, delicati e passionali, vòlti a mutarsi
in poesia.
Ne
Il lago. Omaggio al paesaggio: Liala,
Amalia Cambiasi Negretti (nome con cui Liala
era conosciuta ovunque) torna a narrarsi. Maria Grazia Ferraris si fa interprete
dei sentimenti di Liala in una confessione schietta e sentita, forte e
paesaggistica, dove, appunto, l’intimità si traduce in corpi di visioni
familiari, di colline prealpine, piccoli laghi inframorenici: “Il lago è per me
una presenza costante, un amico cui non posso rinunciare…”. Panorami lacustri
da mozzafiato. “Sono nata e cresciuta su un grande lago, il lago di Como….”,
sequenze narrative, descrittive, introspettive che, con ritmo incalzante, ci trascinano in rievocazioni di
felice infanzia, in giochi di riscontro affettivo con scrittori del calibro di
Aldo Busi che, scrisse di lei ormai novantatreenne: “Liala è bellissima e non
ha nemmeno una ruga né una delle famose e, secondo lei, fastidiose lentiggini….
Liala è già dentro un mausoleo e inganna il tempo che l’ha ingannata facendosi
vedere, riluttante, ancora viva. Liala è molto spiritosa.”. Il paesaggio familiare del ramo sinistro del lago di Como,
i ricordi, il Diario vagabondo, la
maestà di un monte senza dolcezza, il marito, l’ufficiale pilota
indimenticabile amore che “Morì nel ’26 precipitando nel lago e colando a picco
senza la possibilità di essere subito soccorso….”. I percorsi per lungo e per
largo: Gavinate, strade, silenzi, fiori, colori, pezzi di lago; lago Maggiore,
Ranco, Val Ganna, Miogni, il grande pioppo che impediva la vista del Sacro
Monte e di uno spicchio di Campo dei Fiori; desideri di fuga, di libertà,
panorami nuovi mai immaginati, mai sperati: “… Domani guarderò sorridendo i giovani
pioppi che in duplice fila vanno chi sa dove. E a me piace l’infinito”. È qui
Maria Grazia Ferraris, in questi luoghi, in questi panorami; se ne impossessa, li
fa di nuovo suoi e li rende poesia con una voce calda emotivamente singhiozzata
da ritorni personali presi e ridati a queste voci femminili. Forse è proprio la ricerca di infiniti spazi,
di isole inesistenti, di confini inarrivabili, che fa da vincolo e da
collegamento al fatto di esistere dei poeti; da comun denominatore a questi
strani personaggi che volano continuamente col terrore di toccare terra. La
narrazione scorre limpida e fluente come un ruscello che scende gradatamente
dai colli al mare. Ed è proprio il mare, foce di ogni pensiero, immensità di
ogni anima inquieta, a farsi simbolo di un amore che non ha confini.
A
seguire un capitolo di schede biografiche e un ampio apparato critico di
valenza storiografica. Mi piace chiudere
il discorso rimarcando l’importanza di questa opera sotto ogni profilo, letterario,
storico, sociale, umano, e, soprattutto, mettendo in risalto la luminosità,
l’impegno, e la caparbia analitica della nostra Maria Grazia nel togliere dalle
grinfie dell’oblio argomenti e vite soggetti ad un ingiusto ed immotivato distacco.
Nazario Pardini
Conosco la passione, la delicatezza a volte struggente, e comunque la profondità con cui Maria Grazia Ferraris affronta temi e profili letterari di grande fascino. La letteratura femminile è senz'altro tra le note più ricche, penetranti e coinvolgenti che le sue corde vocali intonano con vivaci e avvincenti modulazioni da tanto tempo. Non ho letto il libro di cui parla Nazario Pardini in questa sapida nota, dedicato alle scritture femminili del primo Novecento, ma sento di poter condividere quanto da lui scritto parlando di Liala (Amalia Cambiasi Negretti): "Gavinate, strade, silenzi, fiori, colori, pezzi di lago... E' qui Maria Grazia Ferraris, in questi luoghi, in questi panorami; se ne impossessa, li fa di nuovo suoi e li rende poesia con una voce calda emotivamente singhiozzata da ritorni personali presi e ridati a queste voci femminili". Scrittura di sensi e d'anima, quella della Ferraris, dove umanesimo e umanità s'incrociano e s'innestano felicemente tra di loro. E sta qui l'imprescindibile e arricchente contributo che l'universo femminile può donare, e dona senz'altro, ad una cultura che altrimenti l'universo maschile ghettizzerebbe in un limbo devitalizzato, tutto (o troppo) cerebrale.
RispondiEliminaFranco Campegiani
EliminaGrazie a Nazario che legge con una empatia e partecipazione da poeta, grazie a Franco, un amico che legge oltre lo scritto....
Qualche verso di A. Pozzi per dirvi il mio consenso affettuoso:
...Desiderio di cose leggere
nel cuore che pesa
come pietra
dentro una barca –
Ma giungerà una sera
a queste rive
l’anima liberata:
senza piegare i giunchi
senza muovere l’acqua o l’aria
salperà – con le case
dell’isola lontana,
per un’alta scogliera
di stelle –