Aurora
De Luca su ALFONSO ANGRISANI, Placor, StreetLib, Ottobre 2016, Vignate (MI)
PLACOR
ovvero del TROPO Placor
Aurora De Luca, collaboratrice di Lèucade |
Poesie
nella dimensione di un tempo diverso. In cerca di segnali ed emozioni di
ritorno. Mettere una persona davanti alla propria ombra equivale a mostrarle
anche ciò che in essa è luce. C.G.JUNG La lettura di Placor è straniante come
può esserlo la fusione della mitologia classica a quella moderna, come può
esserlo il riuso di immagini topiche in ambientazioni ultra moderne. La
letteratura di Placor è straniante perché si fonda sul tropo, ovvero dal greco
trópos, derivato da trépō, «vòlgo, trasferisco».
Metronimia
La
città incrocia i miei pensieri
così
come si incrociano le tangenziali così come si disegnano le croci
e
confonde
compone
e scompone
ogni
giorno i suoi colori e veleni
dietro
vetri scintillanti od opachi di povertà
sono
il tuo pedone
tu
sei la mia Regina
a
cavallo di quali motori andremo oggi verticalizzando tra negozi e semafori
fra
accordi raccordi di razionale bellezza
i
miei pensieri incrociano la città
così
come incrocio le strade
e
disegno in A4 la mia croce_
p.10
Metronimia
che è l’uso della metonimia nella vita quotidiana: [Avviene in base alle
relazioni causa/effetto e contenente /contenuto e attraverso molte altre
inferenze possibili collegate alle prime]. Essa è un tropo in quanto
sovvertirebbe le attese del contesto in cui viene inserita. Per questo Placor è
straniante, in qualche modo soverchiante, perché «Le parole dicono le cose / ma
non sono le cose» (Le cose, i segni l’amore, p.29). E in più, oltre all’uso
astuto e poetico di tropoi e al cadenzato ritmo rimico, vi è un intenso
recupero di topoi, dall’epica eroica a quella odeporica, che fino a noi, dal
primo viaggio d’Odisseo da Itaca a Itaca, è giunta, discendendo da Virgilio a
Dante fin negli inferi più oscuri e tormentanti e salendo, nel contempo, prima
in un olimpo pagano poi in uno Celeste. Si tratta comunque di un riuso
implicito e nascosto, come avviene per il tema della rosa (che ha invero radici
elegiache e poi tardoantiche): ricostruita anche nella forma, la rosa perde ad
ogni verso un petalo, ovvero una parola, finché non ne resta nient’altro che
l’essenza (Una rosa nascosta, p.11). Bella è la messa in scena di chimere
mitologiche come l’Idra della poesia, o delle magiche Ali di Dedalo, qui messe
in vendita da un anonimo artigiano: «[…] in questa bufera / senza stelle e
senza bussola / dove ognuno vaga / con la sua nera o rosa chimera / là dove nel
mistero del cuore / si perde ogni certezza» (La Chimera, pp.13-14). Cito un
testo, che in sé riassume molte tradizioni:
Ulisse
in città
Mistico
rosa del mattino
camion
passano come bestiami
a
mezza strada tra la città
e
il cielo
non
ho più bisogno
di
chiudere gli occhi
per
credere
non
ho più bisogno
di
allargare le braccia
per
volare
le
stelle andate
il
fresco nelle valli
freme
d’attesa tutto l’orizzonte
un
canto di sirena questa febbre dell’andare_
-p.106
Ricompare
il mistico rosa Dantesco, allorquando i due pellegrini, dopo l’oscura
discesa-visione negli inferi, risalgono a ‘riveder le stelle’; vi è la fusione
dell’immaginario bucolico con la realtà metropolitana contemporanea, fino a
rievocare il coraggioso balzo nel vuoto del giovane alato: qui egli non è solo
Dedalo, ma nel contempo è Ulisse, richiamato al volo dalle sirene. È una poesia
dotta e metamorfica, che da un sembiante passa ad un altro camuffandolo con
apparentemente assoluta semplicità espressiva. Fortemente ancorata
all’esperienza giornaliera, tristemente resa impoetica dalle frenesie e dalle
nevrosi, la poesia di Placor mette in melodia per l’appunto Metromorfismi. Se
fosse semplice tutto questo non potrebbe starci: dunque non è semplice, è
leggero. Placor discende nelle cose, attraverso le parole, con penna leggera e
sorridente, ironica e rimata, come fosse il canto d’un aedo che voglia
svegliare la propria corte. Ed è una corte tutta umana, piegata alle leggi
della propria natura. In luogo di Cloto, "io filo", di Lachesi,
"destino", e di Atropo "inflessibile”, le tre Moire greche (o
Parche Romane, o Norne Norrene) personificazione del destino ineluttabile,
compaiono, in Placor, Tre Persone di Città: l'illusionista, il tornitore e il venditore di pezzi d’ombra e di cipressi. Non mancano neppure la poesie
aritmetiche, di sillogismi matematici, quelle che cantano di Riduzioni
triangolari al monossido o di Asimmetriche Sottrazioni; mettono in pratica, ed
anche in struttura, la tecnica della riduzione finché del testo, che Aurora De
Luca 4 è sinonimo di vita, non resta null’altro che un ‘riducendo’: ovvero un
gerundio, un’azione che non si arresta. Dunque Placor è una lettura che
ripropone, stravolgendolo, il nostro immaginario poetico, sicché ci sembra di
trovarci in luoghi già percorsi, ma senza poterli riconoscere, come quando non
sappiamo associare al volto un nome pur avendo l’inconscio sospetto di
conoscere sia il nome, sia il volto. Eppure è uno stravolgimento senza boati,
fluido, senza virgole, senza punti fermi, senza asprezze, ma anzi fatto di rime
che ritornano, di assonanze, di richiami. Sarà perché Plăcor, ˉoris, m., vuol
dire piacere, contentezza, soddisfazione, Vulg. E Placo, as, avi, atum, are, 1
tr., vuol dire placare, calmare, rappacificare, riconciliare. Riappacificare il
formato Word con l’arte orale, l’anglicismo con il latinismo, l’inferno con il
paradiso, la terra con il cielo, la strada aperta con il senso unico, la pausa
con l’andare, il mattino con il notturno, le presenze senza nome con le
identità, le epoche con le epoche, l’uomo con l’uomo; poiché in effetti
«Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà d’un solo
momento: il momento in cui l’uomo sa per sempre chi è» -Jorge Luis Borges.
(Leggere la Propria Itaca, p.125)
Aurora
De Luca
Assolutamente straordinario l'intervento di Aurora come relatrice della serata dedicata a questo libro che tocca infiniti tasti e induce a riflettere e a scendere a livelli metafisici. Ancora grazie a tutti i volontari romani e al nostro magico Nazario!
RispondiEliminaMaria Rizzi