Con questa dedica (ovviamente privata),
che rendo pubblica per motivi che in seguito capirete, Franco Campegiani mise
nelle mie mani il presente saggio: “a Sandro Angelucci, amico fraterno e
compagno di remi sulla barca dello spirito, nell’avventuroso mare della vita”,
chiedendomi se fossi disposto a stilarne la postfazione.
Quello che avete letto è uno studio, ma
significherebbe sminuirne la portata se lo si prendesse in senso rigorosamente
filosofico – come sostiene lo stesso Prefatore, Nazario Pardini, inaugurando lo
scritto –.
“Occorre superare la filosofia –
chiarisce Campegiani nel corpo del capitolo La
grande relazione – per riscoprire il pensiero prelogico ed antischematico
degli avi, la sua pregnante e ricca vitalità”, e ancora: “Il razionalismo è
giunto all’esaurimento dell’intera gamma delle sue possibilità. Una lunga
parabola storica si sta concludendo, e, come sempre, si torna all’inizio quando
si chiude un ciclo [. . .] Al tramonto sussegue sempre l’Aurora. Ed è una nuova aurora [. . .] Dietro l’apparente
trionfo del Nulla, bisogna allora iniziare a scorgere la premessa di un più
equilibrato senso dell’Essere, di una più sana e armoniosa spiritualità.”.
Ritengo inderogabile, a questo punto,
un’ulteriore mia precisazione e – tengo a dirlo – non perché il concetto non
sia sufficientemente esplicito, al contrario, per rafforzarlo, da “compagno di
remi”, appunto, che aggiunge la propria vogata affinché la barca mantenga la
rotta intrapresa.
Sarebbe un errore; un macroscopico,
fuorviante errore interpretare tutto questo
nel verso di un impossibile quanto utopico ritorno al passato. Qui, non
si tratta di tornare indietro (Franco parla di una prelogica e di un antischematismo
atavici – è vero – ma sempre presenti e, soprattutto, sempre nuovi nell’uomo);
qui, si prende in considerazione la certa possibilità di un recupero che non ci
fossilizzi, però, facendoci progredire davvero.
Riscoprire “una più sana e armoniosa
spiritualità” è indizio di una strada non solo esistente ma percorribile; senza
eludere lo sforzo, tuttavia: l’autointrospezione e l’autocritica.
“Ciascuno è nella Grazia e nella Salvezza
– scrive Franco –, se sa risalire alla proprio scintilla divina, al divino di se stesso, che è poi l’umano di se
stesso.” alludendo inequivocabilmente alla fatica interiore cui poc’anzi ho
rinviato.
Senza questo impegno – che non è
meditativo ma intensamente e profondamente radicato nella realtà, nella
quotidianità del vivere – ogni tentativo (anche laddove vi fosse) è destinato a
fallire, ad affondare inesorabilmente nelle sabbie mobili della palude
razionalistica, non in quelle della ragione.
“La ragione è solo un particolare tipo di
intelligenza. – sostiene (e condivido) Campegiani – Un’intelligenza, per così
dire, seconda […] ma deve stare
attenta a non degenerare pensando di potersi totalmente affrancare
dall’intelligenza prima, se non
addirittura di potersi sostituire ad essa.”.
Siamo i soli – gli uomini, voglio dire
– ad essere dotati di quella forma
d’intelligenza ma, alla luce delle considerazioni testé riferite, è innegabile
che inorgoglirsi, insuperbirsi è deleterio, porta inevitabilmente a porre in
secondo piano ciò che, invece, dovrebbe essere preminente.
“Se per l’uomo è comunque importante
conoscere, molto più importante è la consapevolezza di essere, di vivere nel
mistero”: ecco cosa intende il Saggista quando parla di prima intelligenza; disquisisce di una
facoltà spirituale insita in tutto il Creato, in tutti i suoi regni.
Proprio così: perché ogni essere vivente
ha un’anima (dalla roccia all’albero, dal vento alla pioggia, dall’atomo
all’universo) ed è lì, su quella tavola, che sono impresse le leggi cosmiche e
divine.
Ciò non significa, ovviamente, che la
coscienza razionale vada misconosciuta né, tanto meno, demonizzata: se
l’abbiamo, ha evidentemente un ruolo da svolgere (nulla, in natura, avviene a
caso: laddove il caso non venga considerato qualcosa di fortuito). Dirò di più;
il compito, cui la ragione è chiamata, è di fondamentale importanza: quello di
mettersi a disposizione del mistero – non di svelarlo sopraffacendolo –
cosicché l’uomo (quanto meno sfiorandolo, se non altro saltuariamente) possa tentare
un difficilissimo ma non impossibile equilibrio.
Ecco: siamo arrivati alla parola-chiave.
Molto, ma molto chiaramente lo esplicita Franco nella riflessione che segue: “O
noi riscopriamo il nostro individuale equilibrio, oppure sarà la catastrofe a
livello collettivo. [. . .] Madre (e Padre) Natura si ribellerà e sarà una
lezione d’amore, per insegnarci a rispettare noi stessi e tutto ciò che vive e
respira intorno a noi. Madre (e Padre) Natura è qualcosa di più di quel che in
superficie appare. Maestra di equilibrio, non disdegna di elargire, accanto
alle carezze, le punizioni esemplari. Si dirà: non è giusto che paghino gli
innocenti per i peccatori, ma dove sono gli innocenti? Sarei curioso di
conoscerli per poter loro stringere la mano.”.
Come dire: “Chi è senza peccato scagli la
prima pietra”. E, qui, le pietre le stiamo scagliando – sempre di più e sempre
più grandi – sul viso di una Maddalena che non abbiamo mai smesso di
considerare una poco di buono, una che pensa soltanto al proprio piacere; senza
capire che, soddisfacendolo, continua ad elargire amore quella ‘prostituta’,
quella Madre che, così profondamente ama i suoi figli sparsi per il mondo da
dare, non dico la vita (questo significherebbe odiarci fino al punto di
desiderare la nostra morte), ma uno schiaffo potentissimo che provoca un dolore
lancinante sulla suamano e – più ancora – nel suo
cuore.
“C’è una violenza nella natura, una
crudeltà che non va sottaciuta, giacché è indispensabile all’equilibrio”, scrive Campegiani.
Non
ci sono frutti proibiti – mi permette di aggiungere –; l’albero del bene e del
male è sempre qui, disposto ad elargire i suoi frutti, ma bisogna coglierli e
mangiarli senza neppure guardarli, con la certezza che sono incontaminati,
privi degli anticrittogamici di una ragione presuntuosa ed arrogante.
È giunto il momento di concludere: non
perché, però, si esauriscano così gli spunti che l’edificante lettura di Ribaltamenti suscita (siamo di fronte ad
un pensiero in continua evoluzione, proprio come la materia di cui tratta).
Devo mettere la parola fine perché, per tutto, c’è una conclusione affinché
possa esserci un sempre nuovo, inconfutabile inizio; affinché una ragione
malata non tenti di convincerci che “per divenire adulti occorra seppellire il
bambino”.
Sandro
Angelucci
Carissimo Sandro, ho riletto con particolare attenzione questa tua straordinaria lettura del mio "Ribaltamenti" e sento la necessità di ringraziarti pubblicamente, dopo averlo già fatto in privato, per la capacità davvero unica di sintetizzare ed esaltare in poche righe il nucleo centrale del mio pensiero. Giustamente tu parli di un ritorno, dopo l'apparente trionfo del Nulla, ad un più equilibrato senso dell'Essere, affermando che questo recupero di modalità del pensiero oramai poco frequentate non deve essere interpretato come sciocco ritorno al passato. E poni acutamente in evidenza non l'intento di affossare la ragione umana (il cosiddetto "buon senso", sinonimo del "sesto senso"), ma quel razionalismo, oramai giunto al capolinea, con cui boriosamente l'uomo pensa di poter sostituire la propria ragione irragionevole all'intelligenza sovrana che vive dentro se stesso come nell'universo intero. E stupende trovo le parole con cui descrivi quella Madre che, per ricondurci al nostro equilibrio, è costretta a darci "uno schiaffo potentissimo che provoca un dolore lancinante nella sua mano e ancor più nel suo cuore".
RispondiEliminaFranco Campegiani