Emma Mazzuca
Fino al cuore
dell’essere
Alcune poesie inedite
Nota critica di Nazario Pardini
Mia debolezza, rilasciati sul prato,
tiepida e molle coltre di sole:
lenta rientro dentro l’increato
satura infine di sterili parole.
Poesia fresca,
armoniosa, di interiore valenza, dove i palpiti più schietti della vita trovano
posto in una versificazione oscillatoria, segmentata, ondivaga come lo sono gli
stati d’animo nel percorso esistenziale: ora più intensi ora meno ma pur sempre
di alta stesura lirico-emotiva. Ed è proprio nel variare dei versi,
nell’alternarsi di note più alte a più
basse che l’anima trova lo specchio del suo esistere. Grande spiritualità.
Grande forza ascensionale, di urgente verticalità, motivata da un cogito vòlto
a trasferire i fatti della quotidianità in aree di eterna giovinezza, di
perpetuo respiro, di slanci a tradire le fagocitazioni dell’oblio: già il
titolo di questa breve silloge fa da antiporta al susseguirsi delle tematiche Fino al cuore dell’essere: "Noli foras ire, in te ipsum
redi, in interiore homine habitat veritas".
(Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell'uomo che risiede
la verità). E la Poetessa sembra seguire questo enunciato di Sant’
Agostino. La sua mente, il suo abbrivo
emozionale, il suo intento è quello di scavare dentro, di tirar fuori i
reconditi impulsi vitali, le meditazioni sulle inquietudini, le passioni
scaturite dai contatti con il mondo e con le persone che l’affiancano o l’hanno
affiancata. E non di rado la realtà con la sua misteriosa entità fa da
oggettivazione alle ontologiche meditazioni della Mazzuca; agli stati d’animo
che sperdono la loro epigrammatica
sostanza in voli oltre la terrenità, pur con l’animo zeppo dei risvolti
fenomenici della stessa: “…Crolla la luce, perde le sue
foglie il giorno/ più in alto, d’un tratto, / giunge l’improvvisa notte/
occhiate prudenti, /l’ammiccare delle stelle./ Indizi, al di sopra dell’acme.”.
Una simbiotica fusione fra schizzi di cromatico effetto visivo e “Indizi, al di
sopra dell’acme”. Si può dire che la Nostra tocca tutti quelli che sono gli
angoli più nascosti del nostro esistere; ogni pensiero sulla brevità della vicenda umana; del suo precario sfumarsi. E
lo fa con un simbolismo di resa poetica, di coinvolgimento panico, umano: “… e
non c’è albero che regga/ tutela dell’attesa/ e la foglia cade/ e non sa
dove.”. Un senso di smarrimento, di sperdimento, che tanto sa di risvolti
vicissitudinali di un essere che cerca di ritrovare se stesso mischiandosi ad
un verde che richiama tempi di vita; di concreti abbracci sapidi d’amore; di un
colore che riporta a sprazzi di giovanili incontri. Per non dire degli immensi
impuri oceani dove è facile smarrire la
nostra identità, dacché non vi è
soluzione a interrogativi che nascono da turbanti giochi coll’infinito; da onde
che si accavallano le une sulle altre in un perpetuo moto che tanto sa
d’eterno: “… Ma poi sotto le luci ferme delle stelle/le acque confuse di quegli
impuri mari/vanno rigurgitando verso abissi immani.”. Afferma Baudelaire:
"Uomo libero / amerai sempre il mare / il mare è il tuo specchio/ nello svolgersi
continuo delle sue onde / contempli la libertà dell'infinito". E Pascal
dans les pensées: “Cos'è un uomo nella Natura?/ Un nulla davanti
all'infinito,/ un tutto davanti al nulla,/ qualcosa di mezzo tra il nulla e il
tutto.”. Forse la Nostra è cosciente della precarietà del tempo e della vita e
per questo tanti riferimenti poetici riportano a questa filosofia. D’altronde è
umano, fortemente umano azzardare sguardi oltre gli orizzonti; ma è anche
possibile rischiare il dolce naufragio leopardiano, il tramutarsi
dell’assillante clessidra in un vuoto dove la memoria perde i suoi stessi
connotati: “... e un dischiudersi di remoti scuri/ spiare i mezzi camuffati/ e
tu senza esempi/ la notte raschiata/ e la memoria.”.
Ma
si sa che l’onirico torna sempre a galla con
la sua potenza emotiva; e le immagini, pur sfumate dal correre degli
anni, s’ingigantiscono nella sacca dei ricordi; s’infoltiscono per dare
consistenza ad un patrimonio che ci portiamo dietro come prolungamento
dell’esistere: “… dove tu padre/ eri chino su un fianco/ il mio sguardo/ fu
subito colmo di luna/ venni/ per nascerti ancora una volta/ dentro.”. Una
plaquette, dunque, energica e docile, docile e diretta, diretta e avvolgente,
dove le umane e sentite meditazioni sull’esser-ci, pur se a volte segnate da un certo sottofondo di
melanconica intrusione, rivelano il
grande attaccamento alla irripetibile vicenda della vita; ad una storia dove
gli affetti volgono la rotta ad “Indizi, al di sopra dell’acme.”.
Nazario Pardini
Un frammento di cielo
Le panchine sono come serrate
dalle ferruginose sbarre del muro,
imprigionate dai giardini dove
il sole si nasconde
vicino al bosco vergine
al prato immobile
al ponte che rotea a piombo
nel solo angolo retto.
Nel cielo una torre di nubi si dissolve
e d’un colpo, in frotta,
gli uccelli s’innalzano nella volta.
Verde tappeto d’acqua,
dolce più dell’erba, aspro in bocca
ma più diletto allo sguardo;
s’inzuppano gli alberi genuflessi
fidente è l’aria e piena di sopore.
Crolla la luce,
perde le sue foglie il giorno
più in alto, d’un tratto,
giunge l’improvvisa notte
occhiate prudenti,
l’ammiccare delle stelle.
Indizi, al di sopra dell’acme.
Foglia
La sfera umana
la brezza i selci sterrati
l’incerto vivere in te
non la conoscenza delle piogge
fugace tempo di spostamenti
e Cassiopea celata
più radiosa di luce nei rientri
e il nostro tornare
ebri di stoppie e cicale
eppure era nuovo il sapere
lungo covo di formica
sotto la corteccia della quercia
e smarrirsi in misteriosi rii
l’inverno pensato
tu che esisti nel vento
e nel vento la tua parola vive
immobile come la foglia sull’alta fronda
ma deviano i quadranti di novembre
e non c’è albero che regga
tutela dell’attesa
e la foglia cade
e non sa dove.
Tornare
ad essere
Mia debolezza, rilasciati sul prato,
tiepida e molle coltre di sole:
lenta rientro dentro l’increato
satura infine di sterili parole.
E più non mi rattrista l’aguzzo vuoto
tra coscienza ed essere, parole,
indizi per me senza un senso
nella dispersa ebrezza del sole.
Mi disseto all’ascetica polla dell’uno,
del quale sono un misero brandello,
nondimeno
un tutto, pallido non essere.
Nel cielo galleggia la foschia, poi
svanisce
in una fluttuante e lenta danza di
velami:
l’anima si mescola alla vigoria del
verde.
Oceani
Gli oceani, spiegate lontananze
trascinano gli echi della solitudine,
poderose orchestre delle divergenze
dentro le norme dell’inquietudine.
Lì si riverberano le lievi danze
di nivee nuvole nei firmamenti,
che a rilento cambiano sembianti
nell’intonare le soavi armonie del
vento.
Sussulto dell’onda che subentra
all’onda,
che incalza l’onda con perpetuo ansare
affinché l’una nell’altra si nasconda.
Ma poi sotto le luci ferme delle stelle
le acque confuse di quegli impuri mari
vanno rigurgitando verso abissi immani.
Primo meridiano
Primo meridiano
tempo su attoniti volti di genti
dove lo sguardo è di gelo
contro tralci anneriti di corvi
per un filo avvizzito
prima lieto nelle luminarie
dense di effluvi
sotto la pelle dell’acqua
invaghito di colombe
attorno a cornicioni di mirto
declinante finestra sui campi
bloccarti nel cuore
al tremendo angolo del giorno
scivolare verso stelle remote
corsa risonante su volte a margine del
mondo
giare di luna sorbite sino alla
sofferenza
non il diniego del gallo cresta spartita
tamburi colpiti nel piombo
mancanza dell’uomo che remiga a vuoto
con ogni sua mano.
Saggezza dell’acqua
Saggezza dell’acqua
impensata come la terra
e occultata di foglie
non c’erano gli animali consueti
il nome non enunciato
cose comuni
una nuova coscienza
l’incanto nelle forme di vita
azzardare le lande prima della colomba
le mani raschiate per il ritornare
noncuranza per l’acre acqua di dolore
e l’erba lucente e bagnarsi il petto
in una estate di doli
tua saggezza dell’acqua
raccolta di muschi
la selce lisciata
ed io non c’ero
sabbia fra le candele
alibi del primo abbandono
ma dopo il sogno reciproco fra le pareti
e un dischiudersi di remoti scuri
spiare i mezzi camuffati
e tu senza esempi
la notte raschiata
e la memoria.
Padre
Venni
con lo squittire degli uccelli
lungo il sentiero di caprifogli
a interrogare
prati pietre ruscelli
sotto la parete vermiglia delle rose
dove tu
padre
eri chino su un fianco
il mio sguardo
fu subito colmo di luna
venni
per nascerti ancora una volta
dentro.
Emma Mazzuca
Carissimo Nazario,
RispondiEliminache gioia che mi dai! E’ tutto bellissimo. Il tuo illuminato scritto è qualcosa di incredibile, riesci a scavare ad estrapolare le mie più recondite sensazioni dandogli nuova vita in una visione che mi affascina. Ti ringrazio per il tuo giudizio sulla mia poetica, per me vuol dire tanto, sei veramente grande e il tuo pensiero mi dà sicurezza. Le poesie sono sistemate benissimo, mi dispiace che il file ti sia giunto non perfetto forse perché era in Word. Nazario grazie per la forza che mi dai, voglio dirti che la mia gratitudine nei tuoi confronti è veramente immensa. Un caro e sentito abbraccio. Emma