Nota di lettura di Adriana Pedicini
LE POLVERI DI ROMA
(medioevo)
Di Marco dei Ferrari
Una
dolente narrazione dei fasti di una Città, Roma, la cui sorte, nell’epilogo, sembra
alludere a quella che spetta agli umani: quia pulvis es et in pulverem reverteris
Una
città, infatti, non è che un agglomerato, piccolo o grande che sia, di uomini e
inevitabilmente le sorti dell’una è accomunata con quella degli altri. Sicché
tutti i simboli della grandezza, ridotti a brandelli, vivono come tante ferite
deturpate e sanguinano di tabe in mancanza di un’appropriata cura, quando anche
gli abitanti abbiano perso il senso del limite e del pudore incamminandosi
sulla strada sdrucciolevole della corruzione. Infatti non è il silenzio che
come velo pietoso copre il passato a determinare la vera rovina, ma il riuso
profano, la violenza perpetrata dagli uomini a oggetti e monumenti che di sacro
hanno lo spirito antico e il tempo vetusto. Il mos maiorum è sostituito da volgari e
irriverenti costumi che non provano alcun pudore a contaminare ciò che un tempo
era il segno della virtù dei padri. La regina viarum, diventata, dunque,
ricettacolo di animali che vi scorazzano come fossero in aperta campagna,
taverne e postriboli dove un tempo si ergevano gli archi delle vittorie conseguite
da un popolo dominatore. Simboli religiosi pagani e cristiani, luoghi destinati
agli spettacoli, sacri corredi, basiliche, piazze, obelischi, un tempo manifesto di
vita civile e religiosa perfino nei suoi eccessi riprovevoli, sono diventati segno di lordura e
abbandono, morale e spirituale, oltre che fisico e materiale. Un abbandono che
colmerebbe di polvere intere biolche di quella che fu la caput mundi.
Con
questa immagine simbolica si conclude un testo poetico graffiante e amaro, come
si può notare sia dall’utilizzo
frequente di lemmi “nostalgici” che rimandano alla linguistica latina, sia dal
ritmo concitato che anima i versi al punto da creare ambiguità e incerta
valenza sintattica all’interno delle proposizioni. Ma tanto si sa, una poesia è
sempre passibile di interpretazioni diverse, purché non tradiscano l’assunto
principale che in questo caso è un grido di dolore e una sottile speranza che
Roma ritorni quella di un tempo. Ma si può se l’uomo non recupera la virtus
antica?
Adriana Pedicini
LE POLVERI DI ROMA
(medioevo)
Dai boschi di Remo ululano giardini
Cesarei ruderi acquitrini
smozzicano tane in mausolei di lupi
Via Sacra di cinghiali
brancola cani grufola porci
arche di fasti imperiali locande
regesti di tarli rodono rovine
macerano retori orde di chierici
rocchi di colonne Colossei ai dadi
gladiatori giocolieri di astrologi maghi
per Apollo Venere e Diana
patene patere decorano mosaici
Mos Maiorum capre pecore buoi
trainano manenti e bobulci
tripodi bacili rapinati nei secoli
Terme e Fori voragini in gloria
assediano stalle di cripte pagane
basiliche cristiane taurobolii Matris
Magnae
obelischi di Iside demoni di Mitra
pagliericci tralicci con brocche e
sgabelli
martìri per piazze penitenti cloache
reliquiano Cristi in taverne e bordelli
da Pietro il primo a Romolo l’ultimo
tra marmi e falcetti sull’Appia antica
biolche di statue misurano
le polveri di Roma
Marco dei Ferrari
Un Medioevo affollato di ogni lordura, un Medioevo nemico di ogni cultura? Oppure "tanta horribilia" come metafora per ricordare la decadenza di una Roma civilmente globalizzata, come in un oscurantismo del passato?
RispondiEliminaCerto è che tanti termini come ...brancola...grufola...porci..cinghiali...stalle di cripte pagane.. non portano all'esaltazione di una Roma Imperiale caput mundi, fanno invece sentire la passione arrabbiata del Poeta che forse- come suggerisce il commento di A. Pedicini- non è esente da un sentimento di nostalgia per un Passato decisamente morto.
A prescindere da ogni tentativo di interpretazione , questi versi sono un nuovo urlo poetico dell'Artista Marco dei Ferrari che in ogni sua produzione lascia la inconfondibile firma.
Edda Conte
Ringrazio Adriana Pedicini per il suo stimolante commento auspicando un ritorno di Roma agli antichi gloriosi fasti, ben lontani da quel "Medioevo di polvere" che ho cercato di descrivere nella mia composizione.
RispondiEliminaMarco dei Ferrari
Come sarebbe bello trasformare la polvere dei secoli in polvere di stelle!
RispondiEliminaMa le onomatopee del degrado parlano di suoni sgraziati ed animaleschi .
Il secolo buio è perennemente ripetuto e sconfinato in questo nostro terzo millennio:ancora Roma assediata dalla barbarie dei rifiuti e dall'inerzia di politici incapaci.
Dirlo in versi non è facile, ma in questa lirica volutamente dissonante per dare l'effetto del disagio Marco Dei Ferrari e' pienamente riuscito nell'intento.
Si concentrano nei suoi versi sinteticita' e forza espressiva attualissima, quando ancora grava la notte e l'alba di una nuova "Caput Mundi "appare lontana.
L'urlo esistenziale si ingigantisce, si affaccia come lo spettro di Munch che grida disperato.
Come sarebbe bello però trasformare la polvere dei secoli in polvere di stelle!...
Le polveri di Roma come le polveri del tempo in cui viviamo, dannato dalla decadenza della cultura e dei costumi, travolto dalla volgarità e dall’insipienza. Forse ci siamo assuefatti a tale volgarità, ma il Poeta ci fa riscuotere dal torpore a cui ci siamo abbandonati, mettendo a confronto gli antichi fasti con la realtà degradata in cui viviamo. Ci ricorda gli dei, i miti, le terme e i fori, gli obelischi, con forza rappresentativa e pregnanza di riferimenti: per un momento siamo di nuovo immersi in quella Roma gloriosa, o comunque nell’immagine che ne abbiamo, e ci risvegliamo con l’ardore di compiere nuove gesta per scacciare la volgarità dalle vie di Roma e del mondo. Potenza della poesia, che giunge alla verità fulmineamente, attraverso le vie del cuore.
RispondiEliminaMarco dei Ferrari ancora coglie nel segno con un componimento che coniuga potenza ed espressività, con un linguaggio di rara incisività e suggestione.
Spero che l'amico Marco non se la prenda, se accosto le sue “Polveri” ad un film e per giunta ad un film definito “minore” dalla critica e forse dallo stesso regista. Sto parlando di Roma di Federico Fellini.
RispondiEliminaEntrambi gli autori, partendo dall'amore e dalla commozione suscitata dalla bellezza e dalla passata grandezza dell'Urbe, vengono presi nel vortice di immagini, spezzate e contrastanti, che si accavallano: dai resti di un'antichità misurabili a “biolche” di statue e colonne spezzate, comunque sempre affioranti, alla miserrima trascuratezza di una contemporaneità indegna del proprio passato.
Con Fellini eravamo nel '72 e Roma aveva pur sempre una sua consistenza plasticamente rappresentabile. Ora, con M.d.F. siamo quasi a mezzo secolo di distanza, nella quale il degrado è proseguito e l'indegnità del nuovi contemporanei è, se possibile, aumentata: non ci restano che le polveri ed una tristezza ineffabile.
Ad ogni occasione sottolineo, talora quasi come un “avviso” ai lettori dei suoi versi, che M.d.F. utilizza il linguaggio in modo spiccatamente anticonvenzionale, mirando a creare sensazioni ed immagini immediate con un ridotto ricorso all'interfaccia del filo semantico. E' per questo che “torna bene” accostarlo agli artisti delle nuove arti e, per ritornare a Roma, allo stupore di Fellini ed alla malinconia del recente Sorrentino ne La Grande Bellezza.
Paolo Stefanini