Breve riflessione sul poemetto Odisseo di
Umberto Cerio.
Il Poeta, nel poemetto “Odisseo”, nell’incipit
si fa portavoce della comune sorte che senza preavviso conclude la vicenda
esistenziale di ciascuno. Ma prima che ciò avvenga, nel suo caso, gli tocchi
almeno di vivere una vita odissiaca, vale a dire di essere protagonista di una
somma di esperienze in bilico tra il sogno e il desiderio, tra il coraggio e la
paura, tra le lusinghe e la fedeltà a se stesso. Quale novello Odisseo,
appunto, di cui l’Autore cita i momenti salienti del decennale peregrinare.
Poi con un balzo temporale e uno scatto di
sensibilità realistica, l’Autore crea una situazione poetica speculare alla
precedente, sostituendo all’elemento mitologico
l’attualità, alle avventure strabilianti i fatti di cronaca noti a
tutti, riguardanti popoli in fuga da
focolai di guerra, da povertà e situazioni di disagio diventati ormai
connaturati ad essi al punto di aver perso il gusto e la prospettiva di vite
altre. Si augura inoltre di proseguire sul cammino della conoscenza, di affrontare
a viso aperto i problemi che affliggono l’umanità e di resistere alla fugacità
del tempo. Ancora, capire i motivi di chi preferisce la morte alla vita
sacrificando affetti, futuro e l’esistenza stessa, e in nome di chi o di che
cosa, anziché compiere riti antichi sull’altare della vita. E poi ancora poter
cantare l’Amore ed essere affascinato dalla conoscenza, dal mondo naturale in
tutte le sue manifestazioni e infine essere ammaliato da una solitudine serena
e consapevole.
Un desiderio che rimanda alla ricerca della
felicità e alla conquista dell’armonia interiore che pian piano, dopo il
racconto poetico della prima parte, emerge in una forma poetica più semplice e
immediata, ma anche più originale e leggera, non appesantita cioè dagli apporti
culturali disseminati abbondantemente in quella sezione.
Diventa per questo più credibile, absit iniuria
verbis, proprio il segmento dove ad un improbabile novello Laerziade si
sostituisce l’uomo comune, l’uomo di oggi e di sempre, un po’ abitante della
caverna platonica, un po’ prigioniero del sottosuolo, come tocca anche al più
principesco dei personaggi di Dostoevskij.
Un uomo alla perenne ricerca di risposte che la
ragione non può dare.
Adriana Pedicini
ODISSEO
Sono state così rade le albe vere
della
mia vita -e così lontane-
e tra
le altre ebbre di gioia
un
giorno sorgerà anche l’ultima,
sconosciuta
e feroce, come ombra
di donna che mai mi ha amato.
Sarà
un’alba di aprile o di giugno,
o di
un tardo settembre,
quando
il cuore errabondo
segue
uno stormo di uccelli migrare.
Ma prima ascoltare il canto
delle
sirene come Odisseo,
che
allontanava il ritorno
tante
notti sperato, perché
non
quello d’Itaca l’ultimo fosse,
e
sognava infranta la soglia
delle
lontane colonne di Ercole
nella
tempesta frantumata dal Sole
nel
fragore dell’urlo atteso
da
sempre e mai ascoltato
dell’incontro
del cielo e del mare.
Eppure aveva pascolato greggi,
navigato
a Troia, trucidato nemici,
ingannato
uomini e dei di vendetta.
Aveva
guidato al lungo ritorno
compagni
fedeli ed increduli,
tra
mostri e bagliori di vita,
tra
tempeste e stupiti silenzi,
tornando
da solo alla spiaggia di pietra.
Aveva
amato e odiato il sale
bruciante
del mare furioso
e
l’urlo minaccioso del cielo,
guardato
con sfida negli occhi la Morte
nei
tramonti silenziosi e deserti.
Come
l’ultima volta!
Prima andare ad Eea,
perdersi
nell’isola dell’alba
come
Odisseo nel palazzo di Circe,
dove
poi rassegnata la maga gli disse
di
scendere vivo nell’Ade
e
parlare con le ombre dei morti
perché
sorgessero altre albe felici.
Come Odisseo che da Calipso respinse
dell’eternità
il filtro più dolce
per
farsi da sé immortale
con
l’avventura della vita e della morte.
E non
ha per lui armonia
- che
lo plachi e consoli -
la cava
testuggine orfica
o la
grande conchiglia all’orecchio
di
fronte all’azzurro del mare
delle
spiagge dorate di Ogigia.
Prima, rapsodo dei drammi dell’oggi,
contare
le guerre e sapere l’inedia
dei
vinti d’Oriente e dell’Africa;
ascoltare
l’eco disperata delle tempeste
dei deserti e del mare;
conoscere
le contrade della terra
e
sapere le strade del mondo
e il
corso delle comete
e del
carro del Sole
e
degli astri luminosi e lontani;
fingersi
povero e stanco
ed
avere un dono a saziare
la
sete e la fame e speranze;
purificarsi
del putrido sangue
dei
nemici; sacrificare un capretto
all’invidia
del tempo
e
ingannare gli spiriti della notte.
Prima lacerare il velo che copre
silenzi
e immani martìri
e
guardare nel sangue e nei nervi
di
guerrieri votati alla morte
negli
occhi di spose abbandonate
che
non avranno più lampi.
Strappare
pagine bianche di diari
perché
più non si scrivano storie
d’ira
e di morte che da secoli
infangano
uomini e genti.
E accostarsi
ai puri lavacri
e
bruciare profumi ed incensi
a
rinnovare antichi rituali
e
sacrifici agli dei della vita.
Prima cantare tutti gli inni
d’amore
in un calice d’oro,
seguire
il volo dello sparviero
in
cerca della preda fuggente
sulle
valli profonde di verde
o
sulle pietraie, scoscese
come
il tempo della vita.
Ed
ancora, come Odisseo,
sognare
tutti i sogni segreti
della
conoscenza e delle memorie,
sentire
il profumo della cicuta
e il
fascino della falce tagliente,
la
dolcezza della rosa d’inverno
e
l’ebbrezza delle notti di luna,
vivere
nei lunghi giorni di vuoto
- con
lo sguardo all’orizzonte lontano -
l’attesa
lunga di un bianco gabbiano
e
l’abbraccio solitario del mare!
Umberto Cerio
Condivido ampiamente questo splendido commento al canto sciamanico di Umberto Cerio dedicato a Odisseo: figura dove "ad un improbabile novello Laerziade si sostituisce l'uomo comune, l'uomo di oggi e di sempre... Un uomo alla perenne ricerca di risposte che la ragione non può dare". I riferimenti omerici, indubbiamente presenti e puntuali, passano in secondo piano nella forza evocativa del poeta molisano, da sempre attento ai richiami densi del mito. E' dell'"uomo d'oggi e di sempre", come sostiene la Pedicini, che in realtà Umberto Cerio ci vuole parlare, di quell'uomo che, come Odisseo, "allontana(va) il ritorno / ... / e sogna(va) infranta la soglia / delle lontane colonne d'Ercole"; di quell'uomo cui disse la maga "di scendere vivo nell'Ade / e parlare con le ombre dei morti / perché sorgessero altre albe felici" (e quant'è diversa questa discesa agli Inferi, da quella disperata e tragica di Orfeo!). L'"illo tempore" del mito non è un tempo storico, ma un attimo eterno, sempre vivo e presente, attuale. Sta qui la perenne contemporaneità del mito che Cerio intende, e superbamente riesce, a cantare.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Adriana, mia grande amica e donna di Cultura profonda, di conoscenze filosofiche acclarate e dimostrate in più occasioni, io mi limito a citare il testo "Il fiume di Eraclito", introduce magnificamente l'Opera senza tempo di Umberto Cerio, e dà il la a un uomo che della filosofia sta facendo il suo credo, che la sta interpretando in modo nuovo e convincente, dal 2000 a oggi, all'opera del marzo 2017, "ribaltamenti", vademecum del filosofo del nostro tempo. Due colossi, quindi, a esprimersi con toni veraci sul Poemetto Odisseo, di un terzo colosso letterario, che sa dare al mito, i giusti connotati, non quelli della 'favola', come asserisce da sempre Campegiani, ma quelli della verità. Cerio si identifica in questo personaggio nell'unico modo giusto e rivoluzionario, definendolo 'l'uomo d'ogni tempo'. E in versi di assoluta musicalità e di fattura sublime, ne narra le vicende, non per ricordarlo semplicemente, per invitarci a volgere lo sguardo al passato,ma per aiutare ognuno di noi a incontrare se stesso. L'ulissismo, infatti, non dovrebbe essere interpretato come fuga da Itaca, ma come ritorno alle origini, alla ricerca, alle verità dell'esistenza.
RispondiElimina"Ed ancora, come Odisseo,
sognare tutti i sogni segreti
della conoscenza e delle memorie"
Basterebbero questi tre versi per evincere quanto l'Autore si rivolga a se stesso e all'uomo d'oggi, in generale. Attua la grande metafora del 'tornare alle radici', agli inizi, al mito per esprimere la sua 'sete di conoscenza' e il suo desiderio di riassaporare emozioni dimenticate. Umberto Cerio passa un ideale testimone a ognuno di noi e ci induce a fermarci. A navigare senza cercare disperatamente la meta, a riprovare a sognare, a essere protagonisti sereni dell'attimo terreno.
Ringrazio Nazario e i tre colossi che mi hanno preceduto e colgo l'occasione per augurare buon Ferragosto a tutti!
Maria Rizzi
Semplicemnete grazie al Sommo Franco Campegiani e alla eccezionale Amica di sempre e versatile espressione della Cultura Maria Rizzi per le belle parole spese per me. e ricordiamoci..il vero scopo di ogni viaggio non è nella meta ma nel viaggio stesso e avervi come "comites sodalesque" per me è un onore e un privilegio, nonostante la distanza e le scarse frequenze. Buon Ferragosto a voi, al caro Nazario e a Umberto Cerio.
RispondiEliminaAdriana Pedicini
Di ritorno dalle vacanze (chiedo per questo scusa del ritardo) eccomi per un sincero ringraziamento a Adriana Pedicini per la sua ricca nota al mio "Odisseo". La sua analisi è precisa e accurata come la certezza di aver colto nel segno della seconda parte del canto. Era proprio quella la differenza che volevo cogliere tra le due vite: Quella "virtuale" ( che andava comunque "narrata") di Odisseo e il mio desiderio di esperienze che in ogni modo conducessero alla conoscenza e alla sapienza. Giustamente Adriana nota, tra molte altre considerazioni, la necessità
RispondiEliminadi "poter cantare l'Amore ed essere affascinato dalla conoscenza, dal mondo naturale...e infine essere ammaliato da una solitudine severa e consapevole". Infatti "Odisseo" è tratto dal volume "Solitudini" del 2013.
Grazie, Adriana, per il tuo ottimo commento.
Umberto Cerio
Grazie anche a Franco Campegiani, profondo studioso anche del mito e innamorato cultore del pensiero e della cultura,
RispondiEliminaper il suo sapido commento.Non è la prima volta che Franco dimostra di aver compreso l'uso che il faccio del mito e della poesia.
Grazie ancora di cuore.
Umberto Cerio
Ringrazio anche con sincerità Maria Rizzi, per il suo lusinghiero giudizio, ampio e approfondito, che coglie il senso di "Odisseo"con le sue numerose intuizioni e con le sue valide esplicazioni.
RispondiEliminaGrazie di nuovo
Umberto Cerio