LA
CASA DEI “SEGNI” LIRICI
di NAZARIO
Marco Dei Ferrari, collaboratore di Lèucade |
Il
“ritorno” poetico di Pardini in questa lirica narrante si consolida nella
“virtualità” di gesti familiari e di radicamenti segnici indimenticabili.
I
nonni sono i protagonisti con la “mediazione” dialogica del padre e ripetono
nei versi la gestualità di un rito strutturato in presenze necessarie ed
ineludibili. Le stanze, un tavolo di ciliegio, un matterello, la ventaglia, il
carbone, il paiolo sono oggetti/soggetti segnici che incidono l'arte del Poeta
trasformandone la realtà oggettiva in sintomo soggettivo di intuizione
armoniosamente lirica. E' una vera “rivoluzione” dei significati-significanti
che abbraccia ogni “capitolo” della vecchia casa degli avi e rinnova nel gesto
l'indispensabile connubio oggetto-soggetto per porsi svolgimento interiore di
una verità storica. In altri termini l'“oggetto” in questa casa “vive” il
proprio progetto di destinazione, incardinata nell'emozione del creativo, ma
non è solo.
Infatti
la Natura qui appare molto intensa nel suo vorticoso fluire: dal ciliegio
reciso alle faville in altura, dagli schiocchi d'artificio all'inverno che
Pardini anima eccezionalmente accostandolo alla campagna “candida come il
latte”... Una campagna che si rievoca con il nonno del Poeta in galline schiamazzanti
e faine fuggiasche.
Ma
l'artista non si ferma alla narratio naturae; procede su orizzonti più lunghi e
lontani che ci lasciano scorgere metamorfismi soggettivamente reali (campi
bianchi... fiocchi lievi...) realizzati da “storie” vere, strutturate su
“materiali” di svariate certe tipologie come la personalità del Poeta, la
tradizione, un linguaggio specifico. Infatti l'arte di Pardini è anche modalità
formativa/interpretativa, è un movimento morfologico di liricità interna
presente come componente nelle relazioni visibili ed invisibili, abituali -
inusuali riferimenti della antica casa. La casa-”icona” a testimonianza di
eventi nel tempo dello spazio concesso a trisavoli, nonni, genitori che
affiorano dalle “forme” di un verbo o di un sostantivo o di un aggettivo e che
sostanziano “forme” diverse e derivate (la scia della torcia... l'occhio
dell'inverno... lo sprofondare dei piedi...). Ma il segreto più profondo di
questa “casa” pardiniana è la connessione degli “insiemi”, dove ogni ricordo si
manifesta in un altro, trascinando esempi di esseri e cose nella circolarità di
un atto individuale che connota la “parola” e la destina alla sensibilità
raffinata di un vero “cultore/ricercatore” quale è Nazario.
E' la
rivincita del lirismo “aperto”, dove le parole non si afflosciano nella
semplice dimensione monocorde della memoria, bensì si multiformano evocando
azioni, gesticoli, condivisioni di scenari che un sito (colonico) codifica e
vertigina in nomi , simboli, oggetti, animali, fenomeni naturali, ritagli di
impressioni e sentimenti custoditi con sommesso rispetto. E' un comunicare di
natura “semiologica” per un artista sempre in divenire che si confronta nel
conoscersi per non conoscersi mai: Nazario Pardini.
Marco
dei Ferrari
La mia casa
- Perché mi parli sempre di una casa
di due stanze con nell’ombra un po' in disparte
un focolaio a struggere un gran ciocco
pigramente; e di un tavolo nel centro,
smisurato, costruito con il legno
di un ciliegio reciso; e della nonna
a stendere la pasta al matterello
o a usare la ventaglia sul fornello
a carbone che spolverava cenere;
e degli oggetti in rame; e lungamente
di quel paiolo adorno di faville
che s’immillavano in alto. Le volte
che mi hai parlato della vecchia casa
in cui abitavi, padre, saran mille. -
- Ma guarda che mia madre era tua nonna,
anche se mai l’hai vista! E quel camino
era meraviglioso coi suoi schiocchi.
Sembravano dei fuochi d’artificio.
- Sì. Me l’hai detto. - - Allora ti racconto
dell’inverno mio amico. Penetrava
frusciando da fessure, s’inoltrava
nella stanza, poi andava alla finestra.
Alzava la tendina e in cuor gioiva
di vedersi l’autore, tutt’intorno,
di una campagna a stelle in filigrana
candida come il latte. Parlavamo.
Quante cose diceva. Poi tuo nonno... -
- Cosa faceva nonno? - - A tarda sera
andava con la torcia sulla neve.
Vedo ancora la scia. Io credevo
lo facesse per gioco. Quando vecchi,
si ritorna bambini. - - E invece? - - Udiva
gli schiamazzi di galline. Andava giù,
rumoreggiava intorno e le faine
prendevano la strada per i campi. -
- Le faine? - - Allora t’interessa
la mia casa. - - Sarei proprio curioso
di vederne le stanze, i campi bianchi
della neve notturna e i fiocchi lievi
fruscianti sotto l’occhio di un inverno
che racconta le storie. E tu ci andavi
nel candido cortile o per il prato
a sprofondare i piedi con tuo padre? -
da Alla volta di Lèucade, Baroni Editore, Viareggio, 1999
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