PISA e
il cibo nel medioevo
(un
itinerario)
Marco dei Ferrari, collaboratore di Lèucade |
Un
inquadramento di “cultura” alimentare per l'area pisana si può ricollegare
all'ampia documentazione riferita alla realtà storica toscana. Prescindendo
dall'età barbarica, e valutando la situazione economico-politica del XI secolo, non si possono dimenticare la profonda dicotomia tra le classi sociali
(dominanti e dominati), la crescita demografica (dopo la stasi della caduta
imperiale romana) e la diminuzione delle aree coltivate per aumento delle
riserve signorili di pascoli, caccia e pesca.
Distribuendo
la disponibilità dei prodotti alimentari più indicativi nei modelli adattati
alle varie esigenze di consumo dei secoli della potenza pisana, si può altresì
schematizzarne il quadro storico:
A) –
Gli albori della presenza pisana assistono ad un “ritorno” del pane
come elemento principale di sostentamento per tutta la popolazione (in primis
per i contadini), unitamente ai resti di animali macellati (riservati ai servi
della gleba) ed alle zuppe di verdure stagionali e di legumi (ceci – piselli –
fave...) consumate con pane intinto in ciotole adatte all'uso (polenta di fave
e minestre di cereali inferiori -paniccia con latte-) ovviamente ferma restando
la preferenza per la carne (destinata ai ceti più abbienti).
B) –
nei secoli XI e XII (consolidamento della Repubblica pisana) le risultanze
delle Crociate tra l'altro contribuiscono alla diffusione del consumo di spezie
orientali e zucchero. Le spezie sostituiscono il sale
(ingrediente preziosissimo che solo gli aristocratici più ricchi possono
permettersi) e si utilizzano anche in funzione curativa (v. crescita
professionale dello “speziale”) riservata inizialmente ai monaci.
C) – A
partire dal XIII secolo (esplosione economico-politica di Pisa) si diffonde
l'uso delle uova (conservate nella segatura, calce, sale, olio...) che
si impongono sempre più se il “Liber de cucina” del XIII secolo
(anonimo toscano) così le indica: “de ova fritte, arrostite, sbattute è si noto
che non bisogna dire d'esse”...
La conseguenza
della crescita nell'uso delle spezie si evidenzia anche sulle tavole dei
“signori” dove appaiono cannella, zenzero, noce moscata, cumino, zafferano,
mentre ai contadini non mancano erbe aromatiche più economiche come menta,
aglio, origano, timo.
Nei
secoli XII e XIII non possiamo poi dimenticare la pubblicazioni di
libri di cucina-ricettari (anche sulle tracce della cucina povera) e sulle
“buone maniere” a tavola accettate negli ambienti di corte.
Contestualmente
il '300 (declino di Pisa) assiste alla maturazione della civiltà culinaria
toscana con l'importanza crescente del cibo,
del vino e il consumo della pasta semplice e ripiena (raviuolo) come si
ricava da una ricetta proposta dal mercante fiorentino Saiminiato dé Ricci.
Analogo
ragionamento possiamo fare per la diffusione delle “lasagne” (condite con ragù
di carne), che comportano la nascita di una vera e propria categoria di
professionisti (lasagnai) e l'adozione della forchetta (citata in una “novella”
del Sacchetti).
Nei
momenti di carestia, all'epoca molto frequenti, si ha notizia altresì del
consumo in Toscana (e nel contado pisano) di un pane migliato da cui deriva un
tipo di gnocchi detti “strangola preti”...
Miglio
e castagne con polenta e verdure costituiscono infatti il nutrimento delle
classi meno abbienti sia in pianura che in montagna.
Proseguendo
nello schema, si rileva che il secolo XIV è quello della peste, dove si
masticano erbe, si utilizzano spezie e si usa l'aceto (con pane) molto
considerato come disinfettante curativo.
All'epoca
poi degli “accostamenti” gastronomico-sociali e dell'arricchimento
dei prodotti poveri (nobilitazione degli stessi: come esempio per l'aglio con l'agliata)
anche il vino si consuma in tutti i ceti sociali(testimonianze presenti nei
“Tacuinum Sanitas” - manuali di scienza medica nella seconda metà del XIV secolo).
Dalla
fine del 1300 e nel 1400 (crisi e fine della Repubblica Pisana) si verifica una
profonda trasformazione della cultura europea che si riflette nella cucina
toscana. L'estetica e la dimensione qualitativa nella cultura gastronomica
divengono predominanti con una profonda spaccatura tra alimenti destinati alle
classi agiate e al volgo (anche se l'“immaginario” aristocratico non esclude
una convergenza di gusti e abitudini tra le classi). Queste considerazioni
emergono dalla lettura del ricettario dell'Anonimo Toscano. Il gusto comunque
si evolve e si democratizza (o quasi) come le spezie che vengono
progressivamente sostituite dallo zucchero (ingrediente costoso), mentre
le “distinzioni” sociali trovano altre forme di strutture gastronomiche per
evidenziarsi.
Dunque
in questi secoli la centralità delle verdure, le carni salate, la salsa
all'aglio, il dolce-salato (agrodolce)caratterizzano buona parte
dell'alimentazione consumata dai ceti popolari, mentre i “grandi pranzi”
(ovvero la grande “cucina”) costituiscono un'altra morfologia e sintassi di
cultura gastronomica destinata alle classi dominanti.
I
pranzi aristocratici ad esempio iniziano con vini bianchi cui seguono carni
servite con mandorle e spezie, poi formaggi e tortini con datteri, miele e
frutta.
Nel
“buio” pisano (ormai Pisa sottomessa a Firenze) ricordiamo famosi banchetti
medicei come il banchetto di nozze di Bernardo Rucellai con Nannina dé Medici
(1446) e quello di Lorenzo il Magnifico con Clarice Orsini (1469), chiare
testimonianze di una cucina anche “scenografica”, sempre riservata comunque
all'elite di potere.
Pisa
(ormai politicamente estinta) segue gli itinerari della cucina toscana a guida
fiorentina (sempre distinta tra ricchi e poveri) e assiste con il “libro de
arte coquinaria” (1456) del Maestro Martino da Como (il più prestigioso
cuoco italiano del secolo), al passaggio dalla cucina dell'Alto Medioevo a
quello rinascimentale, culturalmente definito da nuove ricette; tecniche nuove
di cottura dei cibi; princìpi igienici e dietetici in ascesa.
Il
Medioevo pisano anche gastronomico è finito.
Marco
dei Ferrari
Trovo di grande interesse queste note di enogastronomia pisana, e toscana in generale, che si possono riferire a tutto il Basso Medioevo. Indagare i percorsi alimentari del passato significa tout court ricostruire intere pagine di storia, a tal punto il cibo, elemento essenziale per la vita, condiziona le vicende umane, a tutti i livelli.
RispondiEliminaBen vengano elaborati di questo tipo che contribuiscono a dare ulteriore sostanza al nostro blog.
Pasquale Balestriere
In questo testo, sempre accurato e documentato come è nello stile dell’autore, Marco dei Ferrari ci ricorda quanto siano importanti nella ricostruzione storica elementi della vita quotidiana, secondo le impostazioni storiografiche più moderne e accreditate. E non c’è dubbio che la storia dell’alimentazione sia un argomento di grande interesse, che può meglio farci comprendere le dinamiche sociali ed economiche di un certo periodo storico. L’autore ci guida in un itinerario che attraversa i secoli del Medioevo, presentandoci i piatti tipici della cucina pisana fino al periodo di massimo splendore della città e poi nel declino e nella definitiva assimilazione all’area fiorentina. Un bell’excursus che ci rivela aspetti non sempre conosciuti o comunque poco considerati, che ci mostrano la storia di Pisa da un nuovo punto di vista: testimonianza anche del sincero affetto dell’autore per la città in cui vive e a cui non manca di dedicare la propria opera di ricercatore, di poeta, di scrittore.
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RispondiEliminaRitrovarsi nella storia più semplice della propria terra, riconoscere gli odori e i sapori - quelli che si spandevano dalla cucina quando c'era nonna....nelle parole PANE, AGLIO, SPEZIE. Per quanto ci si allontani dalle proprie radici, come alberi dalle chiome alte, i piedi affondano sempre in quel limo che parla la propria lingua. E io, caro Marco, mi riconosco ancora una volta nelle tue parole, questa volta così tecniche e precise sul corso della storia.
RispondiEliminaDimmi come mangi, e ti dirò chi sei...sono Pisana, fin nel midollo e nell'orgoglio della vecchia signora dei mari.
Ecco una pagina che intreccia bene la storia del nostro passato con la quotidianità di un presente che ci tocca molto da vicino.
RispondiEliminaMarco dei Ferrari nel suo excursus storico su l'alimentazione non fa soltanto una ricerca sul cibo e l'alimentazione a Pisa e in Toscana dal
Medioevo, ma a prescindere dall'originalità dell'argomento - insolito sull'Isola dei Poeti- dà forse un messaggio subliminare al mondo di oggi e alle sue usanze.
Nel tempo la vita la società i costumi ovviamente cambiano e anche il rapporto con il cibo non è più quello del Medioevo.Globalizzazione e rivoluzione stessa dei sistemi nell'agricoltura hanno allontanato anni luce da quei tempi. Il contadino che estrae la carota dalla terra, la scuote e la mangia non esiste più....nonostante la pubblicità!, come non si può più parlare di un "mangiare toscano" o ligure o calabro. Ovunque il supermercato è il campo che rifornisce la nostra cucina...addirittura accade che il cesto d'insalata o il finocchio continuino a vegetare nel frigorifero!
Eppure, nonostante tutto questo, potremmo ancora trovare tra i ricordi nemmeno troppo lontani un po' di quella semplicità che arricchiva di sapore anche i cibi più poveri come i legumi o i cereali...
Forse proprio questo vuole suggerire la pagina di Marco dei Ferrari, andare alla ricerca del buon tempo antico, almeno nell'alimentarci.
Il suo è uno scritto di novità e di interesse che rivela ancora una volta la sua apertura culturale e originalità.
Può dirsi una ricerca attenta e misurata, agevole nella presentazione dell'argomento ricco di spunti e di curiosità. Del resto Marco non è nuovo all'interesse per la Storia del Passato, come dimostrano ampiamente alcune sue opere di diverso genere letterario.
Un plauso alla sua mente sempre fervida di idee.
Edda Conte.
Se è vero che noi siamo ciò che mangiamo,questa ricerca storica di Marco Dei Ferrari sulla cucina pisana del Medioevo,ci riporta alle tradizioni più vere e pure,che non dovremmo mai dimenticare.
RispondiEliminaIl valore nutritivo della carne e del pane,oggi troppo
spesso bistrattati dalle varie aderenze culinarie new age ,la pasta,importante per una dieta mediterranea considerata dall'UNESCO patrimonio dell'umanità.
In Marco c'è l'amore per le nostre radici e la consapevolezza del loro valore,nutritivo ed umano.
Importante sarebbe anche una ricerca sulle suppellettili usate durante i banchetti, dalla lavorazione dei piatti,
prima ciotole in legno,con le relative posate,poi le raffinate lavorazioni in porcellana.
Dalle caraffe in terracotta a quelle in vetro,eseguite dai più raffinati artisti vetrai pisani e toscani.
La tradizione millenaria,estesa dalle tavole dei ricchi,a quelle del popolo,l'introduzione ,anche in queste,nel corso del tempo,di sempre maggiori ornamenti per arricchirle ed equipararle a quelle dei ceti alti.
Ed ecco la nascita delle nature morte,che Marco riesce ad evocare,facendo diventare la descrizione storica una conversione dipinta.
Marco ci ha trasportato in un viaggio infinito e ricco,non solo e soltanto di spunti eno- gastronomici,ma anche di una storia costruita su quanto c'è di più bello e stimolante:il cibo,vero capolavoro ed opera d'arte!
E' proprio il caso di dire che "l'appetito vien mangiando", per significare che questo articolo fa desiderare una trattazione ben più ampia: grazie al colto assaggio di Marco dei Ferrari, ora abbiamo voglia di andare oltre e mettere le mani ( ...e i denti) in un aspetto della nostra storia tutt'altro che minore.
RispondiEliminaPaolo Stefanini
Un ringraziamento a tutti i commentatori che con il loro prezioso contributo ampliano le riflessioni, le ricerche, gli spunti, gli orizzonti per future considerazioni su un settore particolarmente gradito qual è l'enogastronomia toscana.
RispondiEliminaCon questo scritto Marco dei Ferrari apre una finestra sul passato dell’alimentazione dei pisani, che affonda le radici nella cultura dei popoli affacciati sul bacino del Mediterraneo. Ricostruire la dieta, le ricette e le mode alimentari dei nostri antenati ci aiuta a comprendere l’importanza del ruolo e dell’influenza che l’alimentazione ha esercitato nei secoli sul costume dei nostri antichi concittadini, i cui echi si ritrovano ancora nelle cucine di qualche nonna. E’ una ricerca originale, quella di Marco, che ci affascina, grazie anche alla meticolosa attenzione verso i dettagli che contraddistingue ogni suo approfondimento.
RispondiEliminaAl di là della parola scritta, comunque, si scorge il messaggio che l’autore vuole indirizzarci: basta con i fast food, con i cibi precotti e preconfezionati da riscaldare all’ultimo momento. Dobbiamo ispirarci alla grande lezione alimentare elargitaci dai nostri predecessori e ritornare a una cucina più naturale, che utilizzi l’eterogenea varietà di prodotti offerta dal nostro territorio, condita con le saporite erbe aromatiche nostrane o, magari, con le pregiate spezie della tradizione mediterranea.