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martedì 24 ottobre 2017

N. PARDINI LEGGE: "OLTRE LE STELLE" DI A. IZZI RUFO

Antonia Izzi Rufo: Oltre le stelle. Edizioni Eva. Rende (CS). 2017. Pag. 53. € 8,00




Riversare su un fiore
tutta la mia tenerezza,
amarlo di un amore puro,
sano, trasparente,
attingere da esso
estasi interiore, impulso a volare
oltre le stelle del firmamento,
è il mio senso di vita,
il ritorno alla fanciullezza
ed alla spensieratezza,
al tempo delle fiabe,
al luccichìo intermittente
delle lucciole che rincorrevo
a piedi nudi,
nelle lunghe serate di giugno,
con la schiera dei bambini
di “via Piana”, la mia strada (Oltre le stelle).

Fiore, tenerezza, amore, impulso a volare, ritorno alla fanciullezza, serate di giugno: tanti ingredienti lessico-emotivi che costituiscono il focus, il nerbo portante del canto di Antonia Izzi Rufo. Il tutto in una poesia testuale che, a pag. 20 del diacronico succedersi del racconto, si potrebbe porre come momento incipitario con valore eponimo dell’opera. Versi sciolti, di eufonico impatto, di varia misura che, vòlti ad agguantare e concretizzare gli abbrivi di una poetessa tutta volta a dire di sé, della vita, dei ricordi,  dei sogni, delle vertigini paniche, della Bellezza,  traducono un’anima ora in fiori bellissimi, ora in cielo e mare, ora in luccichii intermittenti di lucciole, ed ora nel sorgere del sole nelle rose dell’aurora. Un viaggio in un mare aperto di luce e di speranza; di rinascita per i bocci che simboleggiano il candore di un bimbo; di una creatura attesa come la nascita del Bambino Gesù: si tratta del nipotino di Antonia a cui ella dà tutta se stessa, anima e corpo, con la voce di una poesia armonicamente fluente, e con la dedizione spirituale di una maestra che per tutta la vita ha vissuto nei suoi ragazzi il motivo di esistere. Ma ora c’è la sua carne, il suo sangue, ci sono gesti e mossette destinati a tramandarla con la loro freschezza in grembo al seno di Giove, come dicevano i Greci.  C’è anima in questo racconto, c’è dolcezza, c’è partecipazione, c’è emotività che dai piccoli gesti trasferisce il poema oltre le stelle. Dal miracolo della nascita “trepidanti ed estatici/ assistiamo al miracolo/ che già in noi si compì/ ed ora in lui si rinnova” (Un uomo); alla grandezza dell’universo: “… Sei piccolo ma grande,/  quanto l’intero universo,/ …/ Sei di tutti, parte dell’umanità, / non solo di mamma e papà, / anche mio; c’è in te un po’ di me” (C’è in te anche un po’ di me); al battesimo: “… Mattiniero il dì s’è destato,/  preludio di primavera alle porte,/ e in un cielo di limpido azzurro/ ha iniziato il suo giro col sole…” (Battesimo). Ed è il cielo, la Grazia, la potenza epifanica della natura a venire in aiuto alla poetessa per aiutarla a trasferire in poesia tutta la sua intensa umanità. Il racconto prosegue con l’Impareggiabile scultura vivente in cui si esalta la bellezza del fiore più bello del mondo; e attraverso Le gioie di una vita, La guancia di un bimbo, Il suo (tuo) linguaggio, Per il suo (tuo) primo compleanno, Sintonia,…  si giunge all’ultima lirica in cui  la poetessa si chiede il “perché” di tanta tenerezza del cuore:

(…)
È debolezza la mia?
non dovrei
mostrare freno, discrezione,
 contegno morale,
rimuovere l’eccesso,
tenermi in disparte
per non provocare reazione
in chi ha priorità assoluta
d’amare e godere
del più nobile dei sentimenti?
Chiedo venia al Bimbo
e ai suoi cari
e prometto di celare,
non cancellare,
il mio spontaneo, anomalo sentire.

È cosa difficile trattare in poesia un argomento tanto sentito senza cadere nel retorico o nel mellifluo; la Rufo evita tutto questo affidandosi alla spontaneità di un linguismo mantenuto fra gli argini che contengono l’irruenza della corrente.


Nazario Pardini

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