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giovedì 5 ottobre 2017

N. PARDINI: PREFAZIONE A "L'ETERNO VIAGGIATORE" DI EMANUELE ALOISI


Emanuele Aloisi. L'eterno viaggiatore.
Casa Editrice Kimerik. Patti. 2017. Pg. 64

Il poema di Emanuele Aloisi

Emanuele Aloisi

Naviga sempre il mare il nostro eroe
le vele dispiegando alle tempeste
nella pretesa d’invocare il fato,
i numi di un Olimpo sulla luna         
ad osservare indifferenti sorti,  
un uomo che combatte solitario…

Un incipit che da subito ci mette in rotta verso porti e fari di un lungo corso: mare, eroe, vele, tempeste, fato, Olimpo, numi, un uomo solitario.
Sono questi i riferimenti che mettono in gioco un allungo didascalico-allegorico di sapore dantesco: un essere che in solitario naviga verso mondi a noi vicini ma partendo da sponde di memoria antica, incarnato nella metaforicità di un Cristo redentore che sembra non sempre volgere lo sguardo su certe tragiche e imprevedibili peripezie del divenire umano.
Un poema di misura classica con tutti gli ingredienti di una modernità turbata, affannata, in corsa verso mete di difficile ancoraggio. Un odissaico travaglio tra mari e coste, tra isole e orizzonti, tra civiltà e personaggi, che ne determinano sostanza e dilemmi.
L’eterno viaggiatore: un titolo appetitoso, invogliante; un titolo polivalente, plurimo se riferito alla vicenda umana; al tema del viaggio, del nostos, nostoi, che coinvolge tutti noi in quanto umani, esseri che su questo scrimolo dell’universo siamo ridotti a vivere, con l’animo intriso di dubbi e incertezze, una storia che ci unisce e ci compatta  o perlomeno ci dovrebbe unire per vincere ostacoli che la navigazione ci presenta in un mare purtroppo disseminato di scogli e di trabucchi. D’altronde appartiene proprio all’uomo la spinta alla scoperta, all’avventura e qui sarebbe scontato tirare in ballo il nostro Dante (Nati non foste…); è  nella sua natura non accontentarsi degli spazi ristretti in cui vive; ambire a travalicare quelle siepi che delimitano il suo andare; la sua voglia di azzurro. E’ così che il Nostro in un poema di dodici stanze affronta quella navigazione che metaforizza l’iter storico dei nostri affanni: Enea orfano mesto, Ulisse, Nausica,  zattera dell’odissea, crociate ad ostentare l’Ostie, luccichii di armature, simulacri abbandonati al vento, le miserie di un eroe qualunque, un pubblico che accetta patimenti ignaro di fratelli e figli, Olocausti, viaggio amaro, carestie nefaste, eroi innocenti, figli di un Dio minore, viaggio redentore dell’Egitto…, tante vicende vicine e lontane che ci martorizzano  e ci inquietano  per le loro esiziali incursioni. Una sintesi spietata e desolante di un viaggiatore ignudo fra tempeste e venti siberiani; àmbiti di  crudeltà, e ribellioni di una natura che tutto affonda e tutto annienta. E’ sufficiente porre la  mente alle disgrazie ultime avvenute negli Abruzzi per caricare il dosso del navigatore di un peso insopportabile: Amatrice e dintorni: neve, fango, crolli, terremoto, morti… E come non può coinvolgerci una memoria tanto trucida come quella degli interventi nazisti contro gli Ebrei? e come non può quella altrettanto disumana degli infoibati? Proprio in questi giorni ricorre la memoria di quelle due stragi: quella dei campi di sterminio nazista e quella dei dalmati istriani. Quindi l’autore con un linguismo melodico e di euritmica sonorità affronta tale viaggio, cosciente della precarietà del tempo, e delle debolezze dell’umana gente: un ossimorico tragitto, se si vuole, fra l’armonia di un canto affidato ad una narrazione di endecasillabi sciolti, e la tristezza che certi accidents, spesso brutali e incomprensibili, scatenano nella nostra entità di esseri umani. D’altronde l’uomo ha bisogno di dare una giustificazione a ciò che accade; rientra nella sua essenza scoprire, trovare, ricercare, e non accontentarsi del semplice fatto di un accadimento, in quanto tale; ne deve venire a capo; deve arrivare al nocciolo delle cose, scoprirne le cause; sente il bisogno di dare delle soluzioni ai perché di difficile risposta; a quelli che vanno oltre il nostro sguardo bieco e miope. Da ciò l’inquietudine di fronte all’impossibile che ci muove verso i misteri; che si fa molla di scoperte e di azzardi: saudade, malinconia, spleen, weltschmertz; sentimenti che scaturiscono dalla coscienza della nostra insufficienza ma anche dallo spirito d’avventura che è nella nostra natura non sempre vòlta, purtroppo, al bene, all’amore, alla comprensione, alle esigenze dell’ambiente, all’etica,  o ancora peggio, al rispetto del diverso, anche perché viviamo in una società dove l’interesse e l’egoismo la fanno da padroni; questa è la vita, e non certo cosa nuova, nel lungo tragitto del divenire terreno. Da ciò le più grandi tragedie dell’umanità: dallo sterminio dei cristiani per mano dei romani, alla diaspora, dalle stragi in Africa per il colonialismo, a quelle nei paesi dell’est per il comunismo, da quelle degli imperi a scapito di democrazie, a quelle di ogni oppressore verso gli umili. Tante vicende di difficile comprensione per una mente calcolata a misure temporali. Viene facile pensare alla dimenticanza di un ente superiore, ad una sua distrazione di fronte a tragedie tanto tormentate e crudeli come quelle di un insieme di naviganti che si fa persona, individuo, soggetto, fattore di bene e di male che lo scrittore sa tracciare con un apporto etimo, vario e articolato; con una scelta verbale di grande efficacia visiva e risolutiva, dacché sa, il Nostro, che per coprire tanto spazio, tanta energia emotiva il linguaggio deve farsi ora asciutto, ora ampio, ora narrativo con l’aiuto di ripetuti enjambements e ora conclusivo. E sono gli annessi sinestetico-allusivi, o ipebolici, o di varia natura simbolico-retorica, a dare consistenza poetica al canto; a farsi oggetto di una creatività  fresca e robusta. Di questo è capace il poeta: concretizzare tanto sentire, tanta storia, in ambito verbale non è certamente facile ma Aloisi riesce a farlo con esperita forza di valenza umana:

Semmai negli occhi di un eroe, un mondo
che ancora ha un’anima un respiro, pieghe
di tumultuose leggerezze, scogli   
nelle carezze dei sudari, e mani
pronte ad accogliere le croci, madide
lasciate indifferenti alla deriva
di polveri di venti e di consensi,
nel grembo della storia a ritornare.


Nazario Pardini



DAL TESTO

L’eterno viaggiatore

                         I
Naviga sempre il mare il nostro eroe
le vele dispiegando alle tempeste
nella pretesa d’invocare il fato,
i numi di un Olimpo sulla luna         
ad osservare indifferenti sorti,   
un uomo che combatte solitario.
E non approda alle lavinie prode
lo sconfortato Enea, orfano mesto
di protettori e di penati Dei,             
di santi da portare sulla schiena  
senza che i lividi della miseria
li abbia scalfiti sulla pelle, un dì.
Continua eterno a naufragare, profugo
nell’acque di un ameno calendario    
dove la bussola del tempo è persa,     
disorientata la lancetta al nord,
dove il magnete di una croce tace
o madido nel legno è inascoltato.
Forse la zattera dell’odissea          
ha perso i chiodi nell’abisso, spettri        
alla ricerca delle membra, carne
per ancorarla ad animati tronchi,
all’orizzonte di un’azzurra sponda
dove non tremano pietrose zolle         
mentre di donna ondeggia la sinuosa  
veste, la voce di un affranto amore
ad emanare l’odorosa ambrosia,
l’ombra pietosa di un materno sguardo.

        

2 commenti:

  1. Ritorna la meditazione angosciata di E. Aloisi sui turbamenti e le sofferenze del mondo. Il bel titolo ci conduce al tema universale del viaggio dell’individuo e dell’umanità inquieta, senza pace e senza consolazione , che non può lasciarci indifferenti: “Continua eterno a naufragare, profugo/ nell’acque di un ameno calendario/ dove la bussola del tempo è persa, / disorientata la lancetta al nord….”

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  2. grazie prof. Pardini e grazie Maria Grazia Ferraris Emanuele Aloisi.

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