Emanuele Aloisi. L'eterno viaggiatore. Casa Editrice Kimerik. Patti. 2017. Pg. 64 |
Il
poema di Emanuele Aloisi
le vele dispiegando alle tempeste
nella pretesa d’invocare il fato,
i numi di un Olimpo sulla luna
ad osservare indifferenti sorti,
un uomo che combatte solitario…
Un
incipit che da subito ci mette in rotta verso porti e fari di un lungo corso:
mare, eroe, vele, tempeste, fato, Olimpo, numi, un uomo solitario.
Sono
questi i riferimenti che mettono in gioco un allungo didascalico-allegorico di
sapore dantesco: un essere che in solitario naviga verso mondi a noi vicini ma
partendo da sponde di memoria antica, incarnato nella metaforicità di un Cristo
redentore che sembra non sempre volgere lo sguardo su certe tragiche e
imprevedibili peripezie del divenire umano.
Un
poema di misura classica con tutti gli ingredienti di una modernità turbata,
affannata, in corsa verso mete di difficile ancoraggio. Un odissaico travaglio
tra mari e coste, tra isole e orizzonti, tra civiltà e personaggi, che ne
determinano sostanza e dilemmi.
L’eterno viaggiatore: un
titolo appetitoso, invogliante; un titolo polivalente, plurimo se riferito alla
vicenda umana; al tema del viaggio, del nostos, nostoi, che coinvolge tutti noi
in quanto umani, esseri che su questo scrimolo dell’universo siamo ridotti a
vivere, con l’animo intriso di dubbi e incertezze, una storia che ci unisce e
ci compatta o perlomeno ci dovrebbe
unire per vincere ostacoli che la navigazione ci presenta in un mare purtroppo
disseminato di scogli e di trabucchi. D’altronde appartiene proprio all’uomo la
spinta alla scoperta, all’avventura e qui sarebbe scontato tirare in ballo il
nostro Dante (Nati non foste…);
è nella sua natura non accontentarsi
degli spazi ristretti in cui vive; ambire a travalicare quelle siepi che
delimitano il suo andare; la sua voglia di azzurro. E’ così che il Nostro in un
poema di dodici stanze affronta quella navigazione che metaforizza l’iter
storico dei nostri affanni: Enea orfano mesto, Ulisse, Nausica, zattera dell’odissea, crociate ad ostentare
l’Ostie, luccichii di armature, simulacri abbandonati al vento, le miserie di
un eroe qualunque, un pubblico che accetta patimenti ignaro di fratelli e
figli, Olocausti, viaggio amaro, carestie nefaste, eroi innocenti, figli di un
Dio minore, viaggio redentore dell’Egitto…, tante vicende vicine e lontane che
ci martorizzano e ci inquietano per le loro esiziali incursioni. Una sintesi
spietata e desolante di un viaggiatore ignudo fra tempeste e venti siberiani; àmbiti
di crudeltà, e ribellioni di una natura
che tutto affonda e tutto annienta. E’ sufficiente porre la mente alle disgrazie ultime avvenute negli
Abruzzi per caricare il dosso del navigatore di un peso insopportabile:
Amatrice e dintorni: neve, fango, crolli, terremoto, morti… E come non può
coinvolgerci una memoria tanto trucida come quella degli interventi nazisti
contro gli Ebrei? e come non può quella altrettanto disumana degli infoibati? Proprio
in questi giorni ricorre la memoria di quelle due stragi: quella dei campi di
sterminio nazista e quella dei dalmati istriani.
Quindi l’autore con un linguismo melodico e di euritmica sonorità affronta
tale viaggio, cosciente della precarietà del tempo, e delle debolezze
dell’umana gente: un ossimorico tragitto, se si vuole, fra l’armonia di un canto
affidato ad una narrazione di endecasillabi sciolti, e la tristezza che certi
accidents, spesso brutali e incomprensibili, scatenano nella nostra entità di
esseri umani. D’altronde l’uomo ha bisogno di dare una giustificazione a ciò
che accade; rientra nella sua essenza scoprire, trovare, ricercare, e non
accontentarsi del semplice fatto di un accadimento, in quanto tale; ne deve
venire a capo; deve arrivare al nocciolo delle cose, scoprirne le cause; sente il
bisogno di dare delle soluzioni ai perché di difficile risposta; a quelli che
vanno oltre il nostro sguardo bieco e miope. Da ciò l’inquietudine di fronte
all’impossibile che ci muove verso i misteri; che si fa molla di scoperte e di
azzardi: saudade, malinconia, spleen, weltschmertz; sentimenti che scaturiscono
dalla coscienza della nostra insufficienza ma anche dallo spirito d’avventura
che è nella nostra natura non sempre vòlta, purtroppo, al bene, all’amore, alla
comprensione, alle esigenze dell’ambiente, all’etica, o ancora peggio, al rispetto del diverso,
anche perché viviamo in una società dove l’interesse e l’egoismo la fanno da
padroni; questa è la vita, e non certo cosa nuova, nel lungo tragitto del
divenire terreno. Da ciò le più grandi tragedie dell’umanità: dallo sterminio
dei cristiani per mano dei romani, alla diaspora, dalle stragi in Africa per il
colonialismo, a quelle nei paesi dell’est per il comunismo, da quelle degli
imperi a scapito di democrazie, a quelle di ogni oppressore verso gli umili. Tante
vicende di difficile comprensione per una mente calcolata a misure temporali.
Viene facile pensare alla dimenticanza di un ente superiore, ad una sua
distrazione di fronte a tragedie tanto tormentate e crudeli come quelle di un
insieme di naviganti che si fa persona, individuo, soggetto, fattore di bene e
di male che lo scrittore sa tracciare con un apporto etimo, vario e articolato;
con una scelta verbale di grande efficacia visiva e risolutiva, dacché sa, il
Nostro, che per coprire tanto spazio, tanta energia emotiva il linguaggio deve
farsi ora asciutto, ora ampio, ora narrativo con l’aiuto di ripetuti
enjambements e ora conclusivo. E sono gli annessi sinestetico-allusivi, o
ipebolici, o di varia natura simbolico-retorica, a dare consistenza poetica al
canto; a farsi oggetto di una creatività fresca e robusta. Di questo è capace il poeta:
concretizzare tanto sentire, tanta storia, in ambito verbale non è certamente
facile ma Aloisi riesce a farlo con esperita forza di valenza umana:
… Semmai negli occhi di un eroe, un mondo
che
ancora ha un’anima un respiro, pieghe
di tumultuose leggerezze, scogli
nelle carezze dei sudari, e mani
pronte ad accogliere le croci, madide
lasciate indifferenti alla deriva
di polveri di venti e di consensi,
nel grembo della storia a ritornare.
Nazario Pardini
DAL TESTO
DAL TESTO
L’eterno viaggiatore
I
Naviga
sempre il mare il nostro eroe
le
vele dispiegando alle tempeste
nella
pretesa d’invocare il fato,
i numi
di un Olimpo sulla luna
ad
osservare indifferenti sorti,
un
uomo che combatte solitario.
E non
approda alle lavinie prode
lo
sconfortato Enea, orfano mesto
di
protettori e di penati Dei,
di
santi da portare sulla schiena
senza
che i lividi della miseria
li abbia
scalfiti sulla pelle, un dì.
Continua
eterno a naufragare, profugo
nell’acque
di un ameno calendario
dove
la bussola del tempo è persa,
disorientata
la lancetta al nord,
dove
il magnete di una croce tace
o
madido nel legno è inascoltato.
Forse
la zattera dell’odissea
ha
perso i chiodi nell’abisso, spettri
alla
ricerca delle membra, carne
per
ancorarla ad animati tronchi,
all’orizzonte
di un’azzurra sponda
dove
non tremano pietrose zolle
mentre
di donna ondeggia la sinuosa
veste,
la voce di un affranto amore
ad
emanare l’odorosa ambrosia,
l’ombra
pietosa di un materno sguardo.
Ritorna la meditazione angosciata di E. Aloisi sui turbamenti e le sofferenze del mondo. Il bel titolo ci conduce al tema universale del viaggio dell’individuo e dell’umanità inquieta, senza pace e senza consolazione , che non può lasciarci indifferenti: “Continua eterno a naufragare, profugo/ nell’acque di un ameno calendario/ dove la bussola del tempo è persa, / disorientata la lancetta al nord….”
RispondiEliminagrazie prof. Pardini e grazie Maria Grazia Ferraris Emanuele Aloisi.
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