Pagine

giovedì 18 gennaio 2018

FRANCO CAMPEGIANI LEGGE: "SOSPENSIONI MOLECOLARI" DI FRANCESCO CASUSCELLI




Francesco Casuscelli,
collaboratore di Lèucade


























Sospensioni molecolari, di Francesco Casuscelli

Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade

L'alchimia è nota come processo di trasformazione del piombo in oro, ma in senso simbolico è l’arte della trasformazione interiore, con valenze eminentemente spirituali. E', per l'esattezza, quel processo di individuazione (descritto anche da Jung) che tende alla conoscenza del Sé attraverso la distruzione dell'Ego. Tale processo si basa sulla pratica del Solve et Coagula, sciogli e riunisci. Inizia con la dissoluzione della materia, detta anche Sale, posta in un crogiuolo o forno alchemico chiamato Athanor, e finisce con la ricostruzione di più evolute forme vitali. Morire, dunque, per rinascere dalle proprie ceneri, come l'Araba Fenice.
Francesco Casuscelli è un ricercatore chimico ed è molto probabile che Sospensioni molecolari, questo suo primo testo poetico pubblicato da Libreria Editrice, sia nato nell'onda di più o meno consapevoli reminiscenze alchemico-spirituali, erroneamente considerate nei termini antiscientifici di grossolano sapere proto-chimico, se solo si pensa  che scienziati come Newton hanno potuto tranquillamente conciliare gli studi alchemici con il rigore scientifico. E che dire, in fisica quantica, della ben nota dualità dell'onda e della particella, facilmente riconducibili, in termini simbolici, alla dualità di Spirito e Materia, o dello yin e dello yang, come pure del Re e della Regina dei saperi alchemici?
Dal punto di vista strettamente chimico la sospensione è la dispersione di particelle liquide o solide in attesa di nuove e inaspettate aggregazioni. Una suggestiva metafora del semplice e del composto, dell'uno e del molteplice in relazione tra di loro. Ne nasce una poetica dell'osmosi e dell'interscambio che si sbaglia a ritenere di stampo panteistico, come si è portati a sospettare in presenza di visioni olistiche. Qui le due sfere (assoluto e relativo) non si identificano tra di loro, ma, ben distinte, sono tuttavia inscindibili e in stretta relazione. La spiritualità che Francesco coglie nel creato non è che un vento, allora, un sussurro o un soffio che balena nella materia e scompare senza assumere fissa dimora.
Scandita in quattro tempi, la raccolta si pone come un canto di appartenenza alla terra, da cui l'umanità si viene allontanando con gravi conseguenze di ordine etico-morale: "Ed io dovrei partire / e lasciare questo angolo di cielo!". "Oggi il tempo fugge", e fuggendo rivela la sua pochezza, la sua relatività, il suo impetuoso andare alla deriva. Così il poeta rimpiange il tempo immutabile del passato, quando "sognavo immense libertà". Da qui i ricordi struggenti di quel suo perduto tempo calabro, di quella terra abitata da un'umanità rude e sapiente, selvaggia e gentile a un tempo, da cui il poeta bambino venne dolorosamente strappato.
Ma qui interviene il ricordo del babbo, con la sua intramontabile fede nella vita: "Devi avere pacenzia... / per comprendere la vita". Così oggi, che quel tempo felice sembra tramontato, Francesco può tirar fuori quella saggezza atavica dai meandri nascosti del proprio essere. "M'innamorai del giorno / quando sopraggiunse la notte", egli dice, sicuro che ad ogni fine corrisponde un inizio. E anche se non sa quando, né come, questo possa accadere, è certo che "... nel futuro abbiamo bisogno / di creatori, maestri, artigiani, contadini / di mani ruvide di calli / che sanno tramutare / l'idea in oggetti / e produrre beni primari, necessari. / Frutto di lavoro, quel lavoro atavico, / quel lavoro che ci dona tempo, / quel lavoro che non conosce crisi, / quel lavoro che ci dà bellezza, / che dona bellezza al paesaggio".
L'uomo è tale quando è creativo. La sua essenza è mitopoietica, anche se nel corso della sua storia privata e pubblica si lascia prendere dal conformismo e dalla convenzionalità: "Nell'ozio riscopro / quanto sono lontano da quell'idea di lavoro, / quanto sono lisce le mie mani / e quanto ormai sono schiavo di questo mondo". C'è tuttavia un ponte tra il privato e il pubblico, tra poesia dell'anima e poesia sociale, di cui questa poetica si fa testimone, un ponte che attesta le tragiche distanze, ma inevitabilmente pure le convergenze tra cultura e vita, tra umanesimo e umanità. Ed ecco stupori improvvisi nel mezzo del traffico cittadino, miracolose apparizioni edeniche: "Sento nell'aria un profumo amabile / di altri campi custoditi nel cuore / e trattengo beato tante emozioni. / Nella leggerezza di una rondine in volo".
Anche nella grande metropoli, nel bel mezzo della vita anonima dei nostri giorni, l'uomo può vivere nella grazia di se stesso e riscoprire la propria identità: "E' verde oggi il bosco con i suoi fiori / in quell'aria fresca la matassa dei pensieri / si dipana piacevolmente"; "petali colorati tra spighe d'argento / riflettono il cielo di maggio / e verdi sfumature s'alternano / con gli occhi blu dei fiordalisi". Non c'è megalopoli che non sorga dal grembo della terra, per cui la natura è sempre presente. C'è, in città, il fiume, ci sono gli uccelli, c'è il bosco vicino e c'è sempre l'amore, indistruttibile: "Troviamo un angolo / vicino al greto del fiume, / lasciamo che le acque fresche / plachino la nostra febbre / per vivere il nostro amore selvaggio".
Un fiore può nascere anche tra le crepe del cemento e dell'asfalto, per cui la natura è sempre dominante, anche laddove sembra soffrire, e soffre, per causa della presunzione, dell'ingordigia e della stoltezza umana. E' un boomerang che inevitabilmente si ritorce contro l'essere umano: "La natura da cinica sovrana / si riprende il suo ambiente / deturpato dal cemento", "mentre sotto i riflettori sfila l'inutile / responsabilità dello scaricabarile". Nella logica del tempo ciclico tutto ritorna sempre a capo, per cui "domani al risveglio sarai pura rugiada / radiosa nelle lodi del mattino. / Sia leggero il tuo passo nella vita / allegro il suono della tua voce / ci sia amicizia nel tuo abbraccio / e tanto amore nelle tue mani".  Allora rinnovarsi è possibile: "Ad ogni estate rinasci sempre bella / mi appari ancora celeste come allora".

Franco Campegiani   



6 commenti:

  1. Dalla poesia genuina, apparentemente semplice nella sua forma verbale, ma sempre profonda nella sua essenza di Francesco Casuscelli, Franco Campegiani riesce a cogliere aspetti non certo palesi ad una lettura pure attenta di un lettore provetto di poesia. Franco C. come un vomero profondo sommuove,ribalta,stravolge lo strato epidermico e va a fondo dell'essenza poetica di F, Casuscelli rivelandoci quell'intimo sentire dell'autore verso la propia terra natia al pari di Quasimodo (vedi "Ora che sale il giorno, Alla mia terra" ecc.) Da quest'amore per la propria terra calabra l'autore lo trasla in amore per la natura così violentata dall'asfalto e cemento. Seppure sotteso tra i versi l'autore rigetta incosciamente l'attuale realtà in cui è costretto a vivere per quell'"...amaro pane a rompere" (Quasimodo) Pasqualino Cinnirella

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Forse perchè è tardi e il sonno mi coglie, dimenticavo formulare all'Autore e al Critico i miei più sentiti complimenti per la silloge e per il profondo pensiero sulla stessa; ciò, non solo perchè sono miei amici dei quali mi onoro, ma anche perchè sono BRAVI. Pasqualino C

      Elimina
    2. Grazie, Pasqualino, per la tua condivisione. Una generosità sempre più rara - a dispetto dei risibili e superficiali "mi piace" - al giorno d'oggi. Immagino che Francesco, come me, gradisca molto questo tuo intervento.
      Franco Campegiani

      Elimina
  2. “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Così scrisse Pavese nel suo romanzo “La luna e i falò”.
    Un paese ci vuole, mi permetto di aggiungere, se non altro per poterci tornare, per tornare fisicamente o per poterlo rivedere e rivivere anche da realtà lontane ed estremamente differenti perché la pianta sradicata da terra tiene strette a sé le sue radici.
    Ecco allora che “La spiritualità che Francesco coglie nel creato non è che un vento, allora, un sussurro o un soffio che balena nella materia e scompare senza assumere fissa dimora”.
    Così scrive Campegiani nella sua originale e incisiva nota di lettura al libro d’esordio di Francesco Casuscelli. Credo sia qui il nucleo della poesia di Francesco, specchio della sua genuinità e sensibilità, “canto di appartenenza alla terra” da cui l’umanità mai dovrebbe allontanarsi.

    Annalisa Rodeghiero

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cara Annalisa, mi sorprende questa tua lettura. Così limpida, profonda, colta, puntuale. Hai ragioni da vendere: purtroppo la nobile stirpe di Adamo sembra essersi dimenticata di appartenere alla terra ed è giunta a credere che sia invece la terra ad appartenere a lei. Il paradosso è che chi sente di appartenere alla terra è profondamente libero (vedi gli animali), mentre chi ne evade si chiude di sua volontà nella più ferrea prigione. Per nostra fortuna non c'è nulla di definitivo, mai, e la via percorsa in un senso può essere percorsa nell'altro senza difficoltà alcuna. Non è tornare al passato, ma andare avanti recuperando facoltà che abbiamo lasciato cadere in oblio.
      Franco Campegiani

      Elimina
  3. Ringrazio Franco Campegiani per l'attenta lettura e la sensibilità rivelata nel cogliere i significati nascosti tra le mie poesie. Ringrazio Pasqualino per il commento pieno di amicizia e le citazioni di un grande poeta come Quasimodo, che più di altri ha cantato il legame alla terra madre. Ringrazio Annalisa per aver aggiunto una nota altissima della nostra letteratura, menzionando quel brano del grande Pavese, che accomuna tutti noi che viviamo esperienze lontane dalla terra natia. In ultimo ringrazio Nazario per l'accoglienza e la sua luce che mi nutre con generosità, ed insegna con straripante umanità quale sia la strada che un poeta deve percorrere per essere un uomo.
    Vi saluto con alcuni versi che sono germogliati nei miei occhi che vi trascrivo con grande affetto

    Quanto è bella la vita che la poesia mi offre
    e quanto nutrimento accolgo dalle parole
    che i vostri passi hanno seminato nel mio solco

    Quanta amicizia m'infiamma il cuore
    e mi bagna gli occhi, da stringere tra le mani
    l'affetto che vi spetta ma che le parole non conoscono

    Leggendovi ascolto la risacca del vostro respiro
    e sottraggo tempo alla solitudine
    per immergermi fanciullo dentro di voi

    RispondiElimina