Domenico
Luiso, Di febbri e di parole, Bastogi
Libri, Roma, 2013.
Domenico
Luiso, L’omino degli orologi, Bastogi
Libri, Roma, 2017
La forza della parola
nell’armonia del canto
Mi
sono giunte stamani giovedi 11 gennaio 2018 due opere dell’amico scomparso
Domenico Luiso per dono di sua moglie Caterina Zaza. Tutte e due editate per i
caratteri di Bastogi Libri, Roma: Di
febbri e di parole, del 2013 e
L’omino degli orologi, del 2017. Due plaquette diametralmente distinte non solo
per format, ma soprattutto per contenuto: la prima più vicina all’ars
inveniendi del nostro Domenico, dove spesso l’endecasillabo gioca un ruolo
determinante nell’economia versificatoria:
Galleggia basso il cielo
all’orizzonte
un’altra sera crepita sui
palchi
in mezzo a corni d’oro e ceri
stanchi
è tempo, amico, di serrare il
velo
sul tuo corpo piagato di
ferite
la notte è senza uscita ai tuoi occhi
né ha sentieri al tuo
discernimento.
(…)
Citare alcuni versi di una delle poesie più
conturbanti della voce di Luiso, significa andare da subito a fondo nel modo di
sentire e di dire di uno dei più completi poeti che io abbia conosciuto nei
nostri tempi. Connessione di verbi e creazioni di duttile sonorità. Tutto si fa
armonico, tutto umano su palpiti di sinestetiche invenzioni. Un processo sinfonico, di euritmica vicinanza, che accompagna le inquietudini esistenziali di
un poeta, spesso combattuto fra terrenità e slanci verso l’azzurrità di un cielo debordante; verso orizzonti che sanno
tanto di infinito e di ancoraggi di ultra umana natura; un gioco di rimandi fra
elementi di impellente quotidianità e azzardi verso lidi nuovi: tante le poesie
che ci avvicinano ad un uomo in cerca di soluzioni a questioni spesso senza
risposta; a invenzioni emotive di rara forza epigrammatica: lo stupore delle
pietre, il tacere del tempo, un bacio che non muore, la mano sul mio cielo, il
sole giallo addosso ad un muretto, la luna che verdeggia, torbidi ottobri su rami stanchi, il peccato
delle labbra; La mia bonaccia, Noi, Dedica, Occhi, … Cio’ che sta scritto,
Filosofi e sapienti: “… Noi sempre li sentiamo lungo il giorno/ sberciato dalle
ombre della notte/ E raccattiamo i loro cocci alla rinfusa/ per farne ricche
ciotole d’unguenti/ o tazze di cicuta”. Un linguismo articolato, maturato su
esperienze di vita e di poesia, dove le intrusioni sinestetico-metaforiche
dànno un sapore di energica creatività al tessuto verbale; all’insieme del
poema. Ma quello che domina e che si presenta con tutti i suoi vertiginosi
slanci è il dono erotico della vita: un amore totale, plurale, polisemico che
il poeta tratta in tutte le salse chiedendo aiuto alla natura per dare corpo
alle sue sensazioni: e fummo un rigagnolo sfumato, Dietro il tuo volto
m’inventai il tuo volto, Muti seduti a un tavolo di pietra, Mi tocchi la tua
mano/ mi lambisca, E ci trovammo addosso ad un muretto, sarà il tuo cielo terra
e terra il cielo. La grammatica poetica si allarga verso campi di semantica
originalità. Si crea, si inventa, si allunga il tiro verso orizzonti lontani a
cui poter approdare per la quietezza dell’arte. La parola tradizionale, le
iuncturae canoniche non sono sufficienti per concretizzare tanto sentire; da
ciò gli iperbolici allunghi, le
intricanti assonanze che marcano l’individualità dell’arte di Luiso.
L’altra
opera risente di uno stato d’animo particolare del poeta. Una certa inquietudine
si era impossessata di lui. La poesia si fa meno musicale, più narrativa; ampi
spazi verbali si impadroniscono del poema; Domenico si sente deluso da un mondo
in balia dell’amoralità, della irrazionalità. E dove muore la ragione la
società è destinata a naufragare in un burrone di vuoto; già la poesia eponima
fa da antiporta ad un‘opera di carattere poematico per organicità; mantenuta compatta dal filo
rosso dell’agire umano duro e cinico:
(…)
Seduti al mio tavolo siete i
miei nemici
estranei e morti nelle risate
inconsce,
polveroso magma di cuori
ignari e deboli.
Sono storie oscene quelle che
traboccano
dalle annerite bottiglie che
si spezzano
tra i ragli impastati dei
discorsi senza fiumi.
(…)
* * *
Gettati nel mare che ha onde
di tragedia,
si fermeranno tutti gli
orologi e sarà solo
l’ora segnata dalla violenza
di Caino.
(…)
L’oracolare
messaggio di un poeta, che, pur mantenendo la sua schietta originalità
espressiva, sembra accedere ad una visione opposta della vita e dell’amore; ad un mondo di
tematiche nuove, di aggressive convulsioni, scatenate da impulsi di mero
negativismo. Certi segni di impegno sociale e di condanna di una società
ingiusta votata al male e all’indifferenza erano già emersi in parte nelle sue
raccolte; tali ispirazioni qui assumono carattere eccessivo, di estremo
rifiuto.
Resta comunque la grandezza di un autore che ha
dato tutto se stesso al mondo di Calliope: quella di un maestro che con gli equilibri di classica
memoria, di plasticità formale, e con una poesia di umana sostanza esistenziale
deve servire da insegnamento per tante deviazioni improvvisate, di moda,
destinate nel tempo a finire. Il futuro ha bisogno della storia, e senza il
terriccio fertile del passato è destinato a sfiorire miseramente. E Domenico
Luiso resta veramente un esempio di arte poetica dove la parola e il
significante costituiscono quel sacrosanto equilibrio desanctisiano (il vivente) che è e resterà sempre l’anima
del canto.
Nazario
Pardini
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