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giovedì 1 marzo 2018

AURORA DE LUCA LEGGE: "OSTAGGI DEL TEMPO" DI G. ANIELLO




 Giovanni ANIELLO, Ostaggi del tempo, Caramanica Editore, Latina, 2010

“È questo andare / l’essenza della vita” (L’essenza della vita, p.44)

Aurora De Luca,
collaboratrice di Lèucade

Si dice, e io lo credo, che ad ogni autore sia caro un solo centrale tema, attorno cui ruota tutto il resto; il tempo è un argine magno, entro cui si muovono tutte le cose e da cui tutte le cose sono dominate. Il tempo è il centro della poetica di Giovanni Aniello.
Dalle pagine di Vele di pietra (Edizioni Tracce, 2004), a quelle di Ostaggi del tempo, esso è un protagonista manifesto. La vita, acqua nell’argine, è dolorosa: «ogni vita è catena / di giorni inclinati sul buio / mistero: li ammanta l’oblio / come un giallo tappeto / brinato l’autunno che passa» (Vita, p.14). Abbiamo mani che non riescono a trattenere il tempo, e quel tempo che abbiamo è compromesso da dubbi, rimpianti, attese, croci, pene sicché la vita scivola via in un tremore sconnesso. Neppure scrutare il passato disvela il senso, o può indicare una direzione (“ma sfugge / la trama sepolta che sveli un senso al passato” (Memoria ferita, p.10) ed è tutto un ‘vano sognare immensità di cielo’ (e mi torna, qui, alla mente un’immagine di Antonia Pozzi).
La poetica del pianissimo ritorna, com’era in Vele di pietre, dell’assonanza e dell’allegoria; immagini dense, evocate da suoni che ritornano, rese più vivide da talune sottili asprezze che non fanno che risuonare in un dettato così ovattato.
Un dolore docile, si potrebbe dire, di quelli malinconici che sostano al di sotto del petto senza mai raggiungere il pianto; quasi ricorda l’urlo calmo di Sandro Penna (Il mare è tutto azzurro, in Poesie, 1939). Un tale urlo non avrebbe potuto propagarsi, seppur nella sua consistenza afona, in un spazio ampio: poesie brevi e folgoranti, che raggiungono l’apice senza mai toccare rumorosi lirismi.

Eccomi al guado: tempi
scoloriti e orizzonti brevi
dove se un suono vibra
o guizza un viso è un lampo
sanguigno, annuncio di tempesta.
(Il guado, p.15)

Atmosfere crepuscolari si ravvisano ancora, un occhio che osserva svolgersi un comune destino di pena: «Compagni di viaggio sbattuti / dal tempo – chissà quanto ancora / ne resta – torniamo smarriti / ai silenzi del cuore, agli anni / solcati d’un fiato, / felici / che amarsi fosse iride e lampi» (Compagni di viaggio, p.17).
Si fa più lontano però il mare, e raramente l’autore si porta a quelle sponde, piuttosto cede al ricordo, e torna ai bivi di paese a cercare amici spenti e sogni infreddoliti; dove sono gli stupori di quel bambino che osservava la luce colpire l’acqua issata dal pozzo? È caduto nell’inganno del tempo, che è l’inganno della vita; si è fatta contemporaneamente arma e ferita.

Rabdomanti in cerca di vene
profonde viviamo d’acqua e di tempo.
È scavo ossessivo già persi
a sondare dove porti la trama
di rivoli sparsi, di giorni
affastellati. Affogati di attese
ci coglie improvvisa la meta
evaporati come l’acqua e il tempo.
(Acqua e tempo, p.38)

Mentre le Vicende d’acqua di Antonia Pozzi la donavano, in un destino, come una voce al silenzio, Aniello è un fiume che sente la dispersione e si fa cogliere dalla fine. Anche egli parla alla sua poesia, un poetare breve dettato da una Musa avara: stanare le parole è il compito del poeta; quello di Antonia invero era elevarsi alla sua altezza.
Eppure per entrambi la poesia è un fuoco azzurro che viene dal silenzio e che resterà oltre il tempo:

Nel silenzio che avvolge
come pace di tenebre la stanza
stralci di memoria, fragili trame
di giorni senza eventi.
Nemmeno la passione
che ci brucia annulla il tempo: tu fumo
azzurro, io cenere nel vento.
(Nel silenzio, p.42)

Lontano dal mare, dunque, Aniello ha ora l’andamento del vento, un soffio fatale, in realtà, che anima l’intera raccolta: un mugghiare basso che, come fu in un verso della Pozzi, ammucchia le foglie in disparte.

Siamo vite amputate di futuro,
scambi di solitudini, presenze
in coni d’ombra mute.
Siamo foglie che un brivido improvviso
stacca dal ramo e ammucchia
in angoli di prato.
(Vite amputate, p.43)

Aurora De Luca

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